05 maggio 2021

Italia-Svizzera: 160 anni di relazioni diplomatiche (terza parte)

Benché le voci irredentiste continuassero a farsi sentire, anche da elementi di spicco del Parlamento italiano, per la Confederazione era di gran lunga più importante proseguire e possibilmente intensificare i buoni rapporti avviati col Regno di Sardegna soprattutto in alcuni campi: scambi commerciali, diritti dei cittadini di entrambi gli Stati nell’altro Stato ecc. Poiché in questi e in altri campi la collaborazione sembrava possibile e necessaria, dopo che la Gran Bretagna ebbe riconosciuto il nuovo Stato la Svizzera non esitò a riconoscerlo a sua volta, sia pure in forma velatamente condizionata. Di quali condizioni si trattava?

Garanzie e lealtà

Statua delle due sorelle Svizzera e Italia (di Margherita Osswald Toppi) nella
stazione di Chiasso a ricordo della prima grande impresa ferroviaria comune.
Certamente si trattava in primo luogo del riconoscimento da parte del Regno d’Italia della neutralità e integrità territoriale della Svizzera. Infatti, a differenza degli altri Stati europei l’allora Regno di Sardegna non aveva firmato nel 1815 l’atto finale del Congresso di Vienna con cui si garantiva «nell'interesse degli Stati europei» l’indipendenza e la neutralità perpetua della Confederazione Svizzera. Inoltre, le risposte del governo di Sua Maestà alle voci di annessione del Ticino, considerate per altro  «chimeriche» e prive di qualsiasi fondamento dallo stesso Cavour, non risultavano del tutto rassicuranti all’opinione pubblica svizzera e alle stesse autorità federali.

In realtà, anche il Consiglio federale tendeva a non drammatizzare quelle voci, ritenendo più importanti e sufficienti le parole e le intenzioni contenute nel messaggio del 23.03.1861 che il governo regio gli aveva inviato, tramite il suo rappresentante a Berna, A. Jocteau, per chiedere il riconoscimento svizzero del nuovo Stato. Infatti, il fatto stesso che il Regno d’Italia chiedesse una presa d’atto al governo di un Paese amico, con cui esistevano molteplici interessi comuni «che [legavano] i due Paesi l’uno all’altro nel presente e nel futuro» e i cui abitanti erano «così attaccati ai principi d’indipendenza», indicava un riconoscimento di fatto della sua indipendenza e neutralità.

Poiché, tuttavia, il Consiglio federale avrebbe certamente preferito un riconoscimento esplicito e una maggiore chiarezza d’intendimenti per il futuro, fa dire (2 aprile 1861) al suo incaricato d’affari a Torino, A. Tourte, di aver gradito molto i «sentimenti di amicizia» del governo di Sua Maestà verso la Svizzera e, per il futuro, di voler contribuire «lealmente, e per quanto in suo potere, a mantenere e a rinsaldare ancora con il nuovo Regno d’Italia le antiche relazioni di buona amicizia che sussistevano da così lungo tempo tra la Sardegna e la Confederazione».

Sulla base di queste garanzie e del principio di lealtà la collaborazione tra i due Stati poteva dunque partire su basi solide? Certamente sì, ma con qualche precauzione, soprattutto da parte svizzera, e molta buona volontà.

Urgenza della collaborazione

Per alcuni anni ancora, infatti, la Confederazione dovette tranquillizzare specialmente la Svizzera italiana che non ci sarebbe stata alcuna annessione da parte italiana perché ogni tentativo di aggressione sarebbe stato respinto. Consapevole, tuttavia, dei rischi dovuti alla sua fragilità non solo difensiva, ma anche costitutiva (molteplicità di lingue, culture, confessioni religiose, sensibilità, economie, ecc.), cominciò subito ad investire molto sia nelle opere di difesa confinaria e sia nello sforzo di consolidamento della coesione nazionale.

Un’eventuale aggressione sarebbe stata nefasta non solo perché avrebbe privato la Svizzera di una parte del suo territorio, ma anche perché avrebbe compromesso l’unità nazionale e quindi la possibilità di considerarsi ancora uno Stato libero e indipendente entro i confini riconosciuti dal Congresso di Vienna. Questa consapevolezza fa ben capire quanto la Svizzera tenesse al riconoscimento della sua neutralità e integrità nazionale anche da parte del Regno d’Italia e quanto fosse disposta a spendere per la sua «neutralità armata». Era una questione non solo d’indipendenza ma anche di sopravvivenza.

La Confederazione aveva tuttavia ben compreso da tempo che la maniera migliore per salvaguardare la propria neutralità e indipendenza era la collaborazione con tutti gli Stati vicini sulla base di accordi e trattati bilaterali e internazionali. Per questo si era dichiarata pronta e ben disposta a riconoscere il Regno d’Italia subito dopo una grande potenza. Di fatto, lo stesso giorno in cui la Gran Bretagna fece sapere di riconoscerlo, il Consiglio federale incaricò il suo rappresentante a Torino di fare altrettanto.

Era evidente che la Svizzera volesse proseguire e possibilmente intensificare i buoni rapporti avuti fino ad allora col Regno di Sardegna, anche perché da tempo erano in discussione alcuni grandi progetti riguardanti in particolare nuovi accordi commerciali, le vie di comunicazione transalpine, le condizioni di stabilimento dei cittadini svizzeri in Italia e dei cittadini italiani in Svizzera, l’estradizione dei delinquenti, la protezione della proprietà letteraria e artistica, ecc.

Non va nemmeno dimenticato che la Svizzera dipendeva dalla collaborazione con l’Italia per una parte consistente delle sue importazioni ed esportazioni da e verso i Paesi lontani. Il porto di Genova era ritenuto d’importanza vitale per l’approvvigionamento delle merci provenienti dall’estero. Di lì partiva anche la maggior parte degli svizzeri diretti a Napoli e in Sicilia e degli svizzeri emigranti verso i Paesi d’oltremare. Sull’importanza di Genova per la Svizzera basti ricordare che in questa città fu aperto già nel 1799 uno dei primi consolati svizzeri al mondo.

Oltre 400 accordi

Berna, Ambasciata d'Italia
Dopo aver risolto, senza difficoltà, alcune questioni riguardanti il traffico postale tra i due Paesi e

apportato alcune piccole rettifiche ai confini, si cominciò ad esaminare i grandi progetti riguardanti in particolare nuovi accordi commerciali, le vie di comunicazione transalpine, le condizioni di stabilimento dei cittadini svizzeri in Italia e dei cittadini italiani in Svizzera, l’estradizione dei delinquenti, la protezione della proprietà letteraria e artistica.

A parte gli scambi commerciali, che andavano solo intensificati, le altre materie erano nuove per cui richiesero anni di studio e di trattative, ma già nel 1868 si poterono concludere ben quattro accordi importanti. Uno di essi, ancora in vigore, riguardava le condizioni di stabilimento dei cittadini svizzeri in Italia e dei cittadini italiani in Svizzera e fu considerato a tutti gli effetti il primo importante strumento di regolazione delle migrazioni tra i due Stati.

Da allora, ad eccezione di pochissimi casi di gravi incomprensioni (all’origine di una breve rottura diplomatica e di alcuni avvicendamenti imprevisti di ambasciatori), le relazioni diplomatiche italo-svizzere sono state intense e proficue. Gli oltre 400 atti ufficiali tra accordi, trattati, convenzioni, protocolli e documenti simili, e i numerosi incontri ad alto livello tra i rappresentanti dei due Stati hanno portato enormi benefici alle popolazioni dei due Paesi.

Roma, Ambasciata svizzera

Non si può ignorare a questo punto che gli artefici principali degli atti formali e dei loro effetti positivi sono state le reti diplomatiche della Svizzera e dell’Italia, che hanno avuto specialmente agli inizi e in alcuni momenti critici ministri plenipotenziari e ambasciatori di prima grandezza. Ma non si può ignorare nemmeno che il successo di queste intense relazioni diplomatiche è dovuto in particolare a due parole chiave: rispetto (che include sempre la reciprocità) e collaborazione, spesso sintetizzate in un’unica parola: amicizia.

L’amicizia italo-svizzera

Quando nel 1861 la parola «amicizia» entrò a far parte del linguaggio diplomatico italo-svizzero non erano ben chiare la sua portata e soprattutto la sua credibilità. Solo col tempo e superando le difficoltà, spesso dovute a pregiudizi, incomprensioni o esternazioni incontrollate, ci si rese conto che quella parola conteneva una forza risolutiva straordinaria, perché basata sulla condivisione dei valori, sul rispetto dell’altro, sulla volontà comune di risolvere i problemi nell’interesse reciproco.

Osservando a volo d’uccello i 160 anni delle relazioni diplomatiche italo-svizzere, è facile costatare che i «sentimenti di amicizia» che facilitarono il riconoscimento svizzero del Regno d’Italia nel 1861 si sono col tempo consolidati da entrambe le parti, contribuendo alla formazione di basi giuridiche idonee alla convivenza tra italiani e svizzeri in questo Paese.

A beneficiare delle «amichevoli» relazioni italo-svizzere sono ancora oggi gli italiani residenti, ma non va dimenticato né minimizzato il contributo determinante da loro fornito al miglioramento generale dei rapporti bilaterali attraverso il lavoro, l’impegno, lo stile di vita e in generale la loro «italianità». (Fine)

Giovanni Longu
Berna 5.5.2021