Leggendo molte
narrazioni dell’immigrazione italiana in Svizzera del dopoguerra sembra
assistere al dramma di centinaia di migliaia di lavoratori e delle
loro famiglie alla mercé di datori di lavoro spietati, di organi dello Stato
svizzero arbitrari e vessatori (soprattutto la Polizia degli stranieri), di
speculatori senza scrupoli, di cittadini rancorosi e invidiosi, di
rappresentanti diplomatici italiani più interessati alle buone relazioni
bilaterali che al benessere dei connazionali, di attivisti politici e sindacali
seducenti nelle parole e impotenti nella pratica.
In queste descrizioni manca quasi sempre la premessa indispensabile: la politica immigratoria svizzera di allora si basava su una legge del 1931, approvata quasi all’unanimità dai rappresentanti del popolo e dei Cantoni, che attribuiva poteri quasi illimitati alle autorità, specialmente alla Polizia degli stranieri, e si prestava a molti eccessi e abusi nei confronti degli stranieri. Era una legge fatta apposta per limitare la popolazione straniera residente e renderla sottomessa.
In queste descrizioni manca quasi sempre la premessa indispensabile: la politica immigratoria svizzera di allora si basava su una legge del 1931, approvata quasi all’unanimità dai rappresentanti del popolo e dei Cantoni, che attribuiva poteri quasi illimitati alle autorità, specialmente alla Polizia degli stranieri, e si prestava a molti eccessi e abusi nei confronti degli stranieri. Era una legge fatta apposta per limitare la popolazione straniera residente e renderla sottomessa.
Il contesto internazionale e nazionale

La Svizzera ritenne
invece opportuno regolare in via definitiva, con una legge apposita, il
problema degli stranieri intervenendo sia sulla politica immigratoria (evitando
tuttavia di violare i trattati internazionali limitando arbitrariamente gli
ingressi) e sia sul mercato del lavoro, condizionando il permesso di soggiorno
degli stranieri al permesso di lavoro.
Non va inoltre
dimenticato che, sebbene il numero di stranieri fosse in diminuzione (nel 1930
era sceso a 355.522 persone e non rappresentasse che l’8,7% della popolazione),
era sempre diffusa nell’opinione pubblica la paura che al momento del rilancio
economico gli stranieri avrebbero nuovamente invaso la Svizzera. Nell’opinione
pubblica il pericolo della Überfremdung
era tutt’altro che scomparso.
Lo scopo della legge del 1931
Lungamente attesa (anche perché mancava fino al
1925 una base costituzionale che la consentisse) e a lungo discussa (tra il
1930 e il 1931) dall’Assemblea federale, la nuova legge concernente la dimora e il domicilio degli
stranieri (che sostitutiva quella precedente del 1903), dopo
l’appianamento delle divergenze tra il testo del Consiglio nazionale e quello
del Consiglio degli Stati, fu approvata definitivamente all’unanimità il
26 marzo 1931. La sua entrata in vigore fu rinviata al 1° gennaio 1934 per consentire
la preparazione dell’ordinanza di esecuzione.
Invano si cercherà nel
testo dei 26 articoli della legge lo scopo preciso della legge, ma esso emerge
chiaramente dai contenuti. Del resto, alcuni decenni più tardi il Consiglio federale ammise che quella
legge «era destinata ad adempiere una duplice funzione: da un lato impedire ad
individui «indesiderabili» di entrare e rimanere in Svizzera; dall’altro
permettere alle autorità federali di esercitare un influsso regolatore sul
mercato del lavoro e prevenire l’inforestierimento».
Nel Messaggio del Consiglio federale del 17 giugno 1929 che
accompagnava il disegno di legge sottoposto all’Assemblea federale non si trova mai il termine «inforestierimento» o «Überfremdung», ma appare evidente che l’obiettivo finale della nuova legge era la lotta
all’«inforestierimento», non attraverso un controllo/selezione alla frontiera,
ma attraverso un controllo/selezione all’interno mediante la concessione e i
controlli dei necessari permessi per poter soggiornare temporaneamente o a
tempo indeterminato nel territorio della Confederazione.
La nuova legge
non aboliva i trattati bilaterali di domicilio, che avrebbero continuato a
regolare il reclutamento e le condizioni iniziali di lavoro, ma aveva il
compito di definire lo statuto del lavoratore immigrato e disciplinare le
condizioni del suo soggiorno in Svizzera. Completamente diverso risulta lo
spirito in cui erano stati sottoscritti quei trattati e in cui fu approvata la
nuova legge sugli stranieri. Se i primi erano il frutto di una concezione
liberale dello Stato, la nuova legge rispondeva a nuove esigenze di tipo
nazionalistico protezionistico maturate durante e dopo la prima guerra
mondiale.
Secondo il Messaggio
del governo, la legge non concerneva misure di controllo alle frontiere, ma misure
di controllo all’interno del Paese (concessione dei permessi) per essere
premuniti «per il caso in cui delle crisi politiche od economiche minacciassero
di far affluire in Svizzera una quantità eccessiva di stranieri».
Le intenzioni del
governo non sfuggirono al consigliere nazionale socialista Nino Borella,
che nella discussione generale denunciò: «La legge vorrebbe
tendere ad eliminare la possibilità che mano d'opera straniera entri nel nostro
paese, pregiudichi la situazione dei nostri operai e crei maggiori difficoltà
nella lotta per la vita che tutta la classe lavoratrice svizzera deve
sostenere. Invece la legge, pur considerando la situazione, né la risolve, né
la [ri]para».
Il senso generale della legge del 1931
Sebbene il testo
finale sia stato approvato all’unanimità, non vuol dire che durante il
dibattito parlamentare non siano emerse contrarietà. Soprattutto i deputati
socialisti furono molto combattivi, ma non riuscirono in quanto minoranza a far
valere le loro ragioni. Non riuscirono, per esempio, a contenere lo strapotere
della Polizia degli stranieri, ritenuta una sorta di nuova «maestà».
Fin dall’articolo
2 la Polizia degli stranieri compare come il principale organo esecutivo
delle disposizioni federali in materia di soggiorno degli stranieri, a cui, lo
straniero deve notificare entro tre mesi il suo arrivo in Svizzera «allo scopo
di regolare le condizioni della sua residenza» e poi in seguito quando dovesse
cambiare Cantone (art. 8).
Per rendersi
conto degli ampi poteri della Polizia degli stranieri basta leggere l’articolo
15 della legge, dove si afferma che essa «esercita tutte le funzioni che
non spettano a un'autorità federale o che non sono affidate dalla legislazione
cantonale ad altra autorità», tra cui «la facoltà di espellere uno straniero
nonché di rilasciare o di mantenere un permesso di dimora, di domicilio o una
tolleranza (…)», ecc. Questa somma di poteri aveva suscitato la reazione amara
del senatore radicale Brenno Bertoni, secondo cui molte disposizioni
della legge erano ispirate ad un principio «eccessivamente poliziesco».
Il senso generale
della legge appare chiaramente all’articolo 1, il quale dice in sostanza
che «ha diritto di risiedere in Svizzera ogni straniero che sia al beneficio d'un
permesso di dimora o di domicilio o d'una tolleranza, ovvero che, secondo la
presente legge, non abbia bisogno d'un permesso siffatto». In altre parole,
come commentava il senatore Bertoni, «lo straniero è
libero di dimorare nel nostro paese, libero in quanto lo si lasci fare, ma non
ha nessun diritto di rimanere se il giudizio della polizia sulla desiderabilità
o indesiderabilità della sua presenza lo esclude».
Alcuni contenuti specifici
Per comprendere
meglio la portata dell’articolo 1 è opportuno menzionare in particolare gli
articoli 4, 10 e 16.
L’articolo 4
precisa che «l’autorità decide liberamente, nei limiti delle disposizioni di
legge e dei trattati con l’estero, circa la concessione del permesso di dimora
o di domicilio, e la tolleranza». Indirettamente veniva anche sancito che
l’autorità non era obbligata al rinnovo dei permessi, qualora fossero venute
meno le condizioni per le quali erano stati rilasciati. In altre parole, oggi si
direbbe, la precarietà dei lavoratori stranieri era garantita.
L’articolo 10
tratta dell’espulsione dello straniero ed è interessante la casistica per cui
gli stranieri indesiderati potevano essere espulsi (criminalità, malattia,
indigenza, abuso dell’ospitalità svizzera con ripetute infrazioni gravi
dell’ordine pubblico, ecc.). L’elenco delle ragioni che potevano essere
ritenute sufficienti per l’espulsione fa sorgere il dubbio se l’intenzione del
legislatore fosse solo quella di fornire un riferimento giuridico chiaro all’autorità
competente per l’espulsione o anche quella di mettere in guardia gli stranieri
intenzionati a rimanere (a lungo) in Svizzera.

Infine, va
ricordato che, per controllare meglio il soggiorno in Svizzera degli stranieri
e per far fronte alle diverse esigenze dell’economia, la legge prevedeva una
diversità di permessi, tre in particolare: quello stagionale di breve durata
(denominato Permesso A), quello di dimora (Permesso B) per un periodo
generalmente di pochi anni e quello di durata indeterminata (Permesso C o di
domicilio). Soprattutto il permesso stagionale permetteva di regolare il flusso
d’entrata in funzione del mercato del lavoro, che poteva subire forti variazioni
nel tempo e nello spazio. (Segue)