09 ottobre 2024

33. L’Europa dei Papi: Giovanni Paolo II (3a parte)

I risultati della Conferenza di Helsinki (1973-1975), ai quali la Santa Sede aveva contribuito significativamente con interventi mirati di Mons. Agostino Casaroli, saranno bene accolti da Karol Wojtyła (papa dal 1978), perché rappresentavano secondo lui un buon punto di partenza per sviluppare la «politica del dialogo» avviata dai suoi predecessori con i Paesi dell’Est e con l’Unione Sovietica, anch'essi firmatari degli Accordi. Egli riteneva che non sarebbe stato difficile trovare un’intesa sui principi sottoscritti a Helsinki, legando insieme i diritti degli Stati e i diritti delle persone, anche se la loro applicazione avrebbe potuto incontrare resistenze persino nel mondo cattolico (perché alcuni prelati si opponevano a ogni forma di dialogo con i marxisti). Giovanni Paolo II era invece convinto che quella fosse la strada giusta da percorrere per il bene della Chiesa e anche dell’Europa. E la percorse, fino all'ultimo.

La Conferenza di Helsinki

Giovanni Paolo II e il card. Agostino Casaroli, appena nominato
Segretario di Stato e corresponsabile della Ostpolitik del Vaticano.
La Conferenza di Helsinki fu organizzata quasi trent'anni dopo la fine della seconda guerra mondiale con l’obiettivo di dare sicurezza e garanzie di sviluppo comune all'Europa, allora divisa e ostacolata dalla logica dei blocchi contrapposti. In quanto polacco, Giovanni Paolo II percepiva anche il peso dello schiacciamento e del controllo sovietico, che impediva ai Paesi dell’Europa orientale di evolversi liberamente come quelli della parte occidentale.

Inoltre, osservava con forte preoccupazione, soprattutto all'est, la corsa agli armamenti. Infatti l’Unione Sovietica, sentendosi minacciata dal dinamismo dell’alleanza militare occidentale, la NATO (costituitasi nel 1949 per arginare l’espansionismo sovietico), nel 1955 aveva creato anch'essa un’alleanza militare, il «Patto di Varsavia», sottraendo risorse preziose allo sviluppo. E’ vero che il risultato fu un lungo periodo di distensione, ma contribuì anche ad accrescere lo squilibrio tra i Paesi dell’Est e i Paesi dell’Ovest e i rischi di un’altra guerra sconvolgente in Europa.

Per evitare che la profonda spaccatura tra Est e Ovest potesse degenerare e per gettare le basi di uno sviluppo a beneficio dell’intero continente, nel 1973 fu convocata a Helsinki una Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa a cui parteciparono 35 Stati. Forse nella speranza di una posizione equilibratrice moderata, fu invitata dal governo finlandese a parteciparvi (su richiesta dei Paesi del blocco orientale) anche la Santa Sede (Vaticano).

Il risultato, noto come Atto Finale di Helsinki (1975), non poteva essere che un compromesso a cui tutti gli Stati partecipanti aderirono, forse sapendo che gli impegni reali erano minimi e le possibilità di ovviarli tante. Giovanni Paolo II, che sarebbe stato eletto papa tre anni dopo, avrebbe probabilmente preferito maggiore chiarezza e impegno, ma riteneva che i pur vaghi impegni presi gli avrebbero comunque consentito di sviluppare la sua «politica» europea. Bastava trovare una relazione stringente tra i diritti degli Stati (benvisti da tutti i firmatari) e i diritti umani (inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione), auspicati soprattutto da alcuni e in particolare dalla Santa Sede.

Diritti degli Stati e «diritti umani»

Agli Stati firmatari dell’Atto Finale interessava soprattutto la «Dichiarazione sui principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti» (rispetto della sovranità, inviolabilità delle frontiere, non ricorso alla minaccia dell’uso della forza, composizione pacifica delle controversie, non ingerenza negli affari interni, rafforzamento della sicurezza promuovendo la distensione e il disarmo, cooperazione fra gli Stati nei campi dell’economia, della scienza, della tecnica e dell’ambiente, ecc.). Alla Santa Sede interessava soprattutto il «rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo», ma interessavano anche le questioni delle minoranze nazionali ritenute in grado di fornire un contributo alla cooperazione tra gli Stati sul cui territorio esse esistono.

Giovanni Paolo II, a cui stavano particolarmente a cuore i diritti umani e in particolare le libertà religiose, cercò in diverse occasioni di legare strettamente insieme i diritti degli Stati (esclusi quelli totalitari!) e i diritti umani della tradizione cristiana, stabilendo tra loro una relazione inscindibile. Del resto, per lui (e obiettivamente), la Chiesa non è mai stata estranea a questi rapporti, perché «il Cristianesimo è stato nel nostro Continente un fattore primario di unità tra i popoli e le culture e di promozione integrale dell'uomo e dei suoi diritti», «la storia del Continente europeo è contraddistinta dall'influsso vivificante del Vangelo» e «la modernità europea stessa che ha dato al mondo l'ideale democratico e i diritti umani attinge i propri valori dalla sua eredità cristiana».

Per questo Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, ha insistito tanto sul riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa, non solo come rimedio a un diffuso «smarrimento della memoria» di una verità storica, ma anche come una speranza rigeneratrice. (Segue)

Giovanni Longu

Berna, 09.10.2024