24 maggio 2023

Deprivazione e formazione (terza parte)

Nell'articolo precedente si è visto che il tasso di deprivazione materiale e sociale è strettamente legato al tasso di povertà. Entrambi i tassi, mentre sono relativamente bassi in Svizzera (pur tra notevoli differenze tra le varie regioni), risultano piuttosto elevati in Italia, con livelli preoccupanti soprattutto al Sud. Molto spesso sono dovuti al debole sviluppo economico e all’insufficiente formazione professionale dei lavoratori disponibili sul mercato del lavoro. In Italia questa percezione è ormai chiara, ma i rimedi stentano a prender forma.

Livelli di povertà e di non-formazione preoccupanti al Sud


Da decenni la politica italiana ha preso coscienza che l’Italia si rafforzerà come Paese e riuscirà ad imporsi come potenza economica su scala continentale e mondiale solo se riuscirà a risolvere la «questione meridionale», ossia a ridurre significativamente lo scarto tra lo sviluppo del Nord e lo scarso sviluppo del Sud.

La realtà dimostra che si è ancora lontani da questo traguardo, ma ora le circostanze lo rendono raggiungibile più facilmente che in passato, perché c’è la consapevolezza della gravità dei mali del Sud, la necessità di interventi urgenti, efficaci e sostenibili, e la disponibilità dei mezzi finanziari necessari per attuarli. Per questo, come dicevo nell'articolo precedente, bisognerebbe approfittare assolutamente della grande disponibilità di denaro rappresentato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Ovviamente il denaro non basta perché ci vogliono anche le idee, ancora lacunose, tenendo presente che questa è forse un’occasione unica per impostare e implementare un sistema di formazione generale e professionale in grado di consentire anche al Sud sviluppo economico, valorizzazione delle risorse disponibili, diminuzione della disoccupazione (in particolare di quella giovanile), riduzione del tasso di povertà e freno all'emigrazione… come al Nord.

Gli esempi a cui ispirarsi non mancano né in Italia (basta osservare la formazione interna ad alcune grandi aziende) né all'estero, soprattutto in alcuni Paesi (Svizzera, Germania, Austria, Olanda, ecc.), dove sono in funzione sistemi di orientamento e di formazione professionale efficaci, sostenibili e orientati al soddisfacimento sia dei desideri e delle capacità individuali che delle esigenze dell’economia.

La formazione è una cosa seria

Detto così può sembrare una banalità, perché è ovvio che la formazione è alla base dello sviluppo degli individui e dei popoli, ma se si osserva attentamente la realtà ci si rende facilmente conto che molti mali individuali e sociali dipendono proprio da un insufficiente livello di formazione. Inoltre, solo esaminando da vicino le implicazioni si può valutare, per esempio, se un’offerta formativa è efficace e sostenibile, dando così al decisore politico la possibilità della scelta più adeguata in un preciso contesto geografico, economico e sociale.

Nell'interminabile e in gran parte inconcludente discussione attorno al «reddito di cittadinanza» si è finito per trovare il principale capro espiatorio nei cosiddetti «centri per l’impiego» nei quali avrebbe dovuto avvenire, e invece è mancato in larga misura, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per favorire la crescita e l’occupazione.

Non entro nel merito di questa discussione, ma sarebbe facile obiettare che per poter corrispondere alle aspettative dell’Unione Europea (all'origine dei centri per l’impiego) e del legislatore italiano mancavano alcuni presupposti essenziali. Il fatto grave, a mio avviso, è che anche nella prospettiva di una trasformazione di questi centri, i presupposti per un felice incontro tra domanda e offerta di lavoro non sono sicuri.

In vista di un successivo approfondimento, accenno qui soltanto, per fare qualche esempio, alla mancanza di chiarezza sui principi, almeno nell'opinione pubblica. Non è infatti ben chiaro se gli obiettivi principali della cosiddetta «politica attiva del lavoro» sono l’occupazione (a qualsiasi livello), la qualità della vita (allontanando il più possibile il rischio di deprivazione materiale e sociale), lo sviluppo economico (a basso o ad alto reddito) o altro ancora. Inoltre, nell'auspicato incontro tra domanda e offerta di lavoro manca spesso la chiarezza da parte sia della domanda e sia dell’offerta. Manca soprattutto una visione chiara sul futuro della formazione professionale per cui anche nel PNRR è difficile capire quante risorse l’Italia intenda destinarvi. (Segue)

Giovanni Longu
Berna, 24.05.2023