21 giugno 2023

La nuova migrazione in Svizzera (seconda parte)

Molti dei nuovi emigranti italiani giungono in Svizzera già con un contratto di lavoro, altri senza. Alla prima categoria appartengono soprattutto persone qualificate che sanno già cosa faranno, dove alloggeranno, ecc. In genere l’azienda che le assume ha già predisposto tutto per l’accoglienza e l’inserimento nell'attività. Alla seconda categoria appartengono, invece, per lo più persone poco qualificate alla ricerca di un impiego, non sempre ben specificato. Spesso per queste la strada dell’integrazione professionale è problematica, perché nell'economia svizzera il lavoro generico è poco richiesto e perché l’azienda eventualmente disposta ad assumerle non offre loro la possibilità di una solida formazione professionale di base. Inoltre, spesso queste persone conoscono poco la Svizzera, la lingua locale, le condizioni di lavoro, ecc.

Perché si continua a emigrare nonostante i rischi?

A prescindere dall'attività svolta dai nuovi immigrati, viene spontaneo chiedersi perché dall'Italia si continua ad emigrare. La risposta più immediata è sicuramente: perché si cerca all'estero ciò che non si è potuto avere in patria, per esempio un posto di lavoro sicuro e ben retribuito, possibilità di mettere a frutto conoscenze e competenze che in Italia non si riesce a valorizzare pienamente o a sviluppare (mancanza di opportunità lavorative e di ricerca), necessità di avere un progetto di vita personale e familiare, desiderio di fare esperienze nuove, ecc. Questa risposta, alquanto generica, merita alcune considerazioni sull'emigrazione in generale e su quella meridionale in particolare.

Una prima considerazione, che interessa soprattutto le persone della seconda categoria evocata sopra, concerne i rischi e le conseguenze dell’emigrazione. Con la «libera circolazione» praticata nell’Unione Europea (UE) si tende spesso a minimizzare i rischi. Con un riferimento particolare alla Svizzera, dove sono ogni anno numerosi i nuovi immigrati italiani, si nota spesso che molti non si rendono conto, per esempio, che per quasi ogni attività sono richieste una qualifica professionale specifica o spiccate capacità lavorative, che non è sempre facile trovare un’occupazione corrispondente alle attese, che sono indispensabili ovunque conoscenze linguistiche sufficienti per comunicare, che il costo della vita è elevato, ecc.

E’ vero che più che in passato i nuovi immigrati hanno una notevole capacità di apprendimento, di adattabilità e di flessibilità, ma si sa che molti non riescono comunque a realizzare le loro aspettative e i loro sogni e l’emigrazione può risultare un motivo di frustrazione. Del resto, lo ricordava nel messaggio del 2 giugno (cfr. articolo precedente), anche il Presidente Sergio Mattarella, l’emigrazione è spesso, anche oggi, accompagnata da privazioni, tribolazioni e sacrifici. E’ un rischio. E già questa considerazione basterebbe per spingere il governo e le forze politiche ad agire, favorendo soprattutto nel Mezzogiorno (che con l’emigrazione rischia d’impoverirsi ancora di più) la creazione di opportunità di lavoro specialmente per i giovani e promuovendo un’economia sostenibile.

Conseguenze dell’emigrazione soprattutto per il Mezzogiorno

Un’altra considerazione, utile da ricordare, concerne le conseguenze della nuova emigrazione e dovrebbe sollecitare ancor di più l’attenzione della classe politica italiana e delle regioni meridionali. L’una e le altre sembrano infatti non accorgersi dei danni che provoca l’emigrazione. Ciò che sorprende e scandalizza è che le statistiche sull'emigrazione sono note, come pure le cause che l’alimentano e le conseguenze che provoca, e ciò nonostante i governi centrale e regionali interessati sembrano, se non indifferenti, incapaci di aggredire alla radice il fenomeno. Si ha l’impressione che lo si accetti come una fatalità e una condizione irrimediabile come nell'immediato dopoguerra, senza rendersi conto che l’emigrazione, oggi più che in passato, rappresenta una perdita enorme per il Paese, sia a Nord che a Sud. A Nord perché molti giovani, spesso altamente qualificati, preferiscono andare all'estero, nei grandi poli industriali dell’UE e della Svizzera, dove sanno di ottenere buoni salari e migliori condizioni di lavoro. A Sud perché la tendenza è ancora quella che spinge soprattutto i giovani a cercare lavoro nel Nord Italia. A farne le spese è dunque soprattutto il Mezzogiorno, che oltre all'ulteriore impoverimento ora deve far fronte anche a una costante perdita di popolazione attiva e alla crisi della denatalità.

Ma come, verrebbe da chiedersi, i politici italiani ancora non si rendono conto che l’emigrazione è peggio della fuga di capitali finanziari perché rappresenta la perdita di un capitale umano ben più prezioso? Eppure il presidente Mattarella nel messaggio del 2 giugno ha ricordato che la moltitudine di emigrati italiani nel mondo, «creando ricchezza e civiltà, grazie al lavoro e all'impegno sviluppati […] ha contribuito, largamente, alla crescita, economica e civile, dei Paesi ospitanti».

Si può rinunciare fatalisticamente a un tale capitale umano senza nemmeno tentare di valorizzarlo? Esistono soluzioni possibili e praticabili? E’ utilizzabile il PNRR anche in questo campo? (Segue)

Giovanni Longu
Berna 21.06.2023