Cento anni fa, al termine di una partita amichevole di calcio tra le
nazionali della Svizzera e dell’Italia, giocata a Berna il 28 marzo 1920 e vinta dalla Svizzera per 3 a 0, fu organizzato in
onore degli ospiti italiani, nello splendido salone delle feste del Casino, un
banchetto con oltre duecento invitati. Per l’Italia era presente anche il suo
massimo rappresentante, il Ministro d’Italia Orbini-Bavera, per la
Svizzera il presidente della Confederazione Giuseppe Motta, grande amico
dell’Italia e convinto sostenitore dell’italianità.
Nei brindisi, elogio
delle «civiche virtù svizzere»…
La partecipazione del
primo magistrato elvetico stava a significare soprattutto la volontà di
confermare e rafforzare i vincoli di amicizia tra due Nazioni vicine e unite
dagli stessi valori. Le espressioni usate durante i brindisi sembrano aver
conservato nella sostanza tutta la loro attualità, sebbene sia mutato il
contesto storico e sociale. Esse meritano di essere rievocate in questo momento
in cui il futuro non è privo di incertezze, ma è certa l’amicizia e la
solidarietà italo-svizzera.
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Il
moderno Stade de Suisse di Wankdorf (2005) |
Prese per primo la
parola il Ministro d’Italia comm. Orbini-Bavera anzitutto per ringraziare il
presidente Motta a nome della «balda rappresentanza della gioventù
italiana venuta a cimentarsi con la vittoriosa squadra nazionale svizzera» per
«l’onore che le avete fatto con la vostra presenza a questo simposio di amici». Poi proseguì elogiando le «civiche virtù» di questa
Confederazione «nella quale i cuori, le volontà dei singoli,
si uniscono indissolubilmente al di sopra delle difficoltà naturali» e in cui il «sentimento di umana solidarietà» si
era già ampiamente manifestato agli italiani «nei tempi gloriosi del nostro
Risorgimento» e «durante la recente guerra». Concluse invitando i connazionali a brindare «con animo riconoscente e grato alla salute del Presidente Motta, del Governo Federale e della libera Confederazione».
Gli rispose il presidente della Confederazione con un brindisi, dice una cronaca, «riuscitissimo
per la forma e per il contenuto». Esordì dicendo: «Adempio ad un ufficio assai
grato salutando qui, nella capitale della Confederazione, in questo rinascere
di primavera, i valorosi campioni della gara italo-svizzera per il giuoco del
calcio. Saluto in modo particolare, con animo riconoscente, i vostri ospiti d’Italia,
lieto di rivolgermi a loro nella lingua armoniosa che è la loro e che è anche
la mia».
… e dell’Italia «madre del diritto e della civiltà»
Dopo aver rievocato «l’immane
convulsione bellica» e la ripresa in atto, Motta proseguì: «Consentitemi di ravvisare nella gara odierna il simbolo di un’idea e di un
proponimento. L'idea è quella dell’emulazione feconda fra l’Italia e la
Svizzera in tutti i campi dell’attività umana, dall’igiene alla filantropia,
dalla politica all’economia, dall’arte alla scienza, dalle palestre spirituali
alle palestre fisiche. Il proponimento è quello di volere, italiani e svizzeri,
continuare a vivere perennemente in fervida, efficace, cordiale amicizia.
Gli svizzeri amano l’Italia perché sanno che l’Italia non è soltanto “la
terra dei fiori, dei suoni e dei carmi”, ma prima e più ancora la madre del
diritto e della civiltà. Gli svizzeri stimano gli italiani perché ne conoscono
le virtù singolari d’ingegno, di misura, di laboriosità, di sobrietà, di
gentilezza. La gentilezza è virtù schiettamente italiana, né altra lingua fuori di quella dì Francesco Petrarca saprebbe
esprimere tutta la contenenza di questo meraviglioso vocabolo. Gli svizzeri ammirano il popolo d’Italia
perché non ignorano che questo popolo “dalle molte vite” ha compiuto
durante l’asprissima guerra prodigi di resistenza e di valore al fronte e
dietro il fronte, non tollerando mai, rispettoso com’è del diritto delle genti,
che le battaglie combattute fra gli eserciti degenerassero in mischia barbarica
contro gli individui non combattenti ed inermi,
Gli svizzeri augurano al popolo d’Italia di trovare, nell’unione e nella
concordia di tutti i suoi figli, la fede e la virtù di superare la crisi
economica e sociale che fatalmente doveva, a guerra finita, flagellare tutti i popoli,
tanto i vinti, quanto i neutrali ed i vincitori. L’equa e umana parola del
Presidente Nitti sarà udita non solo entro, ma anche fuori i confini della
Penisola. La gente che ha espresso dal proprio seno tanti eroi […] la gente
italica non fallirà alle sue gloriose fortune. Io bevo alla salute dell’Italia
…».
Possano davvero gli italiani trovare la necessaria concordia richiesta dalle difficoltà del momento e possa l’amicizia italo-svizzera
consolidarsi e svilupparsi sempre più!
Giovanni Longu