Grazie agli immigrati italiani degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, nel 1970 l’italiano parlato aveva raggiunto, in base ai dati dei censimenti del secolo scorso e degli anni 2000, il numero più alto di italofoni (svizzeri e stranieri). Dal 1970, la lingua italiana perde terreno, anche se in questi ultimi anni il calo è rallentato, e spesso le «colpe» sono (state) attribuite alla Confederazione, accusata di non fare abbastanza per la salvaguardia dell’italiano come «lingua nazionale» e «lingua ufficiale» al pari del tedesco e del francese. In questo articolo si esaminerà soprattutto la prima di queste espressioni, mentre nei successivi si prenderanno in esame la seconda espressione, le cause della diminuzione dell'italofonia e alcuni possibili rimedi.
Contesto preoccupante
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Nel 2000, il calo dell'italiano rispetto al 1970-80-90 fece temere un inesorabile declino dell'italiano in Svizzera. |
Subito dopo la pubblicazione dei dati del censimento federale della popolazione del 2000, nonostante risultasse in maniera evidente la diminuzione degli italofoni rispetto ai censimenti precedenti, non ci furono nei media svizzeri segni di preoccupazione, perché imputavano il calo essenzialmente alla diminuzione degli immigrati italiani, soprattutto a partire dai primi anni Settanta, mentre tra gli svizzeri gli italofoni risultavano in (leggero) aumento.
Negli ambienti italiani, invece, ci furono segnali di forte
preoccupazione perché il calo degli italofoni registrato in alcuni Cantoni
(Zurigo: -27,8%; Berna: -26,5%; Basilea Città: -26,7%; Soletta: -29,7%; Vaud:
-29,7%, ecc.) confermava una tendenza iniziata negli anni Settanta e sembrava
preannunciare l’inesorabile declino dell’italiano a nord delle Alpi. Tra le
conseguenze ipotizzate si parlava apertamente di un possibile disimpegno
dell’Italia nel sostegno ai corsi di lingua e cultura, della probabile
contrazione dell’offerta già esigua dell’italiano nei licei, dell’inevitabile
riduzione delle cattedre d’italiano nelle università, ecc.
Alle previsioni temute dagli italiani, in alcuni ambienti
svizzeri se ne aggiungevano altre di politica interna che vedevano nella
diminuzione dell'italofonia un declassamento della terza lingua «nazionale» a
lingua «regionale» e un rischio per la coesione nazionale. Tanto più che in un
rapporto dell’Ufficio federale della cultura sull'applicazione della Carta
europea delle lingue regionali e minoritarie era scritto che «la Svizzera ha
definito lingue regionali o minoritarie ai sensi della Carta il romancio e
l’italiano». Ma l’italiano, si chiesero alcuni osservatori, è ancora lingua
«nazionale», come indicato nella Costituzione fin dal 1848, o è solo
«regionale»?
In molti, anche in ambito politico, non esitarono ad
attribuire alla Confederazione un certo disinteresse alla salvaguardia e alla
promozione dell’italiano sia nell'amministrazione federale (visibilmente
dominata da svizzero-tedeschi e, sia pure in proporzione minore, da francofoni)
che nella politica linguistica e culturale della Svizzera. Spesso in queste
critiche si celava un’accusa d’incoerenza della Confederazione in quanto
depositaria della Costituzione a cui spettava, insieme ai Cantoni, di
applicarla in tutte le sue parti, perché sembrava indifferente all’applicazione
del dettato costituzionale che considerava l’italiano, al pari del tedesco e
del francese «lingue nazionali» (art. 109 Cost. 1848) e «lingue ufficiali»
(art. 116 Cost. 1874).
Necessità di una legge specifica sulle lingue
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Plurilinguismo svizzero, 2000 |
Si dicono «nazionali» perché
nell'Ottocento, quando fu approvata la prima Costituzione federale, non si
parlava di «comunità linguistiche» ma di etnie, stirpi, nazioni. La lingua era
considerata «fattore decisivo nell'individualità d'una stirpe» (G.
Motta). In Svizzera ce n’erano addirittura quattro aventi uguali diritti. In
Ticino, dove la difesa dell’italianità era considerata irrinunciabile, si parlò
di una sana forma di «nazionalismo
ticinese».
I padri della Costituzione federale del 1848 non potevano
ignorare lo spirito del tempo. Oggi però lo spirito è cambiato e la difesa
della lingua italiana ha bisogno di strumenti più efficaci e un impegno
costante anche da parte degli italofoni. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 15.3.2023