La Svizzera, ricca di tradizioni viventi, celebra proprio in questi
giorni, il fine settimana più vicino all’11 e al 12 dicembre, la festa dell’Escalade,
a Ginevra. Essa rievoca un fatto storico, la vittoria dei ginevrini sui soldati
savoiardi che tentavano di scalare le mura per aprire le porte della
città al grosso delle truppe e impadronirsene. Nel frattempo il mito dei
coraggiosi vincitori sugli assalitori ha preso il sopravvento sulla storia, per
cui oggi la rievocazione ha soprattutto il carattere di una grande festa
popolare, con una grande sfilata storica (circa 800 comparse) e numerose manifestazioni collaterali.
All’origine aveva anche un significato religioso: la vittoria, grazie a Dio,
dei buoni calvinisti sui cattivi cattolici, un aspetto che viene ancora
ricordato con una cerimonia religiosa nella cattedrale di St. Pierre. Questo
aspetto, nel 500° anniversario della Riforma, merita a mio avviso qualche
considerazione.
Il fatto storico
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Verbale del Consiglio di Ginevra del 12.12.1602 relativo al tentativo delle truppe savoiarde d'impossessarsi della città. |
Anzitutto i fatti: la notte tra l’11 e il 12 dicembre 1602 le truppe del
duca Carlo Emanuele I di Savoia tentarono di scalare
le mura della città di Ginevra ancora avvolta nel sonno per impadronirsene. Qualcuno,
probabilmente una guardia, dev’essersene accorto e, dato l’allarme, dopo una
breve battaglia gli assalitori furono respinti.
Per comprendere il maldestro tentativo del duca di Savoia occorre fare qualche
passo indietro al periodo della Riforma (tra il 1525 e il 1536), quando la
Svizzera si divise praticamente in due blocchi: quello dei Cantoni rimasti
cattolici e quello dei Cantoni e delle città protestanti. Ginevra costituiva fino
al 1536 un principato vescovile autonomo, ma da tempo era in lotta col suo principe
vescovo. Dalla parte dei cattolici era schierato anche il Ducato di Savoia, che
già possedeva la regione di Vaud ma voleva estendere il proprio dominio anche
su Ginevra.
Nel 1536, approfittando di un momento di debolezza dei Savoia, i bernesi,
in fase espansionistica, occuparono (facilmente) il paese di Vaud e vi imposero
la Riforma. Ginevra vide nei bernesi degli alleati, abbracciò la Riforma ispirata
da Giovanni Calvino e divenne città repubblicana
indipendente. A sua volta, per consolidare la sua conquista, Berna dovette fra
l’altro dotarsi di una piccola flotta militare in grado di fronteggiare le galere savoiarde che solcavano il
Lago Lemano. Per questo, raccontano le cronache, fecero venire da Genova i
migliori maestri d'ascia del momento, calafati e nocchieri; furono costruite
due galere con un equipaggio di 500 uomini e armate di quattro cannoni,
falconetti e colubrine.
La Riforma e l’alleanza
con i bernesi (insieme a quella con i friburghesi e i francesi) non avevano,
però, messo al sicuro Ginevra, tanto è vero che nel 1602, nella notte dell'Escalade,
il duca di Savoia fece un nuovo tentativo di impossessarsi della città. E’ a
questo punto che le leggende s’intrecciano sui fatti e si confondono
soprattutto le motivazioni che spinsero il duca di Savoia a questo ennesimo
assalto alla città.
Tra verità e leggenda
Carlo Emanuele I di Savoia era certamente una persona molto ambiziosa e l’occupazione
di Ginevra avrebbe significato estendere il suo dominio su una città che stava
diventando sempre più importante non solo sotto il profilo religioso (quale
centro del calvinismo era chiamata la «Roma protestante»), ma anche economico
(soprattutto come centro commerciale e finanziario). E’ verosimile, tuttavia,
che alla base del tentativo di conquistare Ginevra ci fosse anche almeno una parvenza
di motivazione religiosa. La città di Calvino era infatti considerata dai
tradizionalisti savoiardi una specie di città del diavolo, sede delle potenze del
male. Un principe cattolico non poteva che tentare di sottometterla, anche per
salvaguardare «il resto della Cristianità in pericolo di subversione [sovversione]».
La Ginevra calvinista
pensava evidentemente che il male provenisse piuttosto dall’altra parte, come
confermava fra l’altro una convinzione popolare, di cui ho trovato riferimento
in una fonte giornalistica del 1911. A Ginevra si era sparsa la voce che il cappellano
militare dei savoiardi, un gesuita scozzese, tale Père Alexandre andasse
distribuendo tra i soldati ai piedi delle mura ginevrine pronti per l’assalto dei
bigliettini manoscritti con frasi tipo «chiunque porterà questo biglietto non
morirà in questo giorno né per artifizi diabolici né per opere divine…». Per
questo si era sparsa la voce tra la popolazione che Père Alexandre fosse un
emissario del diavolo, il più odiato nemico della fede.
Da parte savoiarda ovviamente
si negava che il loro cappellano distribuisse talismani propiziatori tra i
soldati prima del combattimento. Si disse che un gesuita, «molto istruito come
del resto ogni suo confratello» e soprattutto «molto credente (e non paia quest’osservazione
fuori luogo per un religioso dell’epoca) e quindi antisuperstizioso», non poteva
ricorrere a simili stratagemmi. Fatto sta che la leggenda del padre Alexandre si
diffuse tra i ginevrini e il suo nome compare ancora oggi nell’inno di ringraziamento che
viene tramandato dal 1603.
Pur ritenendo più
leggendaria che vera la figura di questo gesuita, è certamente plausibile che a
quei tempi molte superstizioni fossero ancora assai diffuse (del resto alcune
lo sono anche adesso) e vi potessero far ricorso anche ecclesiastici, magari
per avvicinare maggiormente i «credenti» alla religione. Non è poi singolare
che nel racconto il cappellano sia un gesuita, perché allora, dopo il Concilio
di Trento (1545-1563) i gesuiti erano considerati, come dice la mia fonte laica,
«i più acerrimi combattenti del protestantesimo ed i più sottili e attivi
difensori della fede cattolica».
Fini e pretesti
Quanto fatti realmente accaduti e leggende s’intreccino nel racconto del
mito lo dimostra anche l’inno di ringraziamento menzionato sopra, con cui i
ginevrini ringraziano Dio per averli salvati, ma non lesinano improperi nei
confronti dei savoiardi. Più in generale mi sento di poter dire che spesso,
soprattutto in passato, nelle lotte di religione i fini religiosi sono stati piuttosto
secondari e usati come pretesto per fini e interessi economici e di potere e
che, senza questi, probabilmente i contrasti religiosi non sarebbe mai degenerati
in vere e proprie guerre anche fratricide.
Giovanni Longu
Berna, 9.12.2017
Giovanni Longu
Berna, 9.12.2017