Siamo portati, un po’
tutti, a rimuovere dalla memoria le esperienze negative e ricordare quasi
esclusivamente i momenti più belli della nostra esistenza. Si tratta
probabilmente di una scelta autonoma del cervello per rendere la vita più
vivibile e serena. Nella coscienza collettiva accade lo stesso fenomeno, forse
come misura di salvaguardia dell’equilibrio sociale e della libertà di
progettare il futuro. Ci sono comunque delle esperienze personali e collettive
che non andrebbero mai rimosse perché utili. Sarebbe a mio avviso un errore
dimenticare certi eventi che hanno inciso profondamente nella nostra storia e
che possono servire, per esempio, a non commettere certi errori o a fare meglio
ciò che stiamo per fare. Per lo sviluppo della nostra società civile ritengo
per esempio utile ricordare alcuni eventi del passato non troppo lontano che il
mese di settembre mi fa venire in mente.
Leggi razziali (5 settembre 1938)
Giusto una settimana fa è stato ricordato il «giorno delle leggi
razziali»: 5 settembre 1938. Quel giorno infatti fu promulgato dal regime
fascista un regio decreto-legge contenente «Provvedimenti
per la difesa della razza nella scuola fascista». Due giorni dopo, il 7
settembre, ne seguì un altro che conteneva «Provvedimenti nei confronti degli
ebrei stranieri». Alla base di questi e altri provvedimenti simili, firmati,
tra l'estate e l'autunno del 1938, da Benito Mussolini in qualità di
capo del Governo e poi promulgati dal re Vittorio Emanuele III, c’erano
le idee contenute in un Manifesto degli scienziati razzisti (15 luglio),
reso pubblico proprio il 5 settembre come Manifesto della Razza sulla rivista fascista La difesa della razza.
Quelle idee, quel manifesto e quei
provvedimenti suscitarono l’indignazione di tutti gli ebrei d’Italia, molti dei
quali si videro costretti a espatriare per cercare rifugio negli Stati Uniti o
in altri Paesi. Anche molti italiani di pura razza ariana protestarono e
il papa Pio XI, denunciò che l'Italia, sul razzismo, imitasse
«disgraziatamente» la Germania nazista. Le proteste ottennero come immediato
risultato solo l’irritazione di Mussolini e non impedirono le retate di ebrei e
il loro invio nei campi di internamento.
Non mi pare inutile ricordare, ottant’anni dopo,
quelle leggi della vergogna, perché i pericoli del razzismo e della
discriminazione sotto molteplici forme non sono astratti, ma presenti anche
nelle nostre società. Per fermare la degenerazione di certe idee razziste o
comunque discriminatorie la reazione più efficace è sempre quella corale dei
cittadini. Occorre scongiurare sul nascere anche quelle forme di populismo e di
demagogia che possono apparire utili, anzi risolutive di problemi esistenziali
diffusi tra la popolazione.
«Si salvi chi può!» (8 settembre 1943)
L’8 settembre 1943 ha segnato la svolta
decisiva delle sorti della seconda guerra mondiale in Italia. Quel giorno, alle
17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower annunciò alla
radio di Algeri che «il governo italiano [presieduto dal maresciallo Pietro
Badoglio], riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta
contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare
ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al
generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate
anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di
ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze
italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi
altra provenienza».
L’ultima frase si riferiva all’eventualità che
i tedeschi attaccassero gli italiani. Eventualità che divenne lo stesso giorno
certezza, perché i tedeschi presero subito il comando dell’esercito
nazifascista in Italia, mandarono nei campi di concentramento e di lavoro circa
seicentomila soldati italiani che avevano rinunciato a combattere e non erano
riusciti ad aggregarsi alle forze della Resistenza, seminarono distruzione e
morte in tutta l’Italia non ancora occupata dagli Alleati. Alcuni contingenti operanti
fuori dell’Italia che non vollero arrendersi furono trucidati. Solo a Cefalonia,
un’isola greca, un’intera divisione fu annientata, pochissimi si salvarono.
Il ricordo di quegli eventi e soprattutto di
quei morti va salvaguardato per alimentare soprattutto nei giovani il ripudio
della guerra, della lotta armata, della violenza, delle discriminazioni e far
crescere l’amore per la pace, la solidarietà, la libertà. Non si fa ancora abbastanza.
L’opinione pubblica sembra non accorgersi delle molte guerre, con morti e
feriti, che si combattono in varie parti del mondo. Dovrebbero riguardarci
perché il mondo è sempre più globalizzato e la guerra è inutile, immorale e disumana.
Eppure si sentono ancora politici italiani che parlano dei «clandestini» come nemici
da respingere, di pericolo d’invasione, di blocco navale, ecc.
Oltre alle disgrazie che si sono moltiplicate
dopo l’8 settembre 1943 (re in fuga, governo in confusione totale, esercito
abbandonato a sé stesso, invasione dei tedeschi, deportazioni, eccidi) mi pare
giusto ricordare anche una bella pagina scritta dagli svizzeri che in quel
periodo accolsero oltre 20.000 militari e circa 15 mila civili fino alla fine
della guerra. Molti di essi si prepararono qui alla ricostruzione dell’Italia sotto
il profilo economico e morale.
Svizzera: settembre 1965
Il mese di settembre del 1965 fu in Svizzera,
soprattutto nel Vallese, particolarmente concitato perché si cercavano i morti
sepolti sotto una massa enorme di ghiaccio precipitata dal ghiacciaio Allalin
su un cantiere dov’erano al lavoro soprattutto operai italiani (30 agosto
1965). I morti furono 88, di cui 56 italiani.
Fu un mese di profondo dolore per le famiglie
delle vittime e di sconcerto per molti connazionali che non si sentivano più al
sicuro nei numerosi cantieri di montagna. Fu anche un mese di aspre polemiche
perché anche allora, come recentemente dopo il crollo del ponte di Genova, la
prima reazione di alcuni politici fu d’individuare subito i responsabili, invece
di occuparsi dei parenti delle vittime. L’opinione pubblica reagì diversamente,
con compostezza e grande senso di solidarietà.
Settembre nero a Monaco di
Baviera (5-6 settembre 1972)
Ricordo
bene quei giorni di terrore perché qualche mese prima che iniziassero i giochi olimpici
estivi di Monaco di Baviera avevo visitato quei luoghi. Un commando di terroristi
palestinesi appartenenti all’organizzazione «Settembre nero» era
penetrato nella palazzina dov’erano alloggiati gli atleti israeliani compiendo
una strage: 11 atleti vennero uccisi. Fu un evento tragico che incise
profondamente nello spirito olimpico, insinuando il rischio di
strumentalizzazioni e l’insicurezza generale. Da allora i Giochi olimpici
vennero organizzati tenendo sempre più conto anche dei problemi della sicurezza.
Purtroppo è cambiato anche lo «spirito
olimpico». Di fatto oggi prevalgono la competizione, il prestigio nazionale, il
medagliere, gli interessi economici, lasciando molto spazio ai nazionalismi più
che alla fratellanza dei popoli e al sano agonismo.
11 settembre 2001
L’«11 settembre» è legato indissolubilmente agli attentati alle Torri Gemelle
di New York, che causò la morte a circa 3000 persone e il ferimento di oltre
6000. Le immagini terrificanti dello sventramento dei due grattaceli e poi del
loro crollo sono rimaste indelebili in chi le ha viste quasi in diretta. Il
terrorismo mediorientale di Al-Qaïda era riuscito a penetrare nella fortezza statunitense che si riteneva
al sicuro. I danni furono ingenti, non tanto quelli materiali, quanto quelli
delle vite umane travolte e delle conseguenze politiche e psicologiche su scala
mondiale.
Dopo l’11 settembre 2001 a cambiare è
stato il mondo intero sull’onda della paura di attacchi terroristici e della
lotta al terrorismo. Per combatterlo, vero o presunto che fosse, tutto sembrava
lecito. Si coltivarono idee secondo me aberranti, incentrate sull’uso della
forza, che prevedevano come corollari una vera e propria preparazione bellica, la
sorveglianza globale, attacchi militari mirati e persino la «guerra preventiva»…
in barba alla libertà dei popoli!
Considerazioni finali
Cos’hanno in comune tutte queste disgrazie? Non
certo le forme con cui si sono manifestate, ma le cause, almeno indirette, che ne
furono all’origine, una in particolare: la scarsa considerazione della
persona umana. Degli individui non sembrava più contare tanto né la vita né
la morte, solo perché «ebrei», «militari», «operai», negando loro la dignità
assoluta di esseri umani, da salvaguardare con ogni mezzo e a ogni costo. 
Ognuno deve fare la sua parte e non stare a
guardare, in silenzio, aspettando che altri intervengano. Se non si agisce ora, con
l’informazione, la formazione, l'azione, domani forse la reazione sarà troppo tardiva e
si dovrà assistere impotenti a chi sa quanti altri disastri.
Giovanni Longu
Berna, 12.09.2018
Berna, 12.09.2018