07 ottobre 2009

Il servizio pubblico e la libertà di stampa in Svizzera e in Italia

La settimana scorsa, soprattutto in Italia, si è manifestato per la libertà d’informazione e contro i pericoli di una sua limitazione. Indirettamente, ma non velatamente, la manifestazione era diretta contro Berlusconi (proprietario di televisioni e giornali) e il suo governo, accusati di voler controllare l’intera informazione italiana, compreso il servizio pubblico. Insomma contro il «regime» Berlusconi.
Questo genere di manifestazioni m’insospettisce e mi preoccupa perché non è mai ben chiara la vera ragione della denuncia e perché il rischio di strumentalizzazione è troppo forte. Tanto è vero che questi assembramenti sono quasi sempre monocolore e contro avversari politici ben precisi. Alla manifestazione di Roma i manifestanti erano soprattutto sostenitori della stampa di sinistra.
Il vero scopo della manifestazione non mi è chiaro e probabilmente non lo era nemmeno ai numerosi partecipanti. Non c’è infatti in Italia, e non ci potrebbe essere dato il quadro giuridico nazionale e internazionale, alcuna minaccia alla libertà d’informazione, garantita dalla «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» approvata dall’ONU (1948), dalla «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (1950), dalle direttive europee, dalla Costituzione e dalle leggi italiane, ecc.
Informazione e lotta politica
La ragione del disagio di certa stampa e di certi giornalisti va forse ricercata in una spregiudicata interpretazione di tutti i documenti citati. Oppure si crede e si cerca di far credere che solo la stampa d’opposizione è «libera», mentre tutto il resto è schiavo del padrone. E poiché, in Italia, da qualche tempo «il padrone» è lui, sempre più stabilmente al potere, si vorrebbe far credere che la stampa e i media in generale sono sempre più imbavagliati da Berlusconi.
Probabilmente la realtà è molto meno drammatica di come la si dipinge e certa stampa sembra mossa non tanto dalla libertà d’opinione e d’informazione, ma dall’odio politico per cui vorrebbe essere totalmente libera di dire, scrivere e mostrare tutto quel che ritiene funzionale alla lotta politica. A ben vedere, infatti, molte delle presunte «informazioni» sono distorsioni, interpretazioni capziose della realtà. Non sono «notizie» perché «la notizia è comunque e sempre un fatto vero» (Wikipedia).
Si deve anche aggiungere che in nessuno Stato di diritto, garante della libertà di opinione, d’espressione e di stampa, può esistere un diritto illimitato di dire quel che si pensa (anche le falsità, le calunnie, le ingiurie) o di rendere pubblico qualsiasi fatto realmente accaduto (anche se conosciuto illegalmente, fraudolentemente, o se concerne direttamente la sfera privata della persona). Certa stampa e certi giornalisti vorrebbero invece una libertà «assoluta», ossia svincolata da ogni limite, da ogni regola e da ogni controllo.
Il controllo dello Stato
Bisognerebbe inoltre stare attenti alle confusioni e alle mistificazioni. Un conto è la libertà di opinione e di espressione in generale e ben altra cosa è la libertà d’informazione nel servizio pubblico. La «libertà d’informazione», in questo caso, presuppone sempre un «interesse pubblico». E poiché questo interesse è difficile da definire (ma non può essere lasciato all’esclusiva valutazione del singolo giornalista o conduttore), in tutti i Paesi democratici interviene lo Stato con apposite leggi e convenzioni a regolamentare il servizio pubblico.
Solo in Italia, a certuni e a certa stampa, sembra scandaloso che lo Stato intervenga al riguardo, magari per sottrarlo alla strumentalizzazione politica o per impedirne un uso spregiudicato da parte di singoli personaggi avidi di notorietà o giornalisti e conduttori faziosi e irresponsabili. Eppure è del tutto evidente che in Italia le interferenze politiche sul servizio pubblico sono esagerate, che certe trasmissioni televisive sono faziose, che certi giornalisti e conduttori si servono del mezzo televisivo come clava per colpire avversari politici, in barba al pluralismo e al senso di equilibrio di cui dovrebbero dar prova e in barba al servizio pubblico.
Sulla legittimità dello Stato a intervenire sul servizio pubblico la «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (1950) è chiara. Dopo aver ricordato il diritto di ogni persona alla libertà d’opinione, d’espressione e di ricevere o comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche, precisa che gli Stati possono sottoporre «a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione». Inoltre, «l’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge (…) per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
Il servizio pubblico in Svizzera e in Italia
Ispirandosi a questi principi, la Svizzera regola il servizio pubblico con la legge federale sulla radiotelevisione» e con la Concessione rilasciata all’ente televisivo svizzero (la SRG SSR idée suisse), in cui si specifica, per esempio, che «nei suoi programmi la SSR promuove la comprensione, la coesione e lo scambio fra le regioni del Paese, le comunità linguistiche, le culture, le religioni e i gruppi sociali. Essa promuove l’integrazione in Svizzera degli stranieri, il contatto fra gli Svizzeri all’estero e la patria nonché la presenza della Svizzera all’estero e la comprensione per le sue aspirazioni. Prende in considerazione le particolarità del Paese e i bisogni dei Cantoni».
Dice inoltre che con i suoi programmi la SSR deve contribuire «a) alla libera formazione delle opinioni del pubblico mediante un’informazione completa, diversificata e corretta, in particolare sulla realtà politica, economica e sociale; b) allo sviluppo culturale e al rafforzamento dei valori culturali del Paese nonché alla promozione della cultura svizzera…»; c) alla formazione del pubblico, segnatamente mediante trasmissioni periodiche di contenuto educativo….».
La Concessione dice anche che «i singoli settori dei programmi si conformano al mandato e si distinguono per la credibilità, il senso di responsabilità, la rilevanza e la professionalità giornalistica». Ce n’è quanto basta e va aggiunto che generalmente il servizio radiotelevisivo svizzero è ritenuto serio.
In Italia il servizio pubblico radiotelevisivo è regolato per il 2007-2009 (dunque in scadenza) dal «Contratto nazionale di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI – radiotelevisione italiana s.p.a.».
All’articolo 2 si precisa fra l’altro che l’offerta dev’essere anzitutto «rispettosa dell’identità valoriale e ideale del nostro Paese, della sensibilità dei telespettatori e della tutela dei minori» ed ha tra i suoi compiti prioritari «la libertà, la completezza, l’obiettività e il pluralismo dell’informazione».
All’art. 4 si precisano le varie tipologie dell’offerta televisiva, una delle quali è l’«approfondimento». In riferimento ai temi politici si parla, credo a giusta ragione, di «confronti» (e non di semplice informazione da parte di un giornalista o un conduttore) , aggiungendo che essi potrebbero basarsi «sul contradditorio delle opinioni e delle posizioni», proprio per mettere in evidenza la completezza e il pluralismo dell’informazione da parte del servizio pubblico, lasciare ai telespettatori le proprie valutazioni conclusive.
Alcune trasmissioni di «approfondimento» sono in Italia oggetto di controversie proprio perché ritenute prive di un vero contradditorio, vistosamente pilotate, carenti sotto l’aspetto dell’obiettività e del pluralismo. Di alcune, come Annozero, si dice addirittura che siano faziose e tendenziose.
Il quarto potere
Si potrebbe dire a questo punto che «de gustibus non est disputandum», nel senso che i telespettatori possono avere legittimamente opinioni diverse, ma proprio la pluralità di opinioni e soprattutto la contrapposizione di opinioni totalmente divergenti impongono una seria riflessione sul servizio pubblico, specialmente televisivo, divenuto il quarto potere dello Stato. Ormai non si può prescindere dal fatto che i mass media possano influenzare le opinioni dell’elettorato e che il potere dei media, sebbene debba essere regolato, non può sottostare a nessun altro potere, tanto meno a quello del governo.
In questa ottica sarebbe giustificata ogni manifestazione che mirasse a garantire la libertà d’opinione e di espressione, perché è nell’interesse pubblico che i media siano liberi, anche di discutere la politica del governo e di criticarla. Ciò che non è accettabile è invece rivendicare un diritto per farne un uso improprio o addirittura illegittimo. Ma stando nel lecito, nel rispetto delle leggi e dei diritti degli altri, la libertà di opinione e di espressione è sinonimo di democrazia. Se è concessa persino all’on. Di Pietro quando apostrofa il Capo dello Stato, perché non dovrebbe essere consentita ai giornalisti e agli opinionisti?
E’ la democrazia, governo del popolo, che vuole la più ampia libertà di parola e d’informazione, senza censure e senza limiti, se non quelli dettati dalle leggi e dal buon senso. La libertà di stampa è l’unica che può mettere a nudo le debolezze i difetti dei governanti. Guai se non esistesse questa libertà, perché altrimenti il re nudo si crederebbe davvero invisibile come nella favola di Andersen e perciò inarrivabile e inattaccabile anche nel caso che usasse male il suo potere.
«Il re è nudo» della favola deve però restare una metafora. Purtroppo invece molti giornali e giornalisti vorrebbero vedere davvero Berlusconi denudato, ricorrendo persino a testimonianze di persone tutt’altro che interessate alla verità, addirittura scaltre e spregiudicate tanto da munirsi di registratori anche in camera da letto. La sfera privata delle persone e il gossip non rientrano in un sano interesse pubblico e pertanto nemmeno tra i compiti del servizio pubblico.
So che non è facile, per un personaggio pubblico, la distinzione tra pubblico e privato, ma per favore, certi luoghi e certi comportamenti non sono di alcun interesse pubblico, salvo forse per Santoro e altri come lui. I problemi di cui il popolo italiano vorrebbe essere meglio informato sono ben altri e sui quali purtroppo si fa ben poco sia in prima che in seconda serata.
Giovanni Longu
Berna, 7.10.2009