Venerdì scorso ho assistito alla Casa d’Italia di
Berna alla presentazione del libro di Concetto Vecchio Cacciateli!, di
cui avevo letto alcuni estratti, che mi avevano colpito per l’impostazione
ideologica (come se da una parte stesse il bene e dall’altra il male), la superficialità
(carenza di analisi critica, appiattimento delle diversità, per esempio tra gli
immigrati, tra gli svizzeri, ecc., confusione tra una iniziativa popolare e un
referendum, mancanza di gerarchia delle fonti, ecc.), l’imprecisione
(immigrati senza differenziare residenti e stagionali, statistiche
approssimative, stime sui bambini «clandestini» senza porsi il problema delle
fonti e della loro plausibilità, ecc.), ma soprattutto la ingiustificata generalizzazione
(di episodi, casi, errori, abusi, situazioni particolari come se
rispecchiassero l’intera realtà) e una buona dose di faziosità (perché
l’autore sembra non tenere in alcun conto la sovranità del popolo svizzero nelle
sue decisioni, la legittimità dello statuto stagionale, il rifiuto da parte della
maggioranza del popolo svizzero di tutte le iniziative promosse dall’Azione
Nazionale e da Schwarzenbach, la richiesta di una politica immigratoria più
controllata, ecc.).

Ho trovato sorprendente che l’autore parlasse con
grande disinvoltura di «due milioni di immigrati italiani» tra il 1948 e il
1968 in un Paese che contava nel 1965 poco più di 5 milioni di svizzeri, senza porsi
il problema dell’impatto che poteva avere una tale massa di cittadini di
lingua, cultura e abitudini diverse su una popolazione ancora in gran parte
rurale, abituata a una vita tranquilla.
Com’è possibile, mi chiedevo, che l’autore non mostri
alcuna comprensione verso un popolo costretto ad accettare senza risentirsi l’arrivo
continuo di decine di migliaia di stranieri tra stagionali e annuali, chiamati forse
da qualcuno interessato al proprio tornaconto ma non, almeno direttamente, a
quello del popolo, stranieri interessati al lavoro e al guadagno, ma non a
mettersi in condizione di poter almeno comunicare con la popolazione locale,
dimostrando anzi disinteresse non facendo alcuno sforzo per
impararne la lingua, ecc.
Non mi è parso nemmeno che l’autore si sia mai chiesto
seriamente perché l’Unione Sindacale Svizzera, un sindacato socialdemocratico, fosse
preoccupato della facilità con cui si facevano arrivare gli stranieri e avesse chiesto
una riduzione della popolazione straniera fin dall’inizio degli anni Sessanta,
dunque prima ancora di Schwarzenbach, richiamando il governo al rispetto della
Costituzione e delle leggi che gli imponevano di prendere «misure contro
l’inforestierimento».
Mi fermo qui perché dall’inizio alla fine Concetto
Vecchio non ha dissolto i miei dubbi, anzi li ha confermati tutti. Spero che almeno
qualcuno si dissolva leggendo il libro. Diversamente conserverò le mie
convinzioni su Schwarzenbach già espresse in questi Disappunti (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/10/immigrazione-italiana-1950-1970-28.html) e il mio rammarico nel costatare con
quanta superficialità e parzialità vengano scritte ancora oggi opere
sull'immigrazione italiana in Svizzera senza conoscerne la complessità, i dati,
il contesto, le leggi, ecc. Purtroppo da certe opere non si riesce nemmeno a
capire perché molti emigrati hanno preferito continuare la loro vita in questo
Paese piuttosto che rientrare nel loro e perché, ancora oggi, la Svizzera sia
una delle mete privilegiate della recente e attuale emigrazione italiana.
Berna 2.12.2019
Berna 2.12.2019
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