12 settembre 2018

Settembre nero! Perché ricordarlo?


Siamo portati, un po’ tutti, a rimuovere dalla memoria le esperienze negative e ricordare quasi esclusivamente i momenti più belli della nostra esistenza. Si tratta probabilmente di una scelta autonoma del cervello per rendere la vita più vivibile e serena. Nella coscienza collettiva accade lo stesso fenomeno, forse come misura di salvaguardia dell’equilibrio sociale e della libertà di progettare il futuro. Ci sono comunque delle esperienze personali e collettive che non andrebbero mai rimosse perché utili. Sarebbe a mio avviso un errore dimenticare certi eventi che hanno inciso profondamente nella nostra storia e che possono servire, per esempio, a non commettere certi errori o a fare meglio ciò che stiamo per fare. Per lo sviluppo della nostra società civile ritengo per esempio utile ricordare alcuni eventi del passato non troppo lontano che il mese di settembre mi fa venire in mente.

Leggi razziali (5 settembre 1938)
Giusto una settimana fa è stato ricordato il «giorno delle leggi razziali»: 5 settembre 1938. Quel giorno infatti fu promulgato dal regime fascista un regio decreto-legge contenente «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista». Due giorni dopo, il 7 settembre, ne seguì un altro che conteneva «Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri». Alla base di questi e altri provvedimenti simili, firmati, tra l'estate e l'autunno del 1938, da Benito Mussolini in qualità di capo del Governo e poi promulgati dal re Vittorio Emanuele III, c’erano le idee contenute in un Manifesto degli scienziati razzisti (15 luglio), reso pubblico proprio il 5 settembre come Manifesto della Razza sulla rivista fascista La difesa della razza.
Quelle idee, quel manifesto e quei provvedimenti suscitarono l’indignazione di tutti gli ebrei d’Italia, molti dei quali si videro costretti a espatriare per cercare rifugio negli Stati Uniti o in altri Paesi. Anche molti italiani di pura razza ariana protestarono e il papa Pio XI, denunciò che l'Italia, sul razzismo, imitasse «disgraziatamente» la Germania nazista. Le proteste ottennero come immediato risultato solo l’irritazione di Mussolini e non impedirono le retate di ebrei e il loro invio nei campi di internamento.
Non mi pare inutile ricordare, ottant’anni dopo, quelle leggi della vergogna, perché i pericoli del razzismo e della discriminazione sotto molteplici forme non sono astratti, ma presenti anche nelle nostre società. Per fermare la degenerazione di certe idee razziste o comunque discriminatorie la reazione più efficace è sempre quella corale dei cittadini. Occorre scongiurare sul nascere anche quelle forme di populismo e di demagogia che possono apparire utili, anzi risolutive di problemi esistenziali diffusi tra la popolazione.

«Si salvi chi può!» (8 settembre 1943)
L’8 settembre 1943 ha segnato la svolta decisiva delle sorti della seconda guerra mondiale in Italia. Quel giorno, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower annunciò alla radio di Algeri che «il governo italiano [presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio], riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».
L’ultima frase si riferiva all’eventualità che i tedeschi attaccassero gli italiani. Eventualità che divenne lo stesso giorno certezza, perché i tedeschi presero subito il comando dell’esercito nazifascista in Italia, mandarono nei campi di concentramento e di lavoro circa seicentomila soldati italiani che avevano rinunciato a combattere e non erano riusciti ad aggregarsi alle forze della Resistenza, seminarono distruzione e morte in tutta l’Italia non ancora occupata dagli Alleati. Alcuni contingenti operanti fuori dell’Italia che non vollero arrendersi furono trucidati. Solo a Cefalonia, un’isola greca, un’intera divisione fu annientata, pochissimi si salvarono.
Il ricordo di quegli eventi e soprattutto di quei morti va salvaguardato per alimentare soprattutto nei giovani il ripudio della guerra, della lotta armata, della violenza, delle discriminazioni e far crescere l’amore per la pace, la solidarietà, la libertà. Non si fa ancora abbastanza. L’opinione pubblica sembra non accorgersi delle molte guerre, con morti e feriti, che si combattono in varie parti del mondo. Dovrebbero riguardarci perché il mondo è sempre più globalizzato e la guerra è inutile, immorale e disumana. Eppure si sentono ancora politici italiani che parlano dei «clandestini» come nemici da respingere, di pericolo d’invasione, di blocco navale, ecc.
Oltre alle disgrazie che si sono moltiplicate dopo l’8 settembre 1943 (re in fuga, governo in confusione totale, esercito abbandonato a sé stesso, invasione dei tedeschi, deportazioni, eccidi) mi pare giusto ricordare anche una bella pagina scritta dagli svizzeri che in quel periodo accolsero oltre 20.000 militari e circa 15 mila civili fino alla fine della guerra. Molti di essi si prepararono qui alla ricostruzione dell’Italia sotto il profilo economico e morale.

Svizzera: settembre 1965
Il mese di settembre del 1965 fu in Svizzera, soprattutto nel Vallese, particolarmente concitato perché si cercavano i morti sepolti sotto una massa enorme di ghiaccio precipitata dal ghiacciaio Allalin su un cantiere dov’erano al lavoro soprattutto operai italiani (30 agosto 1965). I morti furono 88, di cui 56 italiani.
Fu un mese di profondo dolore per le famiglie delle vittime e di sconcerto per molti connazionali che non si sentivano più al sicuro nei numerosi cantieri di montagna. Fu anche un mese di aspre polemiche perché anche allora, come recentemente dopo il crollo del ponte di Genova, la prima reazione di alcuni politici fu d’individuare subito i responsabili, invece di occuparsi dei parenti delle vittime. L’opinione pubblica reagì diversamente, con compostezza e grande senso di solidarietà.

Settembre nero a Monaco di Baviera (5-6 settembre 1972)
Ricordo bene quei giorni di terrore perché qualche mese prima che iniziassero i giochi olimpici estivi di Monaco di Baviera avevo visitato quei luoghi. Un commando di terroristi palestinesi appartenenti all’organizzazione «Settembre nero» era penetrato nella palazzina dov’erano alloggiati gli atleti israeliani compiendo una strage: 11 atleti vennero uccisi. Fu un evento tragico che incise profondamente nello spirito olimpico, insinuando il rischio di strumentalizzazioni e l’insicurezza generale. Da allora i Giochi olimpici vennero organizzati tenendo sempre più conto anche dei problemi della sicurezza.
Purtroppo è cambiato anche lo «spirito olimpico». Di fatto oggi prevalgono la competizione, il prestigio nazionale, il medagliere, gli interessi economici, lasciando molto spazio ai nazionalismi più che alla fratellanza dei popoli e al sano agonismo.

11 settembre 2001
L’«11 settembre» è legato indissolubilmente agli attentati alle Torri Gemelle di New York, che causò la morte a circa 3000 persone e il ferimento di oltre 6000. Le immagini terrificanti dello sventramento dei due grattaceli e poi del loro crollo sono rimaste indelebili in chi le ha viste quasi in diretta. Il terrorismo mediorientale di Al-Qaïda era riuscito a penetrare nella fortezza statunitense che si riteneva al sicuro. I danni furono ingenti, non tanto quelli materiali, quanto quelli delle vite umane travolte e delle conseguenze politiche e psicologiche su scala mondiale.
Dopo l’11 settembre 2001 a cambiare è stato il mondo intero sull’onda della paura di attacchi terroristici e della lotta al terrorismo. Per combatterlo, vero o presunto che fosse, tutto sembrava lecito. Si coltivarono idee secondo me aberranti, incentrate sull’uso della forza, che prevedevano come corollari una vera e propria preparazione bellica, la sorveglianza globale, attacchi militari mirati e persino la «guerra preventiva»… in barba alla libertà dei popoli!

Considerazioni finali
Cos’hanno in comune tutte queste disgrazie? Non certo le forme con cui si sono manifestate, ma le cause, almeno indirette, che ne furono all’origine, una in particolare: la scarsa considerazione della persona umana. Degli individui non sembrava più contare tanto né la vita né la morte, solo perché «ebrei», «militari», «operai», negando loro la dignità assoluta di esseri umani, da salvaguardare con ogni mezzo e a ogni costo.
La storia sembra non insegnare abbastanza. Anche oggi ci sono, per esempio in Italia, personaggi che si ritengono investiti di missioni speciali, al limite della legalità, solo perché hanno un ampio consenso popolare. In realtà si servono del consenso popolare per realizzare le proprie idee, lo strumentalizzano per avere più potere, nei confronti del parlamento e persino della magistratura. Per questo, mi sembra necessario e urgente informarsi bene e cercare soluzioni compatibili con la democrazia e col rispetto dovuto a tutte le persone perché «hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3 della Costituzione italiana).
Ognuno deve fare la sua parte e non stare a guardare, in silenzio, aspettando che altri intervengano. Se non si agisce ora, con l’informazione, la formazione, l'azione, domani forse la reazione sarà troppo tardiva e si dovrà assistere impotenti a chi sa quanti altri disastri.
Giovanni Longu
Berna, 12.09.2018