04 dicembre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 36. Il CISAP – una «realtà meravigliosa»

La costituzione dell’Associazione CISAP, la formazione del corpo insegnante e l’avvio delle lezioni teoriche dei primi corsi nella primavera del 1966 diedero ai responsabili del CISAP la certezza di aver intrapreso la strada giusta per rispondere adeguatamente a un bisogno reale dei connazionali immigrati. Diedero anche il coraggio e l’ottimismo per proseguirla nelle fasi successive non meno impegnative: attrezzare le officine per le esercitazioni pratiche e ottenere l’attenzione e il sostegno delle autorità italiane e svizzere, delle parti sociali e dell’associazionismo. Osservando a distanza di anni i risultati raggiunti in un tempo relativamente breve quel percorso ha dell’incredibile che merita di essere spiegato.



Il sostegno delle autorità italiane

Attestato di capacità  CISAP
 per molti ex allievi
chiave del successo
Il primo riconoscimento pubblico al CISAP arrivò dal console Mancini, che l’aveva visto nascere e percorrere a grandi passi il primo tratto di strada. Il suo sostegno è stato fondamentale per i successivi traguardi. In un incontro (11 maggio 1966) con una delegazione del Centro, dopo essere stato informato sui progressi fatti nella costituzione del corpo insegnante per la teoria e per la pratica, nella messa a punto dei programmi tenendo conto delle esigenze sia italiane che svizzere e nella collaborazione tra italiani e svizzeri («a dimostrazione che assieme si può veramente creare qualcosa di utile»), il direttore Cenni gli ricordò che il CISAP si aspettava l’aiuto delle autorità anche per attrezzare le officine.
In effetti lo Stato italiano ha quasi sempre sostenuto con generosità le attività del Centro, ritenendole di grande utilità per i connazionali emigrati e un bell’esempio della collaborazione italo-svizzera.

Il sostegno della FLMO
La storia del CISAP non si capirebbe senza la collaborazione dal primo all’ultimo giorno con la FLMO (Federazione Lavoratori Metallurgici e Orologiai). L’intesa fu immediata fin dalle origini del CISAP (cfr. http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/11/immigrazione-italiana-1950-1970-34-il.html) e si consolidò negli anni con una serie di convenzioni che spingevano entrambe le parti a intervenire «dovunque il bisogno si fa sentire».
In vista dei primi corsi il Comitato Direttivo della FLMO aveva deciso di contribuire al finanziamento del Centro in ragione diretta del numero di colleghi italiani che lo avrebbero frequentato superando poi gli esami finali. A sua volta il Comitato italiano della sezione FLMO di Berna aveva raccomandato ai colleghi di frequentare i corsi CISAP.
La stampa sindacale ha sempre dato ampio rilievo alle Convenzioni FLMO-CISAP e alle collaborazioni nei Cantoni di Berna, Giura, Neuchâtel, Zurigo, sottolineando la validità della formazione e del perfezionamento professionali assicurati dal CISAP.

Il sostegno dell’industria
Anche l’economia, parte evidentemente interessata, sostenne fin dall’inizio il CISAP fornendogli a titolo gratuito o con forti sconti i primi macchinari per attrezzare le officine, mettendo a disposizione personale e strutture per gli esami finali, apprezzando gli ex allievi del CISAP, fornendo stimoli per il costante adeguamento dei corsi in funzione degli sviluppi tecnologici e dell’economia. Una delle prime aziende a venire incontro ai bisogni della scuola fu l’Hasler AG di Berna, che nel marzo 1966 decise di cedere gratuitamente alcune macchine per le officine in via di allestimento.

Nello Celio, Pres. della Confederazione (a d.)
in visita al CISAP di Berna il 3.11.1972.

Il sostegno delle autorità svizzere
Non tardò ad arrivare anche il sostegno delle autorità svizzere, garantendo i finanziamenti previsti per attività di perfezionamento professionale, adeguando regolamenti esistenti e creandone dei nuovi, consentendo di apporre la firma del responsabile cantonale di Berna per la formazione professionale sui certificati finali rilasciati dal CISAP, agevolando l’inserimento degli ex allievi nell’economia, ecc.
Il sostegno della FLMO e delle autorità italiane e svizzere è stato fondamentale quando, divenuta ristretta e insufficiente la sede allo Jägerwer e alla Wylerstrasse, il CISAP dovette dapprima prendere in affitto e poi acquistare la grande sede alla Freiburgstrasse.


In conclusione
Nel 1966 anche solo concepire l’idea di un centro autonomo, gestito da lavoratori, per la formazione professionale e attraverso di essa l’integrazione degli immigrati nell’economia e nella società svizzere poteva apparire un miraggio. L’esservi riusciti, grazie a una sapiente, intensa e lungimirante collaborazione tra tutte le parti interessate - immigrati-allievi, dirigenti, insegnanti, autorità italiane e svizzere, sindacati, ambienti economici - non può che essere una «realtà meravigliosa», come riconobbe Nello Celio, presidente della Confederazione nel 1972. (Fine della serie sull’immigrazione italiana 1950-1970).
Giovanni Longu
Berna 4.12.2019

Giovanni Longu
Berna 4.12.2019
 

03 dicembre 2019

Cacciateli! Mio disappunto!


Venerdì scorso ho assistito alla Casa d’Italia di Berna alla presentazione del libro di Concetto Vecchio Cacciateli!, di cui avevo letto alcuni estratti, che mi avevano colpito per l’impostazione ideologica (come se da una parte stesse il bene e dall’altra il male), la superficialità (carenza di analisi critica, appiattimento delle diversità, per esempio tra gli immigrati, tra gli svizzeri, ecc., confusione tra una iniziativa popolare e un referendum, mancanza di gerarchia delle fonti, ecc.), l’imprecisione (immigrati senza differenziare residenti e stagionali, statistiche approssimative, stime sui bambini «clandestini» senza porsi il problema delle fonti e della loro plausibilità, ecc.), ma soprattutto la ingiustificata generalizzazione (di episodi, casi, errori, abusi, situazioni particolari come se rispecchiassero l’intera realtà) e una buona dose di faziosità (perché l’autore sembra non tenere in alcun conto la sovranità del popolo svizzero nelle sue decisioni, la legittimità dello statuto stagionale, il rifiuto da parte della maggioranza del popolo svizzero di tutte le iniziative promosse dall’Azione Nazionale e da Schwarzenbach, la richiesta di una politica immigratoria più controllata, ecc.).

Ho partecipato alla presentazione del suo libro perché speravo che l’autore chiarisse i miei dubbi, ma è stata una speranza vana, perché Concetto Vecchio non ha fatto dall’inizio alla fine che confermare le mie prime impressioni, perché ha continuato a parlare del «referendum» Schwarzenbach, come se fosse stato l’espressione di un diffuso razzismo piuttosto che di una diffusa paura e di qualche seria preoccupazione che avevano manifestato in quel periodo anche sindacati, ambienti politici, governo e le stesse chiese in riferimento alla massa di immigrati che giungevano in Svizzera apparentemente fuori controllo e percepito come un elemento estraneo al contesto linguistico, culturale e abitudinario svizzero.

Ho trovato sorprendente che l’autore parlasse con grande disinvoltura di «due milioni di immigrati italiani» tra il 1948 e il 1968 in un Paese che contava nel 1965 poco più di 5 milioni di svizzeri, senza porsi il problema dell’impatto che poteva avere una tale massa di cittadini di lingua, cultura e abitudini diverse su una popolazione ancora in gran parte rurale, abituata a una vita tranquilla.

Com’è possibile, mi chiedevo, che l’autore non mostri alcuna comprensione verso un popolo costretto ad accettare senza risentirsi l’arrivo continuo di decine di migliaia di stranieri tra stagionali e annuali, chiamati forse da qualcuno interessato al proprio tornaconto ma non, almeno direttamente, a quello del popolo, stranieri interessati al lavoro e al guadagno, ma non a mettersi in condizione di poter almeno comunicare con la popolazione locale, dimostrando anzi disinteresse non facendo alcuno sforzo per impararne la lingua, ecc.

Non mi è parso nemmeno che l’autore si sia mai chiesto seriamente perché l’Unione Sindacale Svizzera, un sindacato socialdemocratico, fosse preoccupato della facilità con cui si facevano arrivare gli stranieri e avesse chiesto una riduzione della popolazione straniera fin dall’inizio degli anni Sessanta, dunque prima ancora di Schwarzenbach, richiamando il governo al rispetto della Costituzione e delle leggi che gli imponevano di prendere «misure contro l’inforestierimento».

Mi fermo qui perché dall’inizio alla fine Concetto Vecchio non ha dissolto i miei dubbi, anzi li ha confermati tutti. Spero che almeno qualcuno si dissolva leggendo il libro. Diversamente conserverò le mie convinzioni su Schwarzenbach già espresse in questi Disappunti  (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/10/immigrazione-italiana-1950-1970-28.html) e il mio rammarico nel costatare con quanta superficialità e parzialità vengano scritte ancora oggi opere sull'immigrazione italiana in Svizzera senza conoscerne la complessità, i dati, il contesto, le leggi, ecc. Purtroppo da certe opere non si riesce nemmeno a capire perché molti emigrati hanno preferito continuare la loro vita in questo Paese piuttosto che rientrare nel loro e perché, ancora oggi, la Svizzera sia una delle mete privilegiate della recente e attuale emigrazione italiana.
Berna 2.12.2019