02 ottobre 2018

Governo del cambiamento: in che direzione va l’Italia?


Dire che la società è in continua trasformazione è banale perché si tratta di un’evidenza. Anche sostenere, come fanno alcuni politici italiani, che l’attuale governo sia quello del cambiamento è una banalità, perché tutti i governi sono in qualche misura diversi dai precedenti. Per aver senso tali affermazioni dovrebbero indicare la direzione del cambiamento. In altre parole, gli atti della nuova maggioranza parlamentare e le iniziative del governo dovrebbero fornire indicazioni plausibili sul futuro del Paese, della società, dell’economia, dei giovani, del bene comune. Francamente, fino a questo momento, nessun segnale mi sembra rassicurante e incoraggiante.

Situazione di partenza difficile
Il debito pubblico italiano è uno dei più alti del mondo in cifre assolute e relative alla popolazione. Per l’Italia è una situazione di partenza difficile, soprattutto se si tiene conto di altri elementi storici, geografici, economici, culturali e sociali che pesano sulle prospettive di sviluppo sostenibile. Basti pensare al divario nord-sud, ricchi e poveri, occupati e disoccupati. Una delle caratteristiche degli elementi che trovo maggiormente preoccupanti dell’azione del governo a guida Giuseppe Conte è la disinvoltura con cui sembra sottovalutare sia il debito pubblico che alcuni elementi negativi, quali la scarsa crescita, la forte evasione fiscale, la corruzione, l’aumento della povertà, la rassegnazione di molti cittadini.
Quanto al debito, anche i bambini sanno che prima o poi si deve paga. I debiti nazionali li pagano i cittadini con nuove tasse o nuove privazioni e le future generazioni con una diminuzione della qualità di vita. Ciononostante, il Governo ha approvato la settimana scorsa una manovra di bilancio in deficit, ossia aumentando il debito che graverà soprattutto sulle generazioni future.
Approvare una tale manovra con la certezza di appesantire ulteriormente il debito pubblico e di portare il deficit al 2,4% del PIL (prodotto interno lordo), invece di mantenerlo al di sotto del 2,0% per consentire la riduzione del debito, è apparso a molti osservatori nazionali e internazionali un azzardo insensato. Uno dei quotidiani più prestigiosi della Svizzera titolava un commento al riguardo: «Trionfo dell’insensatezza a Roma: l’Italia vuol fare ulteriori debiti» (NZZ).
Pur ammettendo che il debito pesa soprattutto quando lo si deve pagare, è evidente che può cominciare a pesare già prima se i mercati reagiscono negativamente (come successo venerdì scorso) o qualora si chiedesse un prestito alle banche per finanziare una casa o un’attività economica. Trovo assolutamente insostenibile che alcune iniziative si finanzino facendo ulteriori debiti invece che riducendo gli sprechi o recuperando l’evaso a costo zero (senza condoni).

Insostenibilità della manovra in deficit
Uno degli indicatori della sostenibilità dello sviluppo economico di un Paese è la preservazione del capitale. Ma se il capitale disponibile viene ridotto oggi, per investimenti insostenibili (reddito di cittadinanza, pensione di cittadinanza, superamento della legge Fornero, flat tax, «pace fiscale», ecc.), chi garantirà ai nostri figli e nipoti le risorse necessarie per il loro benessere? Con quale senso di responsabilità si mette a repentaglio la qualità di vita delle future generazioni, se in Italia il tasso di rischio di povertà (11,1%), in percentuale su tutti gli occupati, è già oggi nettamente superiore a quello medio dell’Unione Europea (9,6%)?
Tutte le misure insostenibili peseranno sulla qualità di vita dei nostri figli e nipoti perché avranno a disposizione meno risorse ambientali, economiche e sociali. Incurante delle reazioni delle opposizioni, dei mercati, di alcuni esponenti dell’Unione Europea (UE), il premier Conte osa affermare di aver approvato la «manovra del popolo» e con essa «il più consistente piano di investimenti pubblici che sia mai stato realizzato in Italia». Crederlo sulla parola? No, preferisco giudicare sui fatti e comunque attendere, presto, il giudizio definitivo della Commissione europea, anche se qualche anticipazione c’è già stata: «Quello che emerge finora dalla discussione in Italia non sembra in linea col patto di stabilità. È importante che l’Italia si attenga a politiche di bilancio responsabili per tenere i tassi bassi» (Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione UE).
Spero, ovviamente, che l’Italia risalga presto la china, riprenda la sua corsa in Europa, dia speranza soprattutto ai più colpiti dalla crisi, i poveri, i disoccupati e i giovani. Ma alcuni segnali mi preoccupano, soprattutto la rassegnazione diffusa in quasi tutti i ceti sociali e la politica immigratoria. Forse è utile per capire la direzione che sta prendendo o dovrebbe prendere l’Italia del cambiamento conoscere meglio alcuni aspetti della situazione italiana. 

Stato della popolazione
a)     Popolazione
La popolazione italiana di poco più di 60 milioni di persone invecchia più velocemente di qualsiasi altra popolazione europea. Se l’incremento naturale ogni 1000 abitanti era di 1,5, nel 2017 è di -3,1(!). Si sa che l’invecchiamento eccessivo comporta numerosi problemi alla società nel suo insieme e soprattutto ai giovani. In molti Paesi, per evitare che il tasso di dipendenza dei minorenni e degli anziani dalle persone in età dai 14 ai 64 anni diventi insostenibile, si attua una sana politica d’integrazione degli stranieri. L’Italia sembra preferire la soluzione di questo problema tramite badanti.

b)     Incremento naturale della popolazione
L’Italia è il Paese con un tasso di fecondità (numero di figli per donna) tra i più bassi in Europa e nel mondo, nel 2017: 1,3 figli per donna (CH: 1,5; DE: 1,6; F: 2,0). Anche il tasso di natalità ogni 1000 abitanti è tra i più bassi in Europa e nel mondo: 7,6 (CH: 10,3; DE: 9,5; F: 11,4). Inoltre, la tendenza al matrimonio scarseggia. Il numero dei matrimoni ogni 1000 abitanti è tra i più bassi d’Europa: 3,4 (CH: 4,8; DE: 5,0; F: 3,5). Ossia, l’incremento naturale è manifestamente a rischio.

c)     Saldo migratorio
Il saldo migratorio è la differenza tra il numero degli immigrati e quello degli emigrati. In Italia è stato sempre basso (1980: 0,1, contro il 2,7 della Svizzera e il 3,9 della Germania) e, contrariamente a molta disinformazione assai diffusa, resta ancora molto basso (2017: 1,4, contro il 5,4 e il 5,8 rispettivamente della Svizzera e della Germania).

d)     Formazione dei giovani
I giovani italiani tra i 18 e 24 anni senza una formazione post obbligatoria (31,7% nel 2016) è ben superiore alla media europea (26,1%). Gli adulti (25-64 anni) con formazione superiore (17,7%) sono nettamente sotto la media europea (30,7%). Nella manovra economica appena approvata il Governo avrebbe potuto destinare risorse consistenti per la scuola, la formazione, la ricerca, l’università. Non l’ha fatto scegliendo altre priorità demagogico-elettorali. Peccato per l’Italia, un tempo grande potenza economica e culturale, e oggi non ha nemmeno un’università tra le prime 100 della classifica mondiale (la piccola Svizzera, tanto per un confronto, ne colloca ben cinque!)

Italia rassegnata
Alla luce anche di questi dati statistici, ho trovato comprensibile, durante un recente viaggio in Italia, la rassegnazione di molta gente, di tutte le classi sociali, sulla situazione italiana. Nessuna delle persone incontrate ha palesato soddisfazione, tutte mi hanno confermato il clima di rassegnazione diffuso da nord a sud e la speranza di molti giovani di trovare lavoro all’estero. Non mi sono addentrato sulle cause di tanta rassegnazione, perché le risposte sarebbero state molto probabilmente monotone: «non c’è lavoro, soprattutto per i giovani», «non ci sono programmi d’occupazione»… e simili.
Peccato! Perché conservo nella memoria sedimentata ormai da decenni l’immagine di un’Italia laboriosa, ambiziosa, combattiva, anche con molti scioperi, niente affatto rassegnata alla povertà, alle ingiustizie sociali, alla disoccupazione. Era anche un’Italia molto contrastata perché pervasa da ideologie antagoniste incarnate in partiti politici e sindacati contrapposti, che avevano però in comune l’ambizione del lavoro per tutti, della dignità dei lavoratori, dell’accesso allo studio e della ricompensa sociale. Se è vero che oggi l’Italia è un Paese rassegnato e che le ideologie sono morte, la situazione diventa critica perché lascia spazio alla delega in bianco, al populismo, all’autoritarismo. 

L’immigrazione
Sull’immigrazione, intesa in tutte le sue forme, ho trovato una sorta di accettazione senza resistenza della politica del ministro Salvini, perché nello stato in cui si trova oggi l’Italia nessuna istituzione sembra in grado di accogliere numeri consistenti d’immigrati, formarli e inserirli nel mondo del lavoro. La paura dello straniero si diffonde, senza che nessuno cerchi di spiegare che è totalmente priva di fondamento (non esiste alcun dato storico di popoli sopraffatti da immigrati pacifici) e serva soprattutto a nascondere l’incapacità del governo a gestire il fenomeno migratorio. Tant’è che manca in Italia, a quanto ho potuto notare, una politica immigratoria degna di questo nome, con obiettivi precisi, strutture adeguate, programmi, forme di accompagnamento.
Di fronte alle critiche piovute da ogni parte all’Italia per l’atteggiamento nei confronti dei profughi, il Presidente del Consiglio Conte ribatte che la politica italiana verso gli immigrati «ha al primo posto l’obiettivo di tutelare la dignità delle persone, salvare le vite e difendere i diritti fondamentali delle persone». Che faccia!, verrebbe da dire, anche alla luce delle critiche che continuano ad arrivare alla politica migratoria italiana per l’atteggiamento cinico del ministro dell’Interno Matteo Salvini nei confronti dei migranti, delle ONG, delle associazioni umanitarie, ecc.
Salvini, ministro dell’Interno, è diventato in quattro mesi l’uomo forte del governo. E’ riuscito persino a far rientrare la questione dei migranti nelle sue competenze e a trattarla come un problema di ordine pubblico. Il decreto sicurezza  approvato dal governo prevede infatti misure severe per i migranti, come l’abolizione della protezione internazionale per i migranti in caso di condanna in primo grado, ecc.
Personalmente trovo preoccupante che in Italia, patria di civiltà, si finisca per considerare i migranti potenziali criminali pericolosi, quasi da sorvegliare a vista. Preoccupante anche come un ministro della Repubblica si difenda dalle accuse rivolte ad alcuni suoi provvedimenti: «Faccio ciò che mi hanno chiesto gli italiani… sono gli italiani che mi pagano». Non credo che il popolo italiano gli abbia affidato il compito di condurlo all’isolamento internazionale, al progressivo impoverimento, al benessere effimero perché a breve termine ma certamente insostenibile a lungo termine.
Giovanni Longu
Berna, 2 ottobre 2018