23 settembre 2020

Accordi bilaterali senza paura: servono!

Dal 1900 il problema degli stranieri (e degli italiani in particolare) è stato travisato per gran parte del secolo scorso dalla lente deformante della paura e ancora oggi è visto in maniera deformata da una parte, si spera poco consistente, della popolazione svizzera. Nella seconda metà dell’Ottocento, all’origine dei rapporti tra la Svizzera e gli altri Paesi europei, a cominciare da quelli confinanti, c’era il comune desiderio di «mantenere e rassodare le relazioni d’amicizia». Oggi la motivazione principale di alcuni svizzeri per denunciare l’accordo con l’Unione europea (UE) sulla libera circolazione sembra essere ancora la paura, immotivata, di perdere parte del benessere raggiunto a causa di una presunta immigrazione di massa da alcuni Paesi europei.

La storia dovrebbe insegnare

Un poco di storia basterebbe per rendersi conto che la sopravvivenza, la sicurezza e la prosperità della Svizzera sono strettamente dipendenti dalle buone relazioni con l’Europa. Basterebbe ricordare che furono le potenze europee al Congresso di Vienna (1815) a voler riconoscere alla Svizzera uno statuto particolare di Stato indipendente, sovrano, neutrale e custode dei passi alpini nell’interesse di tutta l’Europa.

Fino alla prima guerra mondiale questo Paese ha potuto accorciare la distanza economica che lo separava dagli altri Paesi europei grazie all’immigrazione di lavoratori e professionisti provenienti soprattutto dalla Germania, dall’Austria, dalla Francia e dall’Italia. La Svizzera è sopravvissuta indenne ai due conflitti mondiali e ha potuto avvantaggiarsi nei periodi postbellici grazie alle sue industrie rimaste illese e ai flussi migratori specialmente dall’Italia. La Svizzera, anche oggi, è strettamente legata al resto del continente e non potrebbe essere diversamente, non è un’isola.

Finora la paura ancestrale della povertà e l’attaccamento al benessere, pur essendo malattie sociali molto contagiose, non sono mai riuscite a prevalere sul senso pratico e il buon senso del popolo svizzero, che ha sempre respinto (benché talvolta a debole maggioranza) le principali iniziative xenofobe. Ma quelle malattie evidentemente non sono state ancora completamente debellate, tanto è vero che si ripresentano anche oggi nella propaganda dell’Unione democratica di centro (UDC) in favore dell’iniziativa «per un’immigrazione moderata (iniziativa per la limitazione)», in votazione il prossimo 27 settembre 2020.

Le quattro libertà dell’UE

Dal 1900 il concetto di Überfremdung, «inforestierimento», è stato adattato alle diverse forme di paura che la presenza degli immigrati suscitava di volta in volta in una parte degli svizzeri più attaccati alla tradizione e ha contagiato spesso, specialmente negli anni Settanta, molte persone. Esse avevano una scusante: erano fagocitate da una propaganda populista e aggressiva che riusciva a prospettare un avvenire incerto e disagiato. Non possedevano le informazioni necessarie e gli strumenti adeguati per accertare se i pericoli prospettati erano seri o fantasiosi. Oggi la situazione è diversa perché tutti i cittadini possono rendersi conto se davvero la libera circolazione dei cittadini svizzeri e dell’UE è un bene o un male, conviene o non conviene. Tutti i media ne parlano quotidianamente.

La Svizzera può continuare a non voler far parte dell’UE, ma non può ignorare che la direzione in cui questa si sta muovendo è verso una sempre maggiore integrazione. In base al Trattato istitutivo (Roma 1957) essa dovrà garantire in particolare quattro libertà fondamentali: libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi, libera circolazione dei capitali e libera circolazione delle persone. Esse sono alla base anche dei sette accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE del 1999 (Bilaterali I), approvati dal popolo svizzero l’anno successivo col 67,2% di voti favorevoli.

Trattandosi di un blocco di accordi, denunciandone uno verrebbero a decadere anche gli altri. Del resto non è pensabile che l’UE possa accettare che gli svizzeri siano ancora disposti a condividere le prime tre libertà, ossia essenzialmente l’accesso al mercato europeo, ma non la quarta che deve assicurare la libera circolazione dei lavoratori (subordinati o autonomi).

Per far inghiottire ai cittadini svizzeri la pillola amara che la disdetta dell’accordo sulla libera circolazione farebbe decadere anche gli altri accordi, i sostenitori dell’iniziativa minimizzano i benefici prodotti finora dai Bilaterali I ed esasperano i rischi di continuare a mantenerli. La vicepresidente dell’UDC Magdalena Martullo-Blocher, ha persino affermato che tanto «l’85% degli immigrati non è necessario al mercato».

Paure senza fondamento

Nell’ignoranza di come la prosperità svizzera è stata raggiunta e nella presunzione di sapere come conservarla, ancora una volta i sostenitori dell’iniziativa ricorrono al sentimento della paura che può essere indotto nelle fasce di popolazione più deboli, sventolando lo spettro se non della povertà almeno della perdita dell’attuale benessere.

Secondo costoro, votando «no» e dunque per il mantenimento della libera circolazione dei lavoratori europei, si metterebbero a rischio i primati conseguiti dalla Svizzera riguardanti il prodotto interno lordo (PIL) pro capite, l’occupazione, i salari, i servizi sociali, il sistema di previdenza per la vecchiaia e persino il sistema dei trasporti (addirittura a rischio di «collasso»). Per esempio, sostengono i populisti, il PIL svizzero pro capite di 80'000 franchi rischierebbe di contrarsi con l’arrivo in massa di lavoratori provenienti da Paesi in cui è molto più basso (in Italia 32'000, in Grecia 17'000, in Romania 12'000, in Bulgaria 9'000 franchi).

La prospettiva dei sostenitori dell’iniziativa di un afflusso incontrollato di cittadini europei è terrorizzante. Lo scenario che fanno balenare è infatti il seguente: siccome nei Paesi dell’UE, Italia e Francia comprese, le cifre della disoccupazione «esplodono», ancora più persone cercheranno di venire qui «in cerca di un lavoro o un posto nel nostro sistema sociale» (la stessa paura evocata da C.A. Schmid 120 anni fa!). In questa visione, ad essere maggiormente colpiti sarebbero i lavoratori anziani perché «vengono sostituiti con manodopera straniera a basso costo» e «un terzo di loro non trova più un impiego»). Inevitabilmente aumenterebbe la disoccupazione, la pressione sui salari, la povertà, ecc.

A ben vedere, le prospettive pessimistiche dei fautori del sì all’iniziativa sono peggiori di quelle che venivano sventolate negli anni Settanta ai tempi di Schwarzenbach. Questi infatti aggiungono che con l’arrivo in massa dei lavoratori europei andrebbe in crisi anche il sistema di previdenza per la vecchiaia, «oggi al primo posto su scala mondiale, Germania al 13°, Italia e Spagna rispettivamente al 29° e al 31°, Grecia al 41° posto», per non parlare di Romania, Bulgaria, Albania o Kosovo. Cosa succederà a breve, si chiedono i sostenitori dell’iniziativa, se non si limita la libera circolazione? Già oggi, tiene a ricordare l’esponente UDC citata, «sei beneficiari dell’assistenza sociale su dieci sono stranieri!», naturalmente senza chiedersi «perché?».

Ottimismo ragionevole

I contrari all’iniziativa, e dunque favorevoli al mantenimento degli accordi con l’UE, sostengono invece che gli accordi con l’UE hanno garantito finora alla Svizzera lavoro e benessere. La libera circolazione ha consentito all’economia svizzera un’ampia scelta del personale di cui aveva bisogno e ha contribuito a un sostanziale miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro di tutti i lavoratori. Ben gravi, invece, sarebbero i rischi per l’economia e il mercato del lavoro svizzero se venisse denunciato quell’accordo, perché automaticamente decadrebbero anche gli altri accordi sottoscritti nel 1999. La situazione che ne deriverebbe, soprattutto per la Svizzera, sarebbe di un’incertezza molto pericolosa perché potrebbe derivarne per i prodotti svizzeri una forte contrazione del mercato europeo e altre limitazioni. Dunque i bilateriali servono ancora!

C’è un altro argomento rassicurante nei sostenitori del no all’iniziativa che riporta la discussione dalle fantasie e dalle paure degli anti-bilaterali alla concretezza delle regole e dei fatti. Lo spauracchio dell’immigrazione di massa non ha alcun fondamento perché gli accordi sottoscritti nel 1999 parlano chiaro: la libera circolazione è un diritto applicabile solo ai «lavoratori» e a persone «non attive», a certe condizioni. Essa è garantita a chi ha un contratto di lavoro o svolge un’attività indipendente, non a chiunque, a meno che si tratti di benestanti (pensionati, studenti, ecc.) in grado di dimostrare di avere mezzi finanziari sufficienti per vivere, sottoscrivere un’assicurazione malattia, ecc.

L’ex consigliere nazionale Fulvio Pelli ha fatto bene a ricordare all’ex consigliere federale Christoph Blocher nel corso di un dibattito pubblico che la libera circolazione non riguarda solo i cittadini dell’UE ma anche i cittadini svizzeri e non si vede quale vantaggio rappresenterebbe l’approvazione dell’iniziativa. Il richiamo alle libertà svizzere fa ben sperare, l’ottimismo è ragionevole.

Giovanni Longu
Berna, 23.09.2020