La giornata dell’8 marzo è tradizionalmente dedicata alle donne, che in tale occasione vengono particolarmente omaggiate, soprattutto nel mondo occidentale. Si parla perciò della «festa della donna». In realtà, le «giornate» di questo tipo dedicate al ricordo o alla riflessione e anche alla festa servono soprattutto a richiamare l’attenzione su problematiche specifiche delle nostre società.
La giornata delle donne ci ha ricordato anche quest’anno, oltre
al fenomeno gravissimo del femminicidio e più in generale della violenza sulle
donne in ambito domestico, il problema in gran parte ancora irrisolto delle
disparità tra uomo e donna. In molte parti del mondo le donne sono vistosamente
discriminate. Benché rappresentino la metà del cielo, gran parte del potere in
tutti i campi è ancora saldamente nelle mani dell’altra metà. Le donne fanno
fatica persino ad essere sé stesse.
Anche nelle nostre società, che chiamiamo evolute, la parità
è ancora lontana o addirittura un’utopia. Si pensi alle difficoltà che
incontrano le donne per conciliare la vita famigliare e la vita professionale, alla
diversa ripartizione dei pesi nella famiglia, agli ostacoli che devono superare
le donne per farsi rispettare sul lavoro e per avanzare nella carriera. Molte
donne si sentono discriminate anche nell'ambito ecclesiale e invocano maggiore ascolto
e attenzione soprattutto da parte della Chiesa cattolica.
Pregiudizi maschilisti
Da che mondo è mondo gli uomini rivendicano la
caratteristica della forza e dunque del dominio e del potere. Tutte le volte
che si è tentato di minimizzare questa sua prerogativa l’uomo si è ribellato difendendola
anche con la violenza. In questo quadro, la donna ha dovuto accettare per
millenni un rango inferiore e l’appartenenza al «sesso debole», rispetto a
quello «forte» degli uomini. La piena parità di diritti e di doveri tra uomo e
donna è ancora di là da venire, in barba a tutte le affermazioni solenni delle
istituzioni internazionali e della stessa Chiesa.
Da decenni le società più evolute registrano un lento
avvicinamento tra i due sessi nella vita professionale, culturale, sociale, ma
ogni anno che passa le statistiche non lasciano dubbi sulla distanza che resta
ancora da colmare. Siccome in certi campi, ad esempio quello salariale, la
legge è ormai quasi ovunque molto chiara e vincolante, gli uomini di potere
spostano la differenza dal salario alla posizione professionale. Basta che la
donna abbia una qualche competenza in meno e subito viene penalizzata. La maggiore
discriminazione avviene tuttavia già prima, quando si decidono i vertici
aziendali. Alle donne è generalmente precluso l’accesso e le poche eccezioni non
fanno che confermare la regola.
Situazione in Italia
Non c’è dubbio che in Italia l’avvicinamento tra i due sessi
abbia fatto passi da gigante, soprattutto in questi ultimi decenni. Sul piano
del diritto, il principio dell’uguaglianza è garantito legalmente. In teoria,
dunque, non dovrebbero esistere impedimenti alla piena realizzazione del
principio. In pratica, invece, è facile costatare che l’uguaglianza è tanto più
disattesa quanto più si sale nella scala gerarchica.
C’è un settore in particolare in cui le donne italiane
devono purtroppo ancora lottare duramente per avvicinarsi al livello dei
maschi, quello dell’occupazione. L’Italia figura all’80° posto nella classifica
mondiale per l’occupazione femminile. Nel Mezzogiorno d’Italia oltre il 50%
delle donne non esercita alcuna attività professionale. Una vera emergenza
nazionale! E’ auspicabile che tra le priorità del futuro governo (prima o poi
bisognerà pur farne uno) l’occupazione femminile, insieme a quella giovanile,
abbia un posto di riguardo.
Sulla carta, in nessuna attività professionale è preclusa alle
donne la scalata ai vertici. In particolare nelle amministrazioni pubbliche le
donne hanno ormai accesso teoricamente a tutti i livelli. In realtà si sa bene
quante poche donne siano a capo di aziende o occupino posti dirigenziali di
grande responsabilità. Anche ai vertici della pubblica amministrazione le donne
scarseggiano e quelle che li raggiungono continuano stranamente (!) a chiamarsi,
«ministro» (anche quando si chiama Anna Maria Cancellieri o Elsa Fornero), «direttore
generale», «consigliere», «ambasciatore» secondo la vecchia consuetudine di quando
ad occupare queste funzioni c’erano praticamente solo uomini. Perché le titolari
italiane non pretendono di essere chiamate «ministra», «direttrice»,
«consigliera», «ambasciatrice», ecc.?
Proprio in queste settimane da più parti si è fatto notare
che nel nuovo Parlamento appena eletto le donne hanno fatto un gran balzo in
avanti. Effettivamente esse costituiscono il 31% dei deputati e il 30 per cento
dei senatori. Si è dunque vicini all'uguaglianza? Certamente no. Se l’obiettivo
è la parità, questa è ancora molto lontana. Del resto è sintomatico che a capo
delle segreterie dei grandi partiti rappresentati in Parlamento non ci sia nemmeno
una donna.
Solo un settore, quello della formazione, vede le donne italiane
sopravvanzare gli uomini. Le donne, da qualche decennio, studiano più degli
uomini e conseguono più titoli accademici in quasi tutte le discipline.
Purtroppo però, al termine degli studi, gli sbocchi professionali per le donne
sono meno agevoli che per gli uomini. A livello europeo la percentuale delle
donne italiane occupate con una formazione di grado terziario è bassissima.
Situazione in Svizzera
Anche in Svizzera la parità uomo-donna resta un obiettivo non
ancora raggiunto, ma anno dopo anno si registra uno sviluppo positivo soprattutto
nella vita professionale e nella formazione.
La partecipazione delle donne svizzere alla vita
professionale, ha comunicato recentemente l’Ufficio federale di statistica
(UST), è su scala internazionale piuttosto elevata: nel 2011 era del 76,7%
(uomini: 88,7%). Negli ultimi vent’anni è cresciuta di quasi dieci punti
percentuali grazie soprattutto al lavoro a tempo parziale (6 donne occupate su
10 lavorano a tempo parziale).
Il livello di formazione delle donne e degli uomini tende
alla parità e, a differenza di quel che avviene in Italia, le donne dopo gli
studi sono ben rappresentate anche a livello dirigenziale con circa un terzo di
tutti i dirigenti o membri delle direzioni aziendali.
In politica, le donne fanno progressi consistenti ad ogni
elezione nazionale. Non va dimenticato che in Svizzera le donne hanno ottenuto il
diritto di voto a livello nazionale solo nel 1971. Da allora la partecipazione
femminile in tutti gli organi politici elettivi è andata costantemente
crescendo. Negli ultimi vent'anni la rappresentanza femminile è raddoppiata.
Nel
2010 per la prima volta tre donne occupavano simultaneamente le tre più alte
funzioni politiche elvetiche (presidente del Consiglio nazionale, presidente
del Consiglio degli Stati, presidente della Confederazione). Oggi la proporzione
femminile al Consiglio nazionale (corrispondente alla Camera dei deputati
italiana) è del 29,5%. A livello di governo federale, nel biennio 1910/1911 le
donne erano in maggioranza e ancora attualmente sono 3 su 7 (42,9%).
Purtroppo anche in Svizzera la violenza sulle donne è un
fenomeno diffuso. Nel 1911 sono state registrate 15,4 vittime di violenza
domestica ogni 10.000 donne (contro 4,9 vittime ogni 10.000 uomini).
In breve, la strada verso la parità uomo-donna anche in
Svizzera è ancora lunga, ma non c’è dubbio che qui ci sono le premesse giuste
per percorrerla, ossia una legislazione favorevole, un sistema formativo di
prim'ordine, un diffuso senso dell’uguaglianza tra i sessi.
Situazione nella Chiesa
Le problematiche relative alla parità uomo-donna non
risparmiano, come noto, anche la Chiesa cattolica. Da tempo all'interno della
popolazione cattolica esiste un disagio femminile nei confronti delle gerarchie
ecclesiastiche per una presunta disattenzione alle loro rivendicazioni da parte
della gerarchia ecclesiastica, dai preti comuni fino al Papa, passando
naturalmente per i vescovi e i cardinali della Curia romana.
Le rivendicazioni sono tante, variano molto da società a
società, ma in generale hanno in comune la richiesta di un chiarimento sul ruolo
della donna nella Chiesa (tradizionalmente subordinato), l’attuazione integrale
del principio di uguaglianza di tutti i battezzati di entrambi i sessi (già riconosciuto
nella dottrina ma non nella pratica della Chiesa), la valorizzazione piena della
complementarietà del servizio ecclesiale delle donne (si pensi anche solo all'apostolato,
all'esercizio della carità, ecc.) fino all'accesso della donna al sacerdozio. In
queste settimane alcuni osservatori si sono anche chiesti per quale ragione «dogmatica»
tra gli elettori del Papa non ci sia nemmeno una donna, visto che in fondo il
successore di Pietro è anche il rappresentante di tutta la Chiesa, di cui le
donne costituiscono almeno la metà e sicuramente la parte più attiva.
Le problematiche sono note e i pareri, anche di teologi
illuminati, molto discordi. E’ auspicabile che il nuovo Papa, nell'affrontare
la crisi che attraversa oggi anche la Chiesa, trovi la forza e l’illuminazione
necessarie per avviare a soluzione anche i problemi sollevati da molte donne e
molti uomini di buona volontà e mossi dalle migliori intenzioni.
Giovanni Longu
Berna, 13.03.2013
Berna, 13.03.2013
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