Nell'articolo precedente si è visto che il tasso di deprivazione materiale e sociale è strettamente legato al tasso di povertà. Entrambi i tassi, mentre sono relativamente bassi in Svizzera (pur tra notevoli differenze tra le varie regioni), risultano piuttosto elevati in Italia, con livelli preoccupanti soprattutto al Sud. Molto spesso sono dovuti al debole sviluppo economico e all’insufficiente formazione professionale dei lavoratori disponibili sul mercato del lavoro. In Italia questa percezione è ormai chiara, ma i rimedi stentano a prender forma.
Livelli di povertà e di non-formazione preoccupanti al Sud
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La realtà dimostra che si è ancora lontani da questo traguardo, ma ora le
circostanze lo rendono raggiungibile più facilmente che in passato, perché c’è
la consapevolezza della gravità dei mali del Sud, la necessità di interventi
urgenti, efficaci e sostenibili, e la disponibilità dei mezzi finanziari
necessari per attuarli. Per questo, come dicevo nell'articolo precedente,
bisognerebbe approfittare assolutamente della grande disponibilità di denaro rappresentato
dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Ovviamente il denaro non basta perché ci vogliono anche le idee, ancora
lacunose, tenendo presente che questa è forse un’occasione unica per impostare
e implementare un sistema di formazione generale e professionale in grado di
consentire anche al Sud sviluppo economico, valorizzazione delle risorse
disponibili, diminuzione della disoccupazione (in particolare di quella
giovanile), riduzione del tasso di povertà e freno all'emigrazione… come al
Nord.
Gli esempi a cui ispirarsi non mancano né in Italia (basta osservare la
formazione interna ad alcune grandi aziende) né all'estero, soprattutto in
alcuni Paesi (Svizzera, Germania, Austria, Olanda, ecc.), dove sono in funzione
sistemi di orientamento e di formazione professionale efficaci, sostenibili e orientati
al soddisfacimento sia dei desideri e delle capacità individuali che delle
esigenze dell’economia.
La formazione è una cosa seria
Detto così può sembrare una banalità, perché è ovvio che la formazione è
alla base dello sviluppo degli individui e dei popoli, ma se si osserva
attentamente la realtà ci si rende facilmente conto che molti mali individuali
e sociali dipendono proprio da un insufficiente livello di formazione. Inoltre,
solo esaminando da vicino le implicazioni si può valutare, per esempio, se
un’offerta formativa è efficace e sostenibile, dando così al decisore politico
la possibilità della scelta più adeguata in un preciso contesto geografico,
economico e sociale.
Nell'interminabile e in gran parte inconcludente discussione attorno al
«reddito di cittadinanza» si è finito per trovare il principale capro
espiatorio nei cosiddetti «centri per l’impiego» nei quali avrebbe dovuto
avvenire, e invece è mancato in larga misura, l’incontro tra domanda e offerta
di lavoro per favorire la crescita e l’occupazione.
Non entro nel merito di questa discussione, ma sarebbe facile obiettare
che per poter corrispondere alle aspettative dell’Unione Europea (all'origine
dei centri per l’impiego) e del legislatore italiano mancavano alcuni presupposti
essenziali. Il fatto grave, a mio avviso, è che anche nella prospettiva di una
trasformazione di questi centri, i presupposti per un felice incontro tra
domanda e offerta di lavoro non sono sicuri.
In vista di un successivo approfondimento, accenno qui soltanto, per
fare qualche esempio, alla mancanza di chiarezza sui principi, almeno
nell'opinione pubblica. Non è infatti ben chiaro se gli obiettivi principali della
cosiddetta «politica attiva del lavoro» sono l’occupazione (a qualsiasi
livello), la qualità della vita (allontanando il più possibile il rischio di
deprivazione materiale e sociale), lo sviluppo economico (a basso o ad alto
reddito) o altro ancora. Inoltre, nell'auspicato incontro tra domanda e offerta
di lavoro manca spesso la chiarezza da parte sia della domanda e sia
dell’offerta. Manca soprattutto una visione chiara sul futuro della formazione
professionale per cui anche nel PNRR è difficile capire quante risorse l’Italia
intenda destinarvi. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 24.05.2023