02 dicembre 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 32.Integrazione e ambiente scolastico e familiare

L’integrazione della seconda generazione è stata molto lunga e difficile per svariati motivi soprattutto politici e ideologici, ma non va dimenticata l’influenza che hanno avuto nella riuscita scolastica dei bambini italiani e nella formazione della loro personalità l’ambiente della scuola, quello familiare e più in generale l’ambiente sociale dei genitori, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Accennarvi dovrebbe contribuire a capire meglio la complessa problematica della seconda generazione.

Ambiente scolastico

Quanto sia stato lungo e difficile per i bambini italiani (e in generale per gli stranieri) raggiungere le stesse prestazioni scolastiche dei coetanei svizzeri è risaputo, mentre si è prestata sempre poca attenzione all’influenza ambientale. Eppure è facile comprendere che la presenza inconsueta nelle classi della scuola obbligatoria di un gran numero di allievi stranieri (in media attorno al 17% dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta) non poteva non provocare interrogativi seri. Ad essi venivano date risposte contrastanti da parte degli allievi svizzeri (riproducenti verosimilmente atteggiamenti e giudizi osservati in famiglia), degli allievi italiani (consci della loro diversità e a rischio di perdita d’interesse, sensi di frustrazione, isolamento, incomunicabilità) e degli stessi docenti, impegnati a portare avanti l’insegnamento ma con un aggravio di competenze per tenere unite le classi costituite da allievi di provenienze, mentalità e competenze linguistiche differenti.

Era inevitabile che nella scuola si riflettessero i diversi atteggiamenti presenti nella società e nelle famiglie verso gli stranieri e di questi verso le istituzioni e la società. In quel periodo, soprattutto negli ultimi anni della scuola obbligatoria, non erano rari i piccoli dispetti, le frasi offensive e persino atti di violenza nei confronti degli stranieri.

Da parte loro, soprattutto negli anni Ottanta, le autorità si rendevano conto che le classi miste plurilingui potevano favorire più delle classi monolingui l’integrazione degli stranieri. In esse, infatti, diventavano possibili e quasi naturali la conoscenza (e comprensione) reciproca, lo scambio e il mutuo arricchimento culturale, l’avvio di una futura (e necessaria) collaborazione.

A parte gli esempi (fortunatamente non frequenti) di classi in cui questi modelli educativi non erano seguiti e aumentava addirittura la selezione nei confronti dei bambini stranieri, le autorità scolastiche cercavano di mettere tutti gli allievi in condizione di seguire i programmi di studio e gli insegnanti in condizione di poterli svolgere. Nella seconda metà degli anni Ottanta, per esempio, si cercò di limitare per quanto possibile il numero degli stranieri per classe. In effetti, nella maggioranza delle classi miste la percentuale di stranieri non superava il 30%; solo in alcune classi (poco più del 10%) era superiore e solo in pochissime classi equivaleva alla totalità degli allievi.

Ambiente familiare e sociale

Secondo le statistiche, negli anni Ottanta le prestazioni scolastiche degli allievi italiani tendevano ad avvicinarsi sempre più a quelle dei coetanei svizzeri, ma il divario era ancora significativo. Pesavano soprattutto, in una parte degli allievi, le difficoltà linguistiche (specialmente nei bambini giunti in Svizzera da poco tempo), ma anche le difficoltà di adattamento socio-culturale (dovute alla posizione sociale medio-bassa dei genitori) e lo scarso sostegno ricevuto in famiglia.

In generale, tuttavia, tra gli allievi italiani si notava un costante miglioramento: diminuiva il numero di quelli che frequentavano una scuola con un programma d’insegnamento speciale, aumentava quello degli italiani che frequentavano il secondo livello della scuola obbligatoria (scuola media) e cresceva sensibilmente il numero di coloro che frequentavano una formazione post-obbligatoria (soprattutto una formazione professionale).

A migliorare la situazione scolastica degli italiani di seconda generazione fu anche il convincimento crescente di molti genitori che i loro figli non li avrebbero seguiti in un eventuale rientro in Italia perché stavano progettando il loro futuro in Svizzera. Ora stavano gettando le basi per un lavoro qualificato, soddisfacente, socialmente ed economicamente gratificante e in questa preparazione dovevano essere sostenuti.

Giovanni Longu
Berna, 25.11.2020