Uno dei pregiudizi che dagli anni Settanta si cercò di
superare riguardava le abitudini alimentari. Molti svizzeri erano convinti che
gli immigrati italiani mangiassero male (come ai tempi delle prime costruzioni
ferroviarie) tanto da etichettarli, specialmente nella Svizzera tedesca, Maisfresser,
Spaghettifresser, Makkaroni-Esser, Salamitiger, ecc. con
una connotazione spregiativa e quasi animalesca (fressen si addice agli
animali, essen agli uomini). D’altra parte, molti italiani consideravano
quasi immangiabile quel che cucinavano gli svizzeri (poca carne, pochi
ortaggi, molte conserve e poco condimento) per cui anche nell’alimentazione le
distanze erano grandi.
L’invasione culinaria lenta, ma costante

Agli inizi del Novecento, nei cosiddetti «quartieri
italiani» erano già numerosi i ristoranti e i negozi che si approvvigionavano
direttamente dall’Italia. Fu tuttavia nei primi decenni del secondo dopoguerra
(1950-1970) che il consumo dei prodotti italiani invase per così dire la
Svizzera, soprattutto al seguito delle varie ondate di immigrati dapprima dal
nord e poi dal centro e dal sud. Dall’Italia giungevano ingenti quantità non
solo di farine di polenta e svariati tipi di pasta, ma anche formaggi a pasta
dura (ad esempio parmigiano) e gorgonzola, salami, mortadelle, prosciutti,
cotechini, tonno, merluzzo e sardine, fagioli, finocchi, melanzane, zucchini,
pomidori, pelati, peperoni, ecc. Il condimento principale era diventato l’olio
d’oliva e la bevanda preferita il vino.
Italianizzazione della cucina svizzera
La cucina italiana stava per diventare «popolare» e ciò
spiega perché negli anni Cinquanta e
Sessanta le derrate alimentari (specialmente frutta, ortaggi e vino)
rappresentavano rispettivamente il 30 e 20 per cento delle importazioni
svizzere dall’Italia. Da allora il livello di importazione si è sempre
mantenuto molto alto, sia pure in proporzione inferiore, segno che ormai i
prodotti della cucina italiana s’integravano bene con quelli della cucina
svizzera.
Il grande smercio, però, non avveniva più nei piccoli negozi
italiani, ma nei grandi magazzini a self service, specialmente Coop e
Migros, che contribuivano con la pubblicità nei loro giornali a diversificare e
«italianizzare» la cucina svizzera. Ciò nonostante, ancora durante la
propaganda xenofoba degli anni Settanta, molti svizzeri ritenevano che gli
italiani si nutrissero male per spendere poco e snobbavano la cucina italiana.
Per loro la conversione avverrà lentamente, negli anni Ottanta e Novanta.
Tuttavia, già negli anni Settanta i ristoranti italiani (quelli
vecchi e quelli nuovi, che sorgevano come funghi nell’ambito
dell’associazionismo regionale) cominciavano ad essere frequentati anche da
svizzeri. In molte famiglie svizzere si cucinavano (bene) gli spaghetti, il
risotto, il brasato, si preparava il pesto, il ragù alla bolognese, ecc.
Grandi consumatori di patate e di rösti, gli svizzeri
sono diventati così tra i più grandi consumatori di pasta italiana (e pizza) al
mondo. Mangiatori di bratwurst e saucissons, consumano
volentieri anche salsicce calabresi, salamelle, luganighe, prosciutti, mortadelle,
ecc. Benché produttori di una grande varietà di formaggi, mangiano volentieri
mozzarella, parmigiano, grana padano, gorgonzola, provolone, pecorino, ecc.Gli svizzeri, che fino agli anni Sessanta, coltivavano solo
poche varietà di ortaggi e di frutta, da decenni trovano ormai in abbondanza sui
banchi dei grandi distributori alimentari zucchine, pomodori, peperoni,
melanzane, finocchi, cavolfiori, carciofi, ecc. provenienti soprattutto dall’Italia.
E’ probabile che negli anni Settanta questa invasione, per
altro pacifica, degli immigrati italiani nelle abitudini alimentari degli
svizzeri abbia dato fastidio ai conservatori oltranzisti delle tradizioni
elvetiche nonché acerrimi nemici dell’inforestierimento, ma probabilmente al
successo della cucina mediterranea non c’era alternativa. Di fatto un grosso
pregiudizio stava scomparendo per sempre.
Giovanni Longu
Berna, 08.07.2020
Berna, 08.07.2020