Molti dei nuovi emigranti italiani giungono in Svizzera già con un contratto di lavoro, altri senza. Alla prima categoria appartengono soprattutto persone qualificate che sanno già cosa faranno, dove alloggeranno, ecc. In genere l’azienda che le assume ha già predisposto tutto per l’accoglienza e l’inserimento nell'attività. Alla seconda categoria appartengono, invece, per lo più persone poco qualificate alla ricerca di un impiego, non sempre ben specificato. Spesso per queste la strada dell’integrazione professionale è problematica, perché nell'economia svizzera il lavoro generico è poco richiesto e perché l’azienda eventualmente disposta ad assumerle non offre loro la possibilità di una solida formazione professionale di base. Inoltre, spesso queste persone conoscono poco la Svizzera, la lingua locale, le condizioni di lavoro, ecc.
Perché si continua a emigrare nonostante i rischi?
Una
prima considerazione, che interessa soprattutto le persone della seconda
categoria evocata sopra, concerne i rischi e
le conseguenze dell’emigrazione. Con la «libera circolazione» praticata nell’Unione
Europea (UE) si tende spesso a minimizzare i rischi. Con un riferimento
particolare alla Svizzera, dove sono ogni anno numerosi i nuovi immigrati italiani,
si nota spesso che molti non si rendono conto, per esempio, che per quasi ogni
attività sono richieste una qualifica professionale specifica o spiccate
capacità lavorative, che non è sempre facile trovare un’occupazione
corrispondente alle attese, che sono indispensabili ovunque conoscenze
linguistiche sufficienti per comunicare, che il costo della vita è elevato,
ecc.
E’
vero che più che in passato i nuovi immigrati hanno una notevole capacità di
apprendimento, di adattabilità e di flessibilità, ma si sa che molti non
riescono comunque a realizzare le loro aspettative e i loro sogni e
l’emigrazione può risultare un motivo di frustrazione. Del resto, lo ricordava
nel messaggio del 2 giugno (cfr. articolo precedente), anche il Presidente Sergio Mattarella, l’emigrazione è spesso, anche oggi, accompagnata
da privazioni, tribolazioni e sacrifici. E’ un rischio. E già questa
considerazione basterebbe per spingere il governo e le forze politiche ad agire,
favorendo soprattutto nel Mezzogiorno (che con l’emigrazione rischia
d’impoverirsi ancora di più) la creazione di opportunità di lavoro specialmente
per i giovani e promuovendo un’economia sostenibile.
Conseguenze dell’emigrazione soprattutto per il Mezzogiorno
Ma
come, verrebbe da chiedersi, i politici italiani ancora non si rendono conto
che l’emigrazione è peggio della fuga di capitali finanziari perché rappresenta
la perdita di un capitale umano ben più prezioso? Eppure il presidente Mattarella nel messaggio del 2 giugno ha ricordato che la
moltitudine di emigrati italiani nel mondo, «creando ricchezza e civiltà,
grazie al lavoro e all'impegno sviluppati […] ha contribuito,
largamente, alla crescita, economica e civile, dei Paesi ospitanti».
Si può rinunciare fatalisticamente a un tale capitale umano
senza nemmeno tentare di valorizzarlo? Esistono soluzioni possibili e
praticabili? E’ utilizzabile il PNRR anche in questo campo? (Segue)
Giovanni Longu
Berna 21.06.2023