15 febbraio 2023

Immigrazione italiana 1868-2000: 32. Considerazioni finali: 10. Una storia a lieto fine!

Con questo articolo termina la trattazione sistematica della lunga storia dell’immigrazione «regolare» italiana in Svizzera, iniziata col Trattato di domicilio e consolare del 22 luglio 1868 tra la Confederazione e l’Italia, e finita, nella sua forma tradizionale, con l’entrata in vigore il 1° giugno 2002 dell'Accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone tra la Confederazione Svizzera (CH) e l'Unione Europea (EU). L’elemento di continuità di questa storia era annunciato nell'articolo 1 del Trattato del 1868: assicurare la libera circolazione dei cittadini italiani e svizzeri nei due Paesi contraenti («libertà reciproca di domicilio e di commercio») nello spirito di una «amicizia perpetua» tra la Confederazione e il Regno d’Italia. Che si tratti di una storia a lieto fine lo si desume sia dal fatto che quel Trattato è tutt'ora in vigore, addirittura rafforzato dall'Accordo CH-UE del 1999 sulla libera circolazione delle persone, e sia dal fatto che la collettività italiana e italo-svizzera è ancora in crescita.

Interesse reciproco

Molte immagini dell’immigrazione italiana sono legate ai grandi trafori ferroviari, alla costruzione
delle dighe e all'edilizia, ma gli italiani hanno partecipato alla trasformazione dell'intera Svizzera.

La storia dell’immigrazione italiana in Svizzera era iniziata nel modo migliore possibile perché rispondeva a due principi fondamentali: la condivisione dei valori del due contraenti e l’interesse reciproco. Il Trattato del 1868 fu infatti stipulato perché i due Paesi contraenti erano mossi dal desiderio di «mantenere e rassodare le relazioni d’amicizia che stanno fra le due nazioni e dare mediante nuove e più liberali stipulazioni più ampio sviluppo ai rapporti di buon vicinato tra i cittadini dei due paesi».

Che di fatto la principale beneficiaria sia stata la Svizzera è fuori discussione. Basti pensare alla realizzazione della fitta rete ferroviaria (Ottocento e inizio Novecento) a cui gli italiani hanno partecipato in misura preponderante, alla sistemazione urbanistica delle principali città svizzere, alla formazione e al rinnovo del ricco patrimonio edilizio (fino a pochi decenni fa, alla realizzazione dell’imponente infrastruttura energetica (grandi dighe e centrali idroelettriche), alla partecipazione consistente nel sistema produttivo e commerciale svizzero. Ovunque, nelle fabbriche, sui cantieri, nei servizi gli italiani sono sempre stati richiesti e stimati.

Tuttavia, anche l’Italia, gli immigrati italiani e i loro discendenti hanno beneficiato largamente dell’esperienza migratoria (cfr. in proposito gli articoli dal 21.12.2022 al 18.1.2223). Non va infatti dimenticato che molti di essi, prima dell’emigrazione, avevano scarse prospettive di un futuro occupazionale sicuro e sereno. Nell'emigrazione hanno trovato sicurezza e prosperità per sé e per le loro famiglie.

«Uniformarsi alle leggi del Paese»

Quando agli inizi del secolo scorso si diceva che gli italiani trovavano facilmente lavoro perché erano disposti ad accettare salari inferiori a quelli pretesi dagli svizzeri si mentiva, perché gli italiani sono stati sempre in prima fila nelle rivendicazioni per salari giusti e per la sicurezza sul posto di lavoro, ma erano anche molto attivi nell'autoprotezione (creando associazioni di mutuo soccorso in tutte le principali città con un numero importante di lavoratori) e nella creazione di imprese proprie soprattutto nel ramo edile (molte sono ancora attive), ma anche nella ristorazione e nella vendita (generi alimentari e prodotti italiani).

L’immigrazione italiana in Svizzera incontrò talvolta grosse difficoltà (xenofobia, lavori pericolosi, incidenti mortali, eccessiva rigidità nella concessione e trasformazione dei permessi, ecc.), ma talvolta sono stati gli stessi immigrati a non volersi «uniformare alle leggi del Paese», ossia l’unica condizione importante prevista dal Trattato del 1868 per «entrare liberamente, viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte dei territorio, senza che per i passaporti e per i permessi di dimora e per l’esercizio di loro professione siano sottoposti a tassa alcuna, onere o condizione fuor di quelle cui sottostanno i nazionali» (art. 1, cpv. 3).

Al netto delle difficoltà, delle disgrazie, delle rinunce e dei sacrifici, l’immigrazione italiana in Svizzera è stata una grande opportunità anche per i diretti interessati. Uniformandosi alle leggi del Paese, non solo hanno potuto godere fino in fondo i benefici diretti dei contratti di lavoro, del sostegno sindacale e della solidarietà di molti, ma sono riusciti a migliorare costantemente le loro condizioni salariali, di alloggio e di vita, a partecipare attivamente alla vita sociale e a contribuire a tutti i livelli alla prosperità comune.

Uniformandosi alle leggi del Paese, gli italiani hanno potuto sviluppare anche una rete ricca e variegata di associazioni di ogni genere e hanno potuto incidere profondamente in vari modi nel costume, nella cultura, nel panorama religioso, nella vita politica ed economica di questo Paese. Approfittando di una lungimirante e chiara politica d’integrazione degli stranieri, soprattutto le seconde generazioni hanno avuto la possibilità di condurre in Svizzera una vita «normale», di seguire una scolarità «regolare», di beneficiare di una formazione professionale efficace e, in generale, corrispondente alle possibilità e aspirazioni dei giovani interessati.

Conservare …

La caduta dell’obbligo di rinunciare alla precedente nazionalità al momento di acquisire quella svizzera (dal 1° gennaio 1992) ha aperto inoltre nuovi orizzonti a quanti desideravano la pienezza dei diritti politici anche in questo Paese. Da allora il numero dei doppi cittadini italiani e svizzeri è in continua crescita e aumentano anche gli eletti nei legislativi ed esecutivi federale, cantonali e comunali. E’ su di loro che incombe prevalentemente la responsabilità di conservare, valorizzare e sviluppare la ricca eredità d’italianità lasciata dagli immigrati in questo Paese, ma anche gli svizzeri si rendono conto che questo dovrebbe essere un compito comune per la conservazione e la valorizzazione dell’identità svizzera.

Tra la Svizzera e l'Italia «vi sarà amicizia perpetua» (Trattato 1868, art. 1)
Col venir meno delle grandi ondate immigratorie dall'Italia, nei primi anni 2000 si pensava che la lingua italiana fosse in via di estinzione fuori della Svizzera italiana e avrebbe indebolito notevolmente l’italianità. Per fortuna non è così perché la comunità italofona è ancora importante, anche fuori del Ticino e la lingua italiana conserva una massa critica rilevante attorno all'8 per cento su scala nazionale. Inoltre, dal 2006 è nuovamente positivo il saldo migratorio degli italiani in Svizzera (dopo essere stato per decenni negativo), ossia gli italiani che vengono dall'Italia sono più numerosi di quelli che vi ritornano. La collettività italofona si rafforza non solo in Ticino ma anche in altri Cantoni (per es. Zurigo, Vaud, Berna).

Si può anche notare che la maggioranza dei nuovi immigrati italiani non proviene più, come avveniva nel secolo scorso, dalle regioni meridionali d’Italia, ma dal centro-nord. Inoltre tra i nuovi immigrati è sempre più elevato il numero di coloro che hanno una formazione di grado terziario. Se prima degli anni Novanta la loro proporzione non superava il 5%, nel 2000 era già del 33% e nel 2020 del 52% (con una netta prevalenza di donne laureate).

… e sviluppare

... guardando verso un'Europa più integrata!
Il crescente sviluppo delle naturalizzazioni, il rientro in Italia di immigrati pensionati con formazioni e livelli di qualifica medio-bassi e l’arrivo di nuovi immigrati con formazioni medio-alte che facilitano l’integrazione lavorativa e sociale avranno sicuramente un impatto notevole sulla struttura e sull'organizzazione della collettività italiana presente in Svizzera nei prossimi anni e decenni, ponendo interrogativi ineludibili. Per esempio, sarà più «italiana» o più «svizzera»? Come sarà strutturata e organizzata? Quali saranno le nuove forme di rappresentanza che deciderà di darsi?

Questi e simili interrogativi sono legittimi perché molto probabilmente gran parte delle organizzazioni tradizionali scompariranno o si modificheranno radicalmente (associazioni, gruppi d’interesse), saranno diversi i rapporti con le rappresentanze diplomatiche e consolari (già oggi ridotte ad alcune esigenze burocratiche e alcune ricorrenze simboliche) e persino con le organizzazioni religiose (anche le parrocchie svizzere e le missioni cattoliche fortemente legate alla tradizione dovranno tenerne conto). Cambieranno probabilmente anche i sentimenti e i rapporti sia verso l’Italia che verso la Svizzera. A vantaggio di nuovi rapporti verso un’Europa più integrata?

Com'è facile osservare, oggi non è possibile dare risposte plausibili a questi interrogativi perché i cambiamenti sono in atto, ma ritengo perlomeno auspicabile che il meglio della tradizione migratoria italiana venga conservato nella memoria collettiva italiana e svizzera, che si rafforzi quello spirito di «amicizia perpetua» tra l’Italia e la Svizzera che fu alla base del Trattato del 1868 e della lunga e fruttuosa collaborazione italo-svizzera in materia, che i valori (personali, familiari, sociali…) di cui furono portatori gli immigrati siano mantenuti e sviluppati in Europa e nel mondo. (Fine)

Giovanni Longu
Berna, 15.02.2023