Dopo la bocciatura popolare dell’iniziativa Schwarzenbach,
gli immigrati italiani tirarono un sospiro di sollievo, ma non si sentirono
rassicurati. La destra nazionalista - pensavano in molti - avrebbe lanciato
sicuramente altre iniziative antistranieri e le autorità svizzere non avrebbero
cambiato rotta nella politica immigratoria, ormai orientata a ridurre la
manodopera estera in entrata e a stabilizzare e integrare quella già presente.
Anche l’Italia, agli inizi degli «anni di piombo», non appariva la terra che
avrebbe accolto a braccia aperte i reduci dall’esperienza migratoria.
Prime misure di politica immigratoria
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Nel 1970, molti immigrati italiani pensarono al rientro definitivo in Italia. |
All’inizio del 1970, il Consiglio federale era più che mai
convinto che dovesse dare risposte convincenti alle richieste (provenienti non
solo dalle destre, ma anche dalle sinistre, dagli ambienti sindacali, dalle
chiese e dalla società civile) di contenimento della manodopera estera.
Pertanto, il 16 marzo emanò un decreto che limitava il numero dei permessi
stagionali (152.000) e annuali (40.000), escludendo da queste misure alcuni rami molto carenti di manodopera (scuole, ospedali, economie domestiche,
ecc.).
Il senso del provvedimento era chiaro: «Per prevenire un ulteriore aumento del numero
degli stranieri esercitanti un'attività lucrativa, l'ammissione di lavoratori
annuali e di stagionali impiegati nelle aziende e nelle amministrazioni
pubbliche e private, nonché l'ammissione di stranieri esercitanti
un'attività lucrativa a titolo indipendente è limitata conformemente alle
disposizioni seguenti. […]». Anche la durezza della decisione era chiara,
soprattutto perché concerneva anche «gli stagionali che domandano un
permesso di dimora annuale», compromettendo la trasformazione del permesso
stagionale in quello annuale. Inoltre il decreto confermava i divieti
particolarmente osteggiati di cambiare posto di lavoro, professione e Cantone
senza una previa autorizzazione.
Era anche chiaro che il Consiglio federale con quel decreto
intendeva sottoporre ai partiti politici e all’opinione pubblica un’alternativa
valida all’iniziativa Schwarzenbach. In effetti nei partiti della maggioranza e
nei sindacati esso fu accolto favorevolmente. Esso scontentava invece molti
imprenditori e soprattutto molti immigrati che vedevano in quel provvedimento un
rischio per l’occupazione e un aggravio delle limitazioni preesistenti. Le
contrarietà di alcune associazioni (specialmente CLI e ACLI) giunsero fino a
Roma. A recepirle furono soprattutto i comunisti e alcuni esponenti del
Movimento sociale italiano (Msi).
Proteste parlamentari italiane
Il 7 aprile 1970 alcuni deputati comunisti chiesero al
Governo quali iniziative intendesse adottare presso quello elvetico «in
difesa dei lavoratori italiani emigrati in Svizzera e minacciati gravemente dai
provvedimenti di blocco dell'emigrazione adottati in questi giorni dal vicino
paese». Inoltre veniva chiesto «quali passi abbia svolto il Governo nel
corso della preparazione, da parte del governo svizzero, dei provvedimenti di
tipo razzistico che interessano e minacciano la collettività dei lavoratori
italiani che ammonta ad oltre 650 mila unità e quali siano le ragioni per le
quali tali incredibili provvedimenti adottati in Svizzera non siano stati
preventivamente discussi né in sede parlamentare, né in altre sedi sindacali o
associative nel nostro paese».
I comunisti italiani ritenevano che si dovesse fare
pressione sul Governo svizzero «per negoziare rapidamente un nuovo accordo,
tenuto conto che quello in vigore è stato ed è unilateralmente violato, più in
particolare per rivendicare l'abolizione dello statuto degli stagionali, dei
poteri della polizia degli stranieri nettamente in contrasto con la
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e con i più elementari diritti civili,
l'adozione dei principi sulla libera circolazione della manodopera».
Un altro deputato del PCI si rivolgeva al Ministro degli
affari esteri per conoscere inoltre «quale
azione intenda promuovere per adeguare l'accordo di emigrazione italo-svizzero
alle giuste esigenze dei lavoratori italiani : 1) annullare le norme e
prescrizioni restrittive sui permessi di lavoro e soggiorno, sui
contingentamenti di manodopera straniera nei settori produttivi e nei Cantoni,
sulla libertà di scelta del posto di lavoro e di spostamento; 2) adottare nuove
norme per la garanzia del lavoro, della dimora e del ricongiungimento familiare
e per garantire agli emigrati stagionali parità di condizioni di vita, di
abitazione, di previdenza e assistenza; 3) rendere effettivo il diritto di
insegnamento della lingua italiana per i figli dei nostri connazionali emigrati
e la libertà di accedere ai vari gradi dell'ordinamento scolastico svizzero».
Come detto, anche alcuni deputati del Movimento sociale
italiano (Msi) chiesero al Governo cosa intendesse fare «per bilanciare la
minore quota di emigrazione di nostri lavoratori specie giovani in Svizzera, a
seguito dei provvedimenti già presi da quel governo, e per prevedere, inoltre,
l'assorbimento di quelle maggiori aliquote di lavoratori che, in dannata
ipotesi [che l’iniziativa Schwarzenbach venisse accettata], potrebbero essere
costretti a rientrare in Italia dalle nuove iniziative legislative in atto in
Svizzera».
Soprattutto la sinistra era però preoccupata e con un’altra
interpellanza aveva chiesto al Governo cosa intendesse fare «per favorire il
reinserimento dei lavoratori italiani che rientrano dalla Svizzera o che
saranno costretti ad abbandonarla, in ordine ai problemi della occupazione,
della casa, dei trasporti, dell'assistenza» e quali misure intendesse
adottare «per incrementare l'occupazione, con misure specifiche e
straordinarie, per fronteggiare le conseguenze delle restrizioni adottate dal
governo svizzero in materia di emigrazione, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle
Isole».
Le risposte del Governo erano vaghe, ben sapendo che le
difficoltà degli emigrati italiani in Svizzera erano reali, ma che le
possibilità d’intervento presso le autorità svizzere erano scarse. Oltretutto
si rendeva conto che un inasprimento dei rapporti con la Svizzera avrebbe
potuto solo aggravare la situazione in Italia. Come avrebbe potuto garantire
un’occupazione a decine di migliaia di emigrati, soprattutto nel Meridione, in
caso di un forzato rientro?
Reazione del Governo federale
Da parte sua, il Consiglio federale era convinto della
necessità di prendere misure incisive contro l’«inforestierimento» e non
intendeva derogare ai suoi poteri e doveri costituzionali e legali. Aveva anche
le idee abbastanza chiare sulla direzione da seguire per raggiungere i suoi
scopi di stabilizzazione e integrazione della manodopera estera necessaria e
compatibile con le esigenze svizzere, ma era altresì consapevole che alcune
misure particolarmente penalizzanti andavano attenuate, soprattutto riguardo ai
ricongiungimenti familiari.
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Molti immigrati pensavano invece di restare! |
Preoccupazioni degli italiani
Il 1970 si concluse in Svizzera con una vaga speranza di
rasserenamento dei rapporti tra svizzeri e stranieri perché il popolo svizzero,
sia pure con una maggioranza risicata, aveva resistito all’assalto della destra
xenofoba e il Consiglio federale aveva cominciato a limitare in maniera decisa
ma non violenta l’immigrazione.
Soprattutto per gli italiani, però, niente sarebbe stato come prima. Non che prima tutti gli italiani stessero bene, ma tutti potevano contare su un lavoro abbastanza sicuro, su una vasta rete sociale di sopravvivenza (associazioni) e sulla speranza che in Italia l’economia riprendesse a crescere e potesse riassorbisse gli emigrati che rimpatriavano (come veniva promesso in tutte le campagne elettorali).
Soprattutto per gli italiani, però, niente sarebbe stato come prima. Non che prima tutti gli italiani stessero bene, ma tutti potevano contare su un lavoro abbastanza sicuro, su una vasta rete sociale di sopravvivenza (associazioni) e sulla speranza che in Italia l’economia riprendesse a crescere e potesse riassorbisse gli emigrati che rimpatriavano (come veniva promesso in tutte le campagne elettorali).
Dalla seconda metà del 1970, invece, per gli immigrati
italiani il futuro si presentava alquanto incerto. Nessuno avrebbe scommesso un
centesimo che Schwarzenbach e seguaci non avrebbero ritentato di far inserire
nella Costituzione federale il blocco dei migranti in arrivo e la riduzione di
quelli residenti. In molti si faceva strada l’idea ch’era forse giunto il
momento di porre fine alle incertezze e rientrare definitivamente in Italia. In
realtà però il dubbio persisteva.
Per molti, infatti, la fine degli anni Sessanta e gli inizi
degli anni Settanta non sembravano un buon momento per rientrare in Italia, agitata com’era da
scioperi, lotte sindacali, tensioni sociali, aumento della disoccupazione,
lotte politiche, atti di violenza (strage di Piazza Fontana), ecc. Gli
immigrati italiani si rendevano conto che un loro rientro in Italia in quel
momento non sarebbe stato gradito perché avrebbe potuto contribuire ad
aumentare le tensioni sociali.(Segue)
Giovanni Longu
Berna, 12.2.2020
Berna, 12.2.2020