L’anno scorso le relazioni
diplomatiche tra la Svizzera e l’Italia hanno compiuto 160 anni. Per dare risalto
alla complessità e all'importanza dei rapporti italo-svizzeri, soprattutto in
riferimento all'immigrazione italiana in Svizzera, mi sarei aspettato che l’Ambasciata
d’Italia o il Dipartimento federale degli affari esteri organizzassero una
pubblicazione, una giornata di studio, una tavola rotonda, una conferenza o altra
manifestazione pubblica, ma evidentemente non è stato possibile e forse nemmeno
voluto (non certo a causa della pandemia).
Interessi economici sempre in primo piano nei rapporti italo-svizzeri. |
Interessi economici in
primo piano
Alla mia richiesta di un
giudizio sintetico sugli attuali rapporti italo-svizzeri, l’ambasciatrice di
Svizzera in Italia Monika Schmutz Kirgöz ha risposto fra l’altro con questa affermazione: «l'Italia
continua ad essere un partner chiave, sia politicamente che economicamente, con
uno scambio commerciale e di servizi di circa 1 miliardo di franchi svizzeri
alla settimana».
Trovo tale frase emblematica
non solo dello stato delle relazioni italo-svizzere, ma anche dell’intera
storia dei 160 anni di questi rapporti, perché fin dall'inizio entrambe le
diplomazie non hanno mai perso di vista, oltre all'evidente interesse a
coltivare relazioni di buon vicinato tra Paesi confinanti, i prevalenti
interessi economici, anche quando si trattava della gestione dei grandi flussi
migratori di fine Ottocento fino alla prima guerra mondiale e di quelli del
secondo dopoguerra.
Soprattutto la Confederazione
era fortemente interessata a conservare e sviluppare ulteriormente le intense relazioni
commerciali stabilite col Regno di Sardegna. Riteneva i buoni rapporti con
l’Italia indispensabili non solo per meglio tutelare i propri interessi nella
Penisola e garantire il proprio approvvigionamento internazionale attraverso il
porto di Genova, ma anche per progettare con sicurezza nuove vie di
comunicazione tra nord e sud. Questi interessi spiegano bene perché il
Consiglio federale non tenesse in gran conto le voci riguardanti pretese territoriali
soprattutto sul Ticino avanzate da alcuni politici italiani all'indomani della
proclamazione del Regno, tanto più che lo stesso Cavour aveva dato ampie
garanzie sull'integrità della Svizzera.
Giovan Battista Pioda (1850-1914) |
nel 1864 l’ex consigliere federale Giovanni Battista Pioda. Grazie alle sue conoscenze internazionali, alla sua ottima conoscenza dell’italiano (aveva conseguito la laurea in giurisprudenza a Pavia) e agli ottimi rapporti personali con l’inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Re d’Italia presso la Confederazione (dal 29 luglio 1867 al 22 maggio 1881), Luigi Amedeo Melegari, gli fu possibile non solo difendere gli interessi attuali della Svizzera, ma anche estenderli ad altri campi.
Luigi Amedeo Melegari (1805-1881) |
Nel frattempo, Pioda, grazie anche al sostegno di Carlo
Cattaneo e dello stesso Melegari, era riuscito a convincere il governo italiano
dell’importanza di una partecipazione diretta dell’Italia alla realizzazione
dell’opera del secolo, la galleria ferroviaria del San Gottardo e nel 1869 fu
firmata a Berna tra la Svizzera e l’Italia una Convenzione sul Gottardo, nuovamente
siglata ancora a Berna il 17 gennaio 1871 tra la Svizzera, l’Italia e la
Germania del Nord.
I primi trattati di commercio
Con l’entrata in funzione della ferrovia del Gottardo
(1882), il commercio sud-nord aumentò notevolmente, tanto da richiedere un
nuovo trattato di commercio tra l’Italia e la Svizzera (1889). Grazie ad esso e
a una significativa riduzione dei dazi doganali, aumentarono enormemente
soprattutto le esportazioni italiane (specialmente prodotti agricoli) verso la
Svizzera, molto meno quelle svizzere verso l’Italia.
Un altro trattato, sottoscritto a Zurigo nel 1892, favorì
ulteriormente le esportazioni italiane verso la Svizzera (140 milioni di franchi nel 1892, 181 milioni nel 1903),
ma non quelle svizzere verso l’Italia, tanto da indurre le autorità elvetiche a
denunciarlo nel 1903. Il nuovo trattato del 1904 riequilibrò un tantino la
bilancia commerciale tra i due Paesi, ma restò ancora a lungo nettamente
favorevole all’Italia.
Se dall'inizio del secolo scorso si fa un balzo alla
situazione attuale salta subito agli occhi che i rapporti non sono granché
cambiati. Se nel 1914, prima che scoppiasse la
prima guerra mondiale) l’Italia costituiva il secondo o terzo mercato di
approvvigionamento per le importazioni svizzere e il quinto o sesto
acquirente delle esportazioni elvetiche, oggi l’Italia costituisce ancora il secondo
o terzo partner commerciale della Svizzera in ordine di importanza ed è il
sesto Paese di destinazione per l'export italiano.
Inizio dei flussi immigratori dall'Italia
L’invio a Torino come rappresentante della Confederazione di
un ex consigliere federale (al quale era stato chiesto appositamente di
rinunciare alla prestigiosa carica), Giovanni
Battista Pioda, aveva soprattutto lo scopo di convincere il governo
italiano a sostenere il progetto più convincente di collegamento tra l’Italia e
il Centro Europa passando per la Svizzera e a partecipare finanziariamente alla
sua realizzazione con la ferrovia e la galleria del San Gottardo, allora la più
lunga del mondo.
Nella galleria del San Gottardo lavorarono quasi esclusivamente italiani. |
Per la realizzazione della galleria più lunga del mondo, l’impresa
ginevrina di Louis Favre che aveva vinto la
gara d’appalto, si avvalse quasi esclusivamente di maestranze e operai italiani
provenienti in massima parte dal Piemonte e dalla Lombardia. L’età media era di
28 anni e molti di essi avevano accumulato esperienze preziose nella
costruzione della galleria del Frejus. Per la Svizzera era cominciata l’era dei
grandi flussi migratori dall'Italia.
In alcuni periodi lavoravano contemporaneamente allo scavo del tunnel oltre 3500 operai al giorno, con una punta nel mese di agosto 1877 di 4344 persone. Soprattutto nella prima fase della costruzione, la possibilità di trovare un lavoro attirava nelle località dei grandi cantieri ai due versanti di Airolo e Göschenen migliaia persone. Non tutte ottenevano un permesso di lavoro, ma in certi periodi, per esempio nel 1874, riuscirono ad ottenerlo oltre 13.000 persone (Segue)