03 dicembre 2019

Cacciateli! Mio disappunto!


Venerdì scorso ho assistito alla Casa d’Italia di Berna alla presentazione del libro di Concetto Vecchio Cacciateli!, di cui avevo letto alcuni estratti, che mi avevano colpito per l’impostazione ideologica (come se da una parte stesse il bene e dall’altra il male), la superficialità (carenza di analisi critica, appiattimento delle diversità, per esempio tra gli immigrati, tra gli svizzeri, ecc., confusione tra una iniziativa popolare e un referendum, mancanza di gerarchia delle fonti, ecc.), l’imprecisione (immigrati senza differenziare residenti e stagionali, statistiche approssimative, stime sui bambini «clandestini» senza porsi il problema delle fonti e della loro plausibilità, ecc.), ma soprattutto la ingiustificata generalizzazione (di episodi, casi, errori, abusi, situazioni particolari come se rispecchiassero l’intera realtà) e una buona dose di faziosità (perché l’autore sembra non tenere in alcun conto la sovranità del popolo svizzero nelle sue decisioni, la legittimità dello statuto stagionale, il rifiuto da parte della maggioranza del popolo svizzero di tutte le iniziative promosse dall’Azione Nazionale e da Schwarzenbach, la richiesta di una politica immigratoria più controllata, ecc.).

Ho partecipato alla presentazione del suo libro perché speravo che l’autore chiarisse i miei dubbi, ma è stata una speranza vana, perché Concetto Vecchio non ha fatto dall’inizio alla fine che confermare le mie prime impressioni, perché ha continuato a parlare del «referendum» Schwarzenbach, come se fosse stato l’espressione di un diffuso razzismo piuttosto che di una diffusa paura e di qualche seria preoccupazione che avevano manifestato in quel periodo anche sindacati, ambienti politici, governo e le stesse chiese in riferimento alla massa di immigrati che giungevano in Svizzera apparentemente fuori controllo e percepito come un elemento estraneo al contesto linguistico, culturale e abitudinario svizzero.

Ho trovato sorprendente che l’autore parlasse con grande disinvoltura di «due milioni di immigrati italiani» tra il 1948 e il 1968 in un Paese che contava nel 1965 poco più di 5 milioni di svizzeri, senza porsi il problema dell’impatto che poteva avere una tale massa di cittadini di lingua, cultura e abitudini diverse su una popolazione ancora in gran parte rurale, abituata a una vita tranquilla.

Com’è possibile, mi chiedevo, che l’autore non mostri alcuna comprensione verso un popolo costretto ad accettare senza risentirsi l’arrivo continuo di decine di migliaia di stranieri tra stagionali e annuali, chiamati forse da qualcuno interessato al proprio tornaconto ma non, almeno direttamente, a quello del popolo, stranieri interessati al lavoro e al guadagno, ma non a mettersi in condizione di poter almeno comunicare con la popolazione locale, dimostrando anzi disinteresse non facendo alcuno sforzo per impararne la lingua, ecc.

Non mi è parso nemmeno che l’autore si sia mai chiesto seriamente perché l’Unione Sindacale Svizzera, un sindacato socialdemocratico, fosse preoccupato della facilità con cui si facevano arrivare gli stranieri e avesse chiesto una riduzione della popolazione straniera fin dall’inizio degli anni Sessanta, dunque prima ancora di Schwarzenbach, richiamando il governo al rispetto della Costituzione e delle leggi che gli imponevano di prendere «misure contro l’inforestierimento».

Mi fermo qui perché dall’inizio alla fine Concetto Vecchio non ha dissolto i miei dubbi, anzi li ha confermati tutti. Spero che almeno qualcuno si dissolva leggendo il libro. Diversamente conserverò le mie convinzioni su Schwarzenbach già espresse in questi Disappunti  (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/10/immigrazione-italiana-1950-1970-28.html) e il mio rammarico nel costatare con quanta superficialità e parzialità vengano scritte ancora oggi opere sull'immigrazione italiana in Svizzera senza conoscerne la complessità, i dati, il contesto, le leggi, ecc. Purtroppo da certe opere non si riesce nemmeno a capire perché molti emigrati hanno preferito continuare la loro vita in questo Paese piuttosto che rientrare nel loro e perché, ancora oggi, la Svizzera sia una delle mete privilegiate della recente e attuale emigrazione italiana.
Berna 2.12.2019

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