I risultati della Conferenza di Helsinki (1973-1975), ai
quali la Santa Sede aveva contribuito significativamente con interventi mirati di Mons. Agostino Casaroli, saranno bene accolti
da Karol
Wojtyła (papa dal 1978),
perché rappresentavano secondo lui un buon punto di partenza per sviluppare la
«politica del dialogo» avviata dai suoi predecessori con i Paesi dell’Est e con
l’Unione Sovietica, anch'essi firmatari degli Accordi. Egli riteneva che non
sarebbe stato difficile trovare un’intesa sui principi sottoscritti a Helsinki,
legando insieme i diritti degli Stati e i diritti delle persone, anche se la
loro applicazione avrebbe potuto incontrare resistenze persino nel mondo
cattolico (perché alcuni prelati si opponevano a ogni forma di dialogo con i
marxisti). Giovanni Paolo II era invece convinto che quella fosse la strada
giusta da percorrere per il bene della Chiesa e anche dell’Europa. E la
percorse, fino all'ultimo.
La Conferenza di Helsinki
Giovanni Paolo II e il card. Agostino Casaroli, appena nominato Segretario di Stato e corresponsabile della Ostpolitik del Vaticano. |
Inoltre, osservava con forte
preoccupazione, soprattutto all'est, la corsa agli armamenti. Infatti l’Unione
Sovietica, sentendosi minacciata dal dinamismo dell’alleanza militare
occidentale, la NATO (costituitasi nel 1949 per arginare l’espansionismo
sovietico), nel 1955 aveva creato anch'essa un’alleanza militare, il «Patto di
Varsavia», sottraendo risorse preziose allo sviluppo. E’ vero che il risultato
fu un lungo periodo di distensione, ma contribuì anche ad accrescere lo
squilibrio tra i Paesi dell’Est e i Paesi dell’Ovest e i rischi di un’altra
guerra sconvolgente in Europa.
Per evitare che la profonda
spaccatura tra Est e Ovest potesse degenerare e per gettare le basi di uno
sviluppo a beneficio dell’intero continente, nel 1973 fu convocata a Helsinki una
Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in
Europa a cui parteciparono 35 Stati. Forse
nella speranza di una posizione equilibratrice moderata, fu invitata dal
governo finlandese a parteciparvi (su richiesta dei Paesi del blocco orientale)
anche la Santa Sede (Vaticano).
Il risultato, noto come Atto Finale
di Helsinki (1975), non poteva essere che un compromesso a cui tutti gli Stati
partecipanti aderirono, forse sapendo che gli impegni reali erano minimi e le
possibilità di ovviarli tante. Giovanni Paolo II, che sarebbe stato eletto papa
tre anni dopo, avrebbe probabilmente preferito maggiore chiarezza e impegno, ma
riteneva che i pur vaghi impegni presi gli avrebbero comunque consentito di sviluppare
la sua «politica» europea. Bastava trovare una relazione stringente tra i diritti
degli Stati (benvisti da tutti i firmatari) e i diritti umani (inclusa
la libertà di pensiero, coscienza, religione),
auspicati soprattutto da alcuni e in particolare dalla Santa Sede.
Diritti
degli Stati e «diritti umani»
Agli Stati firmatari dell’Atto Finale interessava soprattutto la «Dichiarazione sui principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti» (rispetto della sovranità, inviolabilità delle frontiere, non ricorso alla minaccia dell’uso della forza, composizione pacifica delle controversie, non ingerenza negli affari interni, rafforzamento della sicurezza promuovendo la distensione e il disarmo, cooperazione fra gli Stati nei campi dell’economia, della scienza, della tecnica e dell’ambiente, ecc.). Alla Santa Sede interessava soprattutto il «rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo», ma interessavano anche le questioni delle minoranze nazionali ritenute in grado di fornire un contributo alla cooperazione tra gli Stati sul cui territorio esse esistono.
Giovanni Paolo II, a cui stavano
particolarmente a cuore i diritti umani e in particolare le libertà religiose, cercò
in diverse occasioni di legare strettamente insieme i diritti degli Stati (esclusi
quelli totalitari!) e i diritti umani della tradizione cristiana, stabilendo
tra loro una relazione inscindibile. Del resto, per lui (e obiettivamente), la
Chiesa non è mai stata estranea a questi rapporti, perché «il Cristianesimo
è stato nel nostro Continente un fattore primario di unità tra i popoli e le
culture e di promozione integrale dell'uomo e dei suoi diritti», «la storia del Continente europeo è contraddistinta
dall'influsso vivificante del Vangelo» e «la modernità europea stessa che ha
dato al mondo l'ideale democratico e i diritti umani attinge i propri valori
dalla sua eredità cristiana».
Per questo Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, ha
insistito tanto sul riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa, non solo
come rimedio a un diffuso «smarrimento della memoria» di una verità storica, ma
anche come una speranza rigeneratrice. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 09.10.2024