13 marzo 2013

Donne e uguaglianza: un’utopia?


La giornata dell’8 marzo è tradizionalmente dedicata alle donne, che in tale occasione vengono particolarmente omaggiate, soprattutto nel mondo occidentale. Si parla perciò della «festa della donna». In realtà, le «giornate» di questo tipo dedicate al ricordo o alla riflessione e anche alla festa servono soprattutto a richiamare l’attenzione su problematiche specifiche delle nostre società.
La giornata delle donne ci ha ricordato anche quest’anno, oltre al fenomeno gravissimo del femminicidio e più in generale della violenza sulle donne in ambito domestico, il problema in gran parte ancora irrisolto delle disparità tra uomo e donna. In molte parti del mondo le donne sono vistosamente discriminate. Benché rappresentino la metà del cielo, gran parte del potere in tutti i campi è ancora saldamente nelle mani dell’altra metà. Le donne fanno fatica persino ad essere sé stesse.
Anche nelle nostre società, che chiamiamo evolute, la parità è ancora lontana o addirittura un’utopia. Si pensi alle difficoltà che incontrano le donne per conciliare la vita famigliare e la vita professionale, alla diversa ripartizione dei pesi nella famiglia, agli ostacoli che devono superare le donne per farsi rispettare sul lavoro e per avanzare nella carriera. Molte donne si sentono discriminate anche nell'ambito ecclesiale e invocano maggiore ascolto e attenzione soprattutto da parte della Chiesa cattolica.

Pregiudizi maschilisti
Da che mondo è mondo gli uomini rivendicano la caratteristica della forza e dunque del dominio e del potere. Tutte le volte che si è tentato di minimizzare questa sua prerogativa l’uomo si è ribellato difendendola anche con la violenza. In questo quadro, la donna ha dovuto accettare per millenni un rango inferiore e l’appartenenza al «sesso debole», rispetto a quello «forte» degli uomini. La piena parità di diritti e di doveri tra uomo e donna è ancora di là da venire, in barba a tutte le affermazioni solenni delle istituzioni internazionali e della stessa Chiesa.
Da decenni le società più evolute registrano un lento avvicinamento tra i due sessi nella vita professionale, culturale, sociale, ma ogni anno che passa le statistiche non lasciano dubbi sulla distanza che resta ancora da colmare. Siccome in certi campi, ad esempio quello salariale, la legge è ormai quasi ovunque molto chiara e vincolante, gli uomini di potere spostano la differenza dal salario alla posizione professionale. Basta che la donna abbia una qualche competenza in meno e subito viene penalizzata. La maggiore discriminazione avviene tuttavia già prima, quando si decidono i vertici aziendali. Alle donne è generalmente precluso l’accesso e le poche eccezioni non fanno che confermare la regola.

Situazione in Italia
Non c’è dubbio che in Italia l’avvicinamento tra i due sessi abbia fatto passi da gigante, soprattutto in questi ultimi decenni. Sul piano del diritto, il principio dell’uguaglianza è garantito legalmente. In teoria, dunque, non dovrebbero esistere impedimenti alla piena realizzazione del principio. In pratica, invece, è facile costatare che l’uguaglianza è tanto più disattesa quanto più si sale nella scala gerarchica.
C’è un settore in particolare in cui le donne italiane devono purtroppo ancora lottare duramente per avvicinarsi al livello dei maschi, quello dell’occupazione. L’Italia figura all’80° posto nella classifica mondiale per l’occupazione femminile. Nel Mezzogiorno d’Italia oltre il 50% delle donne non esercita alcuna attività professionale. Una vera emergenza nazionale! E’ auspicabile che tra le priorità del futuro governo (prima o poi bisognerà pur farne uno) l’occupazione femminile, insieme a quella giovanile, abbia un posto di riguardo.
Sulla carta, in nessuna attività professionale è preclusa alle donne la scalata ai vertici. In particolare nelle amministrazioni pubbliche le donne hanno ormai accesso teoricamente a tutti i livelli. In realtà si sa bene quante poche donne siano a capo di aziende o occupino posti dirigenziali di grande responsabilità. Anche ai vertici della pubblica amministrazione le donne scarseggiano e quelle che li raggiungono continuano stranamente (!) a chiamarsi, «ministro» (anche quando si chiama Anna Maria Cancellieri o Elsa Fornero), «direttore generale», «consigliere», «ambasciatore» secondo la vecchia consuetudine di quando ad occupare queste funzioni c’erano praticamente solo uomini. Perché le titolari italiane non pretendono di essere chiamate «ministra», «direttrice», «consigliera», «ambasciatrice», ecc.?
Proprio in queste settimane da più parti si è fatto notare che nel nuovo Parlamento appena eletto le donne hanno fatto un gran balzo in avanti. Effettivamente esse costituiscono il 31% dei deputati e il 30 per cento dei senatori. Si è dunque vicini all'uguaglianza? Certamente no. Se l’obiettivo è la parità, questa è ancora molto lontana. Del resto è sintomatico che a capo delle segreterie dei grandi partiti rappresentati in Parlamento non ci sia nemmeno una donna.
Solo un settore, quello della formazione, vede le donne italiane sopravvanzare gli uomini. Le donne, da qualche decennio, studiano più degli uomini e conseguono più titoli accademici in quasi tutte le discipline. Purtroppo però, al termine degli studi, gli sbocchi professionali per le donne sono meno agevoli che per gli uomini. A livello europeo la percentuale delle donne italiane occupate con una formazione di grado terziario è bassissima.

Situazione in Svizzera
Anche in Svizzera la parità uomo-donna resta un obiettivo non ancora raggiunto, ma anno dopo anno si registra uno sviluppo positivo soprattutto nella vita professionale e nella formazione.
La partecipazione delle donne svizzere alla vita professionale, ha comunicato recentemente l’Ufficio federale di statistica (UST), è su scala internazionale piuttosto elevata: nel 2011 era del 76,7% (uomini: 88,7%). Negli ultimi vent’anni è cresciuta di quasi dieci punti percentuali grazie soprattutto al lavoro a tempo parziale (6 donne occupate su 10 lavorano a tempo parziale).
Il livello di formazione delle donne e degli uomini tende alla parità e, a differenza di quel che avviene in Italia, le donne dopo gli studi sono ben rappresentate anche a livello dirigenziale con circa un terzo di tutti i dirigenti o membri delle direzioni aziendali.
In politica, le donne fanno progressi consistenti ad ogni elezione nazionale. Non va dimenticato che in Svizzera le donne hanno ottenuto il diritto di voto a livello nazionale solo nel 1971. Da allora la partecipazione femminile in tutti gli organi politici elettivi è andata costantemente crescendo. Negli ultimi vent'anni la rappresentanza femminile è raddoppiata. 
Nel 2010 per la prima volta tre donne occupavano simultaneamente le tre più alte funzioni politiche elvetiche (presidente del Consiglio nazionale, presidente del Consiglio degli Stati, presidente della Confederazione). Oggi la proporzione femminile al Consiglio nazionale (corrispondente alla Camera dei deputati italiana) è del 29,5%. A livello di governo federale, nel biennio 1910/1911 le donne erano in maggioranza e ancora attualmente sono 3 su 7 (42,9%).
Purtroppo anche in Svizzera la violenza sulle donne è un fenomeno diffuso. Nel 1911 sono state registrate 15,4 vittime di violenza domestica ogni 10.000 donne (contro 4,9 vittime ogni 10.000 uomini).
In breve, la strada verso la parità uomo-donna anche in Svizzera è ancora lunga, ma non c’è dubbio che qui ci sono le premesse giuste per percorrerla, ossia una legislazione favorevole, un sistema formativo di prim'ordine, un diffuso senso dell’uguaglianza tra i sessi.

Situazione nella Chiesa
Le problematiche relative alla parità uomo-donna non risparmiano, come noto, anche la Chiesa cattolica. Da tempo all'interno della popolazione cattolica esiste un disagio femminile nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche per una presunta disattenzione alle loro rivendicazioni da parte della gerarchia ecclesiastica, dai preti comuni fino al Papa, passando naturalmente per i vescovi e i cardinali della Curia romana.
Le rivendicazioni sono tante, variano molto da società a società, ma in generale hanno in comune la richiesta di un chiarimento sul ruolo della donna nella Chiesa (tradizionalmente subordinato), l’attuazione integrale del principio di uguaglianza di tutti i battezzati di entrambi i sessi (già riconosciuto nella dottrina ma non nella pratica della Chiesa), la valorizzazione piena della complementarietà del servizio ecclesiale delle donne (si pensi anche solo all'apostolato, all'esercizio della carità, ecc.) fino all'accesso della donna al sacerdozio. In queste settimane alcuni osservatori si sono anche chiesti per quale ragione «dogmatica» tra gli elettori del Papa non ci sia nemmeno una donna, visto che in fondo il successore di Pietro è anche il rappresentante di tutta la Chiesa, di cui le donne costituiscono almeno la metà e sicuramente la parte più attiva.
Le problematiche sono note e i pareri, anche di teologi illuminati, molto discordi. E’ auspicabile che il nuovo Papa, nell'affrontare la crisi che attraversa oggi anche la Chiesa, trovi la forza e l’illuminazione necessarie per avviare a soluzione anche i problemi sollevati da molte donne e molti uomini di buona volontà e mossi dalle migliori intenzioni.
Giovanni Longu
Berna, 13.03.2013