Con questo articolo termina la trattazione sistematica della lunga storia dell’immigrazione «regolare» italiana in Svizzera, iniziata col Trattato di domicilio e consolare del 22 luglio 1868 tra la Confederazione e l’Italia, e finita, nella sua forma tradizionale, con l’entrata in vigore il 1° giugno 2002 dell'Accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone tra la Confederazione Svizzera (CH) e l'Unione Europea (EU). L’elemento di continuità di questa storia era annunciato nell'articolo 1 del Trattato del 1868: assicurare la libera circolazione dei cittadini italiani e svizzeri nei due Paesi contraenti («libertà reciproca di domicilio e di commercio») nello spirito di una «amicizia perpetua» tra la Confederazione e il Regno d’Italia. Che si tratti di una storia a lieto fine lo si desume sia dal fatto che quel Trattato è tutt'ora in vigore, addirittura rafforzato dall'Accordo CH-UE del 1999 sulla libera circolazione delle persone, e sia dal fatto che la collettività italiana e italo-svizzera è ancora in crescita.
Interesse reciproco
La storia dell’immigrazione italiana in Svizzera era iniziata
nel modo migliore possibile perché rispondeva a due principi fondamentali: la condivisione dei valori del due contraenti e l’interesse reciproco. Il Trattato del 1868 fu
infatti stipulato perché i due Paesi contraenti erano mossi dal desiderio di «mantenere
e rassodare le relazioni d’amicizia che stanno fra le due nazioni e dare
mediante nuove e più liberali stipulazioni più ampio sviluppo ai rapporti di
buon vicinato tra i cittadini dei due paesi».
Che di fatto la principale beneficiaria sia stata la
Svizzera è fuori discussione. Basti pensare alla realizzazione della fitta rete
ferroviaria (Ottocento e inizio Novecento) a cui gli italiani hanno partecipato
in misura preponderante, alla sistemazione urbanistica delle principali città
svizzere, alla formazione e al rinnovo del ricco patrimonio edilizio (fino a
pochi decenni fa, alla realizzazione
dell’imponente infrastruttura energetica (grandi dighe e centrali idroelettriche),
alla partecipazione consistente nel sistema produttivo e commerciale svizzero.
Ovunque, nelle fabbriche, sui cantieri, nei servizi gli italiani sono sempre
stati richiesti e stimati.
Tuttavia, anche l’Italia, gli immigrati italiani e i loro
discendenti hanno beneficiato largamente dell’esperienza migratoria (cfr. in
proposito gli articoli dal 21.12.2022 al 18.1.2223). Non va infatti dimenticato
che molti di essi, prima dell’emigrazione, avevano scarse prospettive di un
futuro occupazionale sicuro e sereno. Nell'emigrazione hanno trovato sicurezza
e prosperità per sé e per le loro famiglie.
«Uniformarsi alle leggi del Paese»
Quando agli inizi del secolo scorso si diceva che gli
italiani trovavano facilmente lavoro perché erano disposti ad accettare salari
inferiori a quelli pretesi dagli svizzeri si mentiva, perché gli italiani sono
stati sempre in prima fila nelle rivendicazioni per salari giusti e per la
sicurezza sul posto di lavoro, ma erano anche molto attivi nell'autoprotezione
(creando associazioni di mutuo soccorso in tutte le principali città con un
numero importante di lavoratori) e nella creazione di imprese proprie
soprattutto nel ramo edile (molte sono ancora attive), ma anche nella
ristorazione e nella vendita (generi alimentari e prodotti italiani).
Al netto delle difficoltà, delle disgrazie, delle rinunce e dei sacrifici,
l’immigrazione italiana in Svizzera è stata una grande opportunità anche per i
diretti interessati. Uniformandosi alle leggi del Paese, non solo hanno potuto
godere fino in fondo i benefici diretti dei contratti di lavoro, del sostegno
sindacale e della solidarietà di molti, ma sono riusciti a migliorare
costantemente le loro condizioni salariali, di alloggio e di vita, a partecipare
attivamente alla vita sociale e a contribuire a tutti i livelli alla prosperità
comune.
Uniformandosi alle leggi del Paese, gli italiani hanno potuto sviluppare anche
una rete ricca e variegata di associazioni di ogni genere e hanno potuto
incidere profondamente in vari modi nel costume, nella cultura, nel panorama
religioso, nella vita politica ed economica di questo Paese. Approfittando di
una lungimirante e chiara politica d’integrazione degli stranieri, soprattutto
le seconde generazioni hanno avuto la possibilità di condurre in Svizzera una
vita «normale», di seguire una scolarità «regolare», di beneficiare di una
formazione professionale efficace e, in generale, corrispondente alle
possibilità e aspirazioni dei giovani interessati.
Conservare …
La caduta dell’obbligo di rinunciare alla precedente nazionalità al momento
di acquisire quella svizzera (dal 1° gennaio 1992) ha aperto inoltre nuovi orizzonti a quanti
desideravano la pienezza dei diritti politici anche in questo Paese. Da allora
il numero dei doppi cittadini italiani e svizzeri è in continua crescita e
aumentano anche gli eletti nei legislativi ed esecutivi federale, cantonali e
comunali. E’ su di loro che incombe prevalentemente la responsabilità di
conservare, valorizzare e sviluppare la ricca eredità d’italianità lasciata
dagli immigrati in questo Paese, ma anche gli svizzeri si rendono conto che
questo dovrebbe essere un compito comune per la conservazione e la
valorizzazione dell’identità svizzera.
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Tra la Svizzera e l'Italia «vi sarà amicizia perpetua» (Trattato 1868, art. 1) |
Si può anche notare che la maggioranza dei nuovi immigrati italiani non
proviene più, come avveniva nel secolo scorso, dalle regioni meridionali
d’Italia, ma dal centro-nord. Inoltre tra i nuovi immigrati è sempre più
elevato il numero di coloro che hanno una formazione di grado terziario. Se
prima degli anni Novanta la loro proporzione non superava il 5%, nel 2000 era
già del 33% e nel 2020 del 52% (con una netta prevalenza di donne laureate).
… e sviluppare
... guardando verso un'Europa più integrata! |
Questi e simili interrogativi sono legittimi perché molto probabilmente
gran parte delle organizzazioni tradizionali scompariranno o si modificheranno
radicalmente (associazioni, gruppi d’interesse), saranno diversi i rapporti con
le rappresentanze diplomatiche e consolari (già oggi ridotte ad alcune esigenze
burocratiche e alcune ricorrenze simboliche) e persino con le organizzazioni
religiose (anche le parrocchie svizzere e le missioni cattoliche fortemente
legate alla tradizione dovranno tenerne conto). Cambieranno probabilmente anche
i sentimenti e i rapporti sia verso l’Italia che verso la Svizzera. A vantaggio
di nuovi rapporti verso un’Europa più integrata?
Com'è facile osservare, oggi non è possibile dare risposte plausibili a
questi interrogativi perché i cambiamenti sono in atto, ma ritengo perlomeno
auspicabile che il meglio della tradizione migratoria italiana venga conservato
nella memoria collettiva italiana e svizzera, che si rafforzi quello
spirito di «amicizia perpetua» tra l’Italia e la Svizzera che fu alla base del
Trattato del 1868 e della lunga e fruttuosa collaborazione italo-svizzera in
materia, che i valori (personali, familiari, sociali…) di cui furono portatori
gli immigrati siano mantenuti e sviluppati in Europa e nel mondo. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 15.02.2023