Negli anni 1970-1990 i cambiamenti intervenuti nella collettività italiana residente in Svizzera sono stati talmente incisivi che talvolta si stenta a vedere una continuità tra il periodo del secondo dopoguerra fino ai primi anni Settanta e quello dei decenni successivi. I cambiamenti hanno riguardato non solo aspetti socio-demografici (prevalenza di immigrati adulti nel primo periodo e della seconda generazione nel secondo periodo, aumento delle naturalizzazioni, ecc.), ma pure altre caratteristiche (conoscenze linguistiche, scolarizzazione, formazione professionale, integrazione, partecipazione, ecc.). Anche la religione ha subito (e continua a subire) una trasformazione importante e significativa che ha contribuito a trasformare sia la collettività italiana e sia l’intera società nazionale.
La religione sotto costante osservazione
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Il Münster di Berna (ca.
1800), iniziato 600 anni fa (11.3.1421), divenuto protestante, è il simbolo del protestantesimo bernese. |
47), provocata dal Sonderbund, un’alleanza dei Cantoni cattolici contro il rischio di un’egemonia dei Cantoni protestanti. Da allora la pace religiosa è riuscita a mantenersi grazie a una Costituzione federale liberale e rispettosa della scelta religiosa di ciascun Cantone. Da allora l’evoluzione religiosa è sempre stata sotto osservazione in tutti i censimenti della popolazione.
Giova anche ricordare che dagli anni Sessanta, la massiccia immigrazione degli italiani che si dichiaravano cattolici quasi all’unanimità, ha rischiato, soprattutto negli anni Settanta, di essere travolta dai movimenti xenofobi e dalle iniziative antistranieri. Quanto abbiano inciso considerazioni di tipo religioso sulle politiche immigratorie e sulle reazioni del popolo svizzero nei confronti degli stranieri è impossibile determinarlo con certezza, ma hanno avuto sicuramente un peso importante soprattutto nei grandi Cantoni a maggioranza protestante, per esempio Zurigo e Berna, dove la crescita demografica dei cattolici era considerevole.
Dall’evoluzione delle due grandi confessioni cristiane in questi due Cantoni si può già intuire il peso che l’immigrazione ha avuto nell’avanzata dei cattolici a livello nazionale. Al primo censimento del 1850 il divario tra protestanti e cattolici era enorme: nel Cantone di Zurigo il rapporto era di 97,3% a 2,7%; nel Cantone di Berna (che comprendeva anche una parte cattolica nel Giura) di 88.2% a 11,8%.
A livello nazionale, tra il 1970 e il 1980 i cattolici divennero maggioritari e nel 1990 raggiunsero la percentuale del 46,1% della popolazione residente (grazie soprattutto agli stranieri che si dichiaravano cattolici al 59,2%), mentre i protestanti si attestavano attorno al 40% (anche se restavano maggioritari con circa il 48% tra gli svizzeri). La pace religiosa era comunque garantita.
In aumento la «non appartenenza»
L’evoluzione dei cattolici e dei protestanti non avvenne tuttavia ovunque in maniera uniforme e nemmeno sempre col segno positivo per tutte le nazionalità. Gli uni e gli altri, infatti, dal 1970 registrarono una costante diminuzione, particolarmente vistosa tra gli stranieri in seguito alla crescente immigrazione da Paesi di religioni non cristiane. Se nel 1970 gli stranieri si dichiaravano cattolici al 78,4%, nel 1980 avevano già perso otto punti percentuali e nel 1990 erano meno del 60%.
A rallentare la crescita proporzionale dei cattolici non furono solo i nuovi immigrati di altre religioni, ma anche il crescente numero di vecchi immigrati, compresi molti italiani, che dichiaravano di non appartenere ad alcune confessione religiosa. Nel 1990, la non appartenenza degli stranieri (10,4%) era superiore a quella degli svizzeri (6,7%).
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Missione cattolica di lingua italiana di Berna |
Gli italiani di prima generazione, soprattutto a causa della loro minore integrazione nel contesto svizzero dovuta alle ben note difficoltà linguistiche, sono rimasti più a lungo della seconda generazione fedeli alla pratica religiosa, anche perché trovavano nelle numerose Missioni cattoliche italiane non solo un centro di spiritualità ma anche un centro di aggregazione sociale e di servizi particolarmente utili (asilo, scuola, assistenza, ristorante, ecc.). Non per nulla i fedeli più costanti nella pratica religiosa e nella partecipazione alle celebrazioni ecclesiali sono oggi le persone che bonariamente si chiamano terza e quarta età.
Le conseguenze
In Svizzera, all’inizio degli anni Novanta, le conseguenze di tale tendenza non erano ancora rilevanti, ma si poteva facilmente intuire che col tempo avrebbero potuto risultare importanti, anche per gli italiani. Basti solo pensare alla drastica riduzione delle Missioni cattoliche italiane, alla chiusura di asili e scuole cattoliche, all’abbandono da parte di molti delle Missioni come centri di socialità per i cattolici.
Nel campo italiano, addebitare alle Missioni di non aver saputo prevenire tali conseguenze significherebbe attribuire alle Missioni una responsabilità che non hanno. Esse svolgevano un servizio ecclesiale e sociale altamente meritorio. Eppure è difficile non vedere che negli anni Settanta e Ottanta le Missioni avrebbero potuto fare di più per stimolare la partecipazione degli stranieri negli organismi ecclesiali locali e questi a valorizzare maggiormente la diversità linguistica, culturale e sociale della componente straniera delle parrocchie.
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«Il nuovo Vangelo» di Milo Rau |
Molte delle conseguenze di cui oggi si sta occupando la gerarchia cattolica svizzera e altri interessati alla problematica della religione nella nostra società sono il risultato delle tendenze avviate nel periodo in esame (1970-1990).
Sarà difficile invertire la tendenza nonostante i tentativi di cambiare nome alle Missioni chiamandole «Comunità linguistiche» o cercando una nuova «pastorale migratoria». Il rischio è infatti di pretendere, agendo sulle forme (i nomi, le lingue, l’organizzazione, il grado di autonomia), di intervenire sulla sostanza (la fede, il Vangelo, Gesù Cristo). Difficile non vuol dire però impossibile e in questo caso l’ottimismo è giustificato. Di fronte a difficoltà anche maggiori la Chiesa ha sempre trovate le giuste soluzioni. Del resto, in questa situazione si registrano anche segnali positivi.
Auspicabile un’ampia riflessione
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BUONA PASQUA A TUTTI! |
In questo
contesto, è significativo che la settimana scorsa sia stato premiato come
miglior documentario 2021 «Il nuovo Vangelo» (Das neue Evangelium) del
regista svizzero Milo Rau, ambientato nella città di Matera (Basilicata) tra i
migranti costretti a lottare per i loro diritti nei campi di raccolta dei
pomodori. Alcuni critici hanno visto in que
st’opera una
sorta di manifesto di solidarietà verso i più poveri e un appello per creare
insieme un
mondo più giusto e più umano come risposta del regista a due domande fondamentali: Cosa avrebbe predicato Gesù nel 21° secolo? Chi sarebbero i suoi
apostoli?.
In una prospettiva di ragionevole ottimismo, per avviarsi su questa strada di radicale cambiamento è auspicabile che la riflessione chiesta recentemente dai vescovi svizzeri sugli aspetti religiosi dell’immigrazione fosse estesa a una cerchia di interessati ampia e non necessariamente legata solo alle istituzioni ecclesiali classiche ma anche alla socialità, al mondo del lavoro, alla formazione, alla cultura.
Giovanni
Longu
Berna, 31.03.2021