Trent’anni fa veniva
abbattuto il famigerato Muro di Berlino, simbolo non solo della divisione della
Germania che aveva perso la seconda guerra mondiale (Germania federale e
Germania democratica orientale), ma anche dell’Europa (Occidentale e Orientale)
tra la zona d’influenza dei vincitori occidentali (USA, Gran Bretagna e
Francia) e la zona d’influenza dell’Unione Sovietica e più in generale della
divisione tra Occidente e Oriente, Capitalismo e Comunismo. Berlino, dopo la
costruzione del Muro (iniziata nel 1961), era divenuta il simbolo di queste
divisioni.
La prima volta
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Il muro davanti alla Porta di Brandeburgo (1961) |
Mosso più da semplice
curiosità che da interessi turistici o culturali, visitai per la prima volta le
due Berlino con alcuni amici nella primavera del 1971. Eravamo partiti da
Monaco di Baviera e per arrivarci dovevamo attraversare una parte della
Germania orientale. Superato il confine tra le due Germanie al Checkpoint
Alpha, a Helmstedt, percorremmo la lunga autostrada che portava a
Berlino, quasi senza traffico.
A Berlino Ovest, preso
alloggio in albergo, girammo in lungo e largo la città, in gran parte ricostruita,
anche se si vedevano qua e là, soprattutto in alcuni quartieri, i segni della
distruzione subita. Mi colpirono i grandi spazi, i lunghi viali, i parchi e i monumenti,
ma anche una certa tristezza che mi sembrava di percepire parlando con la gente,
dovuta probabilmente alla condizione della città divisa e occupata.
Il giorno in cui
avevamo deciso di passare il Muro per visitare Berlino Est ci munimmo di un bel
po’ di marchi orientali acquistati a un cambio vantaggiosissimo, lasciandoci un
po’ di marchi occidentali per il cambio ufficiale obbligatorio alla frontiera uno
a uno. Sapevamo che era vietato introdurre marchi orientali e che al passaggio
della frontiera si rischiava di essere perquisiti. Rischiammo, nascondendo il
denaro dentro le calze, sperando di farla franca e imponendoci di non dare alcun
segno di paura.
Giunti al Checkpoint
Charlie, il punto di passaggio tra Berlino Ovest e Berlino Est degli stranieri,
il pullman venne ispezionato da cima a fondo, dentro e fuori, sopra e sotto, mentre
nessuno dei passeggeri fu perquisito. Tirammo un sospiro di sollievo e
proseguimmo. Conservo ancora nitido il ricordo di quel passaggio facendo la gincana
tra blocchi di cemento.
Visitammo per ore la città senza alcun controllo (ci era
stato detto che saremmo stati comunque spiati nei nostri movimenti). A un certo
momento capitammo vicino alla Neue Wache e aspettammo insieme a una
piccola folla la cerimonia del cambio della guardia.
Alexanderplatz
Ci fermammo soprattutto all’Alexanderplatz,
dove si concentrava il meglio dell’immagine che si voleva dare ai visitatori
occidentali. Notammo che numerosi negozi erano destinati solo ai turisti e i
prezzi erano praticamente gli stessi che dall’altra parte della città. Avevamo
molti soldi da spendere ma non volevamo acquistare oggetti che si potevano
acquistare anche altrove. Ci concedemmo pertanto un ottimo pranzo con dessert
al ristorante collocato sulla grandiosa Torre della televisione
(alta ben 368 m). Dalla terrazza panoramica con vista straordinaria su Berlino
si vedeva anche il terribile Muro che divideva in due la città e si capiva che
non era un semplice muro ma un complicato sistema per impedire la fuga degli
orientali nella zona occidentale.
Durante il pranzo, conversando con altri ospiti, ricordo di
aver domandato ad una signora vestita in maniera piuttosto elegante, se provava
risentimento per essere privata della libertà di andare a piacimento dall’altra
parte della città o invidia di coloro che l’avevano. La sua risposta mi
sorprese a tal punto da ricordarla benissimo ancora: «non provo né risentimento
né invidia, perché la realtà va accettata così com’è». Probabilmente a lei
stava bene davvero.
Prima di lasciare Berlino Est cercammo di consumare i marchi
orientali che ci erano rimasti, perché dall’altra parte non ci sarebbero
serviti. Comprammo libri e dischi e altro, pur di disfarci di quei marchi.
La seconda volta
La seconda volta che tornai a Berlino in compagnia di
famigliari fu nel 1994, cinque anni dopo la caduta del Muro. Percorremmo un
tratto del famoso viale Unter den Linden, sostammo sotto la Porta
di Brandeburgo, cercammo invano tracce del Muro. Erano scomparse e solo un
berlinese ci poté indicare dove correva il Muro e dove erano conservati alcuni
pezzi. Evidentemente non si voleva far scomparire del tutto il ricordo di quell’infamia.
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La Porta di Brandeburgo dopo la caduta del muro. |
Girando da una parte
all’altra della città erano tuttavia ancora visibili i segni della divisione. I
tedeschi occidentali avevano deciso di riconvertire non solo molte aree
depresse della Germania orientale, ma anche interi quartieri di Berlino Est.
Fui molto sorpreso, tuttavia, di osservare lo stato di abbandono in cui
ritrovai Alexanderplatz. Nel 1971 era il fiore all’occhiello
della Germania orientale, ora mi sembrava una piazza vuota e senza vita. Quel
giorno non si poteva nemmeno salire sulla torre della televisione.
Chiesi a un conduttore
di un autobus di linea cosa ne pensava dell’abbattimento del Muro e mi rispose
che quello scempio andava rimosso, ma che non si pensasse che sarebbe bastato
per riunificare le due parti della città e della Germania. «Ci saranno
differenze ancora a lungo perché noi tedeschi siamo diversi, noi occidentali
siamo diversi dagli orientali. E’ una questione di mentalità e di cultura, non
di muri. I muri come si costruiscono si possono buttare giù, ma cambiare le
mentalità è molto più difficile e ci vogliono generazioni».
Anche in seguito sono
stato più volte in Germania e quel chauffeur aveva ragione. Tra Francoforte
e Dresda, per fare un esempio, si respira un’aria diversa. Quando si reclama
dall’Unione europea maggiore coesione, maggiore unità, bisognerebbe pensare che
anche all’interno dei singoli Paesi dell’Unione ci sono differenze e
disuguaglianze e bisognerebbe cominciare con appianare queste. Il resto diventerebbe
più facile.
Berna, 9 novembre 2019