La discussione sui «migranti» si fa sempre più
accesa e confusa in Italia e nell’Unione europea (UE). La prima rischia di
essere sopraffatta dalla marea degli arrivi e soprattutto dalle esigenze
successive alla prima accoglienza. L’UE è bloccata dagli egoismi nazionalisti di
molti suoi membri per cui non riesce a darsi una politica comune in materia
d’asilo e ancor meno in materia d’immigrazione e d’integrazione. Anche la
terminologia indica grande confusione, perché si parla quasi indifferentemente
di migranti, immigrati, profughi, disperati, rifugiati, clandestini, irregolari,
richiedenti l’asilo, soccorso (in mare), sbarchi, invasione, accoglienza (nei porti
di sbarco), respingimento, ricollocazione, smistamento, mentre sono quasi
completamente assenti nei media termini fondamentali come rispetto, protezione,
accoglienza (umana e cristiana), solidarietà,
giustizia, generosità, integrazione, formazione, aiuto (finanziario) al ritorno delle persone
interessate a rientrare volontariamente
Dov’è la solidarietà europea?
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Profughi-migranti: come e dove aiutarli? |
Le cronache sui salvataggi in mare e sugli
sbarchi delle persone salvate sono quotidiane. Dopo la chiusura della
cosiddetta «rotta balcanica» ad opera della Turchia (grazie a un ingente
contributo finanziario dell’UE) la «rotta libica» dei barconi in partenza dalle
coste della Libia e a rischio di naufragio (che per altro sono frequenti) è
quella maggiormente seguita. Il principale se non l’unico approdo delle navi di
soccorso è l’Italia, che rischia però di non riuscire ad accogliere tutte le
persone salvate e già si parla di «emergenza immigrazione».
Di fronte agli arrivi inarrestabili, l’Italia
ha chiesto inutilmente la solidarietà dell’UE. Le è stata assicurata a
parole, persino con grandi elogi per lo sforzo che sta facendo nell’accogliere
così tanti «migranti», ma non coi fatti (anche perché, a quanto sembra, è stata
l’Italia a chiedere e ottenere che i migranti arrivassero tutti in Italia). I
Paesi dell’Europa meridionale Francia e Spagna, che potrebbero alleggerire il
carico dei porti italiani, hanno fatto sapere che i loro porti non sono
disponibili per questi carichi umani.
La debolezza dell’UE è palese perché non riesce a imporre a tutti i suoi membri nemmeno un
comportamento omogeneo in materia di prima accoglienza (anzi consente di
erigere ingiustificate barriere), ma soprattutto perché non sembra in grado di
elaborare e attuare una politica comune d’immigrazione e d’integrazione. L’onere
della prima accoglienza di questa massa umana che fugge da Paesi massacrati dal
sottosviluppo e dalla miseria (per lo più ex colonie dell’opulento Occidente!)
è lasciato prevalentemente all’Italia.
La situazione «migratoria» italiana rischia di
diventare ingestibile non perché «l’invasione dei migranti» sia una specie di
calamità naturale, ma perché questo Paese di lunghissima esperienza
emigratoria, sembra non averne alcuna immigratoria (nonostante siano almeno
quarant’anni che gli immigrati, regolari e irregolari, arrivino in Italia). In
questo ampio lasso di tempo non ha mai provveduto a elaborare un’articolata
politica immigratoria, fatta sì di accoglienza ma soprattutto d’integrazione e
di formazione sociale e professionale. Le uniche alternative che trovano eco
sui media sembrano essere «chiudiamo le frontiere» (come vorrebbe la Lega) o
«aiutiamoli a casa loro» (perché, sostiene Matteo Renzi, «noi non abbiamo il
dovere morale di accoglierli»). Cinismo? Miopia? Forse l’uno e l’altra.
Un’opportunità per l’Italia e l’UE
Chi scrive non ha evidentemente alcuna
soluzione del problema da proporre, ma ritiene che essa debba esistere perché
l’Europa dalle radici cristiane, costituita in parte da ex Paesi coloniali (!),
ricca e con un grande potenziale di ulteriore sviluppo non può rassegnarsi a
veder morire in mare esseri umani in cerca di aiuto o condannarli al loro
destino respingendoli.
Al punto in cui si è giunti la soluzione va
comunque trovata a livello europeo, sia intervenendo nei Paesi di
provenienza dei «profughi» (perché tali sono coloro che vengono soccorsi in
mare) con un progetto di sviluppo massiccio tipo «piano Marshall» e sia
elaborando ed attuando in Europa una politica coordinata di accoglienza prima e
d’integrazione dopo.
Purtroppo ci si è limitati finora nei vari
Paesi, ma soprattutto in Italia, ad organizzare la prima accoglienza dei
profughi, la loro identificazione e la loro classificazione (sperando di
poterne riaccompagnare qualcuno al loro Paese e smistarne il più possibile nel
resto d’Europa), ma non si è pensato al dopo. Manca a livello europeo un’autentica
politica immigratoria e un’efficace politica d’integrazione, almeno
per quella parte di profughi-immigrati che desidera restare per un tempo più o
meno lungo in un Paese europeo.
Quanto alla politica d’immigrazione
bisognerebbe partire da una osservazione facilmente verificabile: tutti i
grandi Paesi (almeno quelli del G20) sono stati Paesi d’immigrazione. Tutti
debbono in qualche misura la loro prosperità all’immigrazione. Perché l’UE
non pensa a un proprio rilancio cogliendo questa straordinaria opportunità, sia
pure governando meglio (non respingendo) i flussi immigratori?
Una delle condizioni perché questa opportunità
si trasformi in prosperità reale è tuttavia una efficace politica
d’integrazione e di formazione. Vivo in un Paese d’immigrazione, la Svizzera,
che deve il proprio sviluppo e benessere anche al contributo di milioni di
immigrati, e posso assicurare che almeno dagli anni Settanta del secolo scorso questo
Paese ha sviluppato un’efficiente politica d’integrazione linguistica,
sociale e professionale. Il risultato, il benessere raggiunto, è abbastanza
evidente.
Giovanni Longu
Berna, 12.7.2017
Berna, 12.7.2017