La crisi economica degli anni 1974-76 si abbatté sulla
Svizzera tanto inaspettatamente, perché il boom economico sembrava
inarrestabile, quanto drammaticamente, perché moltissimi persero il lavoro
senza alcuna copertura assicurativa. Poiché tra costoro molti erano immigrati
(italiani), su di essi si scaricò una forte pressione per rientrare in patria. Le
istituzioni svizzere cercarono di salvare prioritariamente l’economia e il
mercato del lavoro interno, quelle italiane di facilitare il rientro ai connazionali
decisi a tornare e di tutelare al meglio coloro che avevano deciso di restare.
Le une e le altre affrontarono la crisi pensando soprattutto al dopo. In
effetti, le conseguenze della crisi incisero profondamente sul futuro della
collettività italiana immigrata ed è per questo che è utile rievocare quel
periodo così importante.
Domande inevitabili
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A causa della crisi molti immigrati tornarono al loro Paese. |
La crisi del 1974-76, seguita allo shock petrolifero del
1973, colpì la Svizzera come gli altri Stati industrializzati dell’occidente,
provocando chiusure di aziende, perdite di posti di lavoro, crollo della
produzione e del reddito, disoccupazione. Le conseguenze immediate, però, non
furono uguali per tutti i lavoratori. I più colpiti furono gli stranieri. Infatti,
non essendoci ancora l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione ed
essendo il lavoro la condizione essenziale per avere il permesso di soggiorno, per
molti disoccupati stranieri la via del ritorno al proprio Paese divenne
inevitabile.
Poiché su una questione così importante si è scritto e si
continua a scrivere in termini alquanto generici e confusi, è senz’altro utile una
maggiore chiarezza non solo sui numeri della crisi, ma anche sulle diverse categorie
di stranieri coinvolti, tanto quelli che decisero di rientrare quanto quelli
che restarono, e sulle conseguenze per gli uni e per gli altri. Le domande sono
dunque tante e non è sempre facile dare risposte esaustive perché molti dati sono
incompleti.
Per esempio, quando ci s’interroga sul numero degli stranieri
«costretti a rientrare» al proprio Paese, non si può rispondere con una cifra precisa
perché se furono tanti coloro che avendo perso il lavoro rischiavano di perdere
anche il permesso di soggiorno, molti avevano già deciso di rientrare in quel
periodo per altre ragioni. Non va inoltre dimenticato che furono coinvolte nel
rientro non solo persone «attive» (cioè occupate o disoccupate), ma anche quelle
«non attive» delle loro famiglie. E poi, in che senso si può parlare di
«costrizione»?
E’ facile comunque immaginare la drammaticità della
situazione sia per chi si apprestava a partire e sia per coloro che intendevano
restare. Non erano per nulla rassicuranti le notizie che circolavano sulla chiusura
di fabbriche, sui posti di lavoro persi, sulle continue partenze di
connazionali, sulle nuove condizioni di lavoro che si prospettavano non solo a
causa della recessione, ma anche a causa della razionalizzazione delle imprese
già in corso da qualche decennio, senza dimenticare che continuava a pesare
l’ostilità degli ambienti xenofobi e l’incertezza dell’avvenire. Alcune cifre
aiuteranno senz’altro a comprendere meglio la situazione.
I numeri della crisi
Per avere un quadro sufficientemente preciso e oggettivo
della crisi degli anni 1974-76 non si può fare a meno di cercare almeno di rispondere
a queste domande fondamentali: Quanti furono i posti di lavoro persi? Quanti lavoratori
rimasero disoccupati? Quanti stranieri dovettero rientrare perché senza lavoro
o per altri motivi? La Svizzera si è potuta salvare perché ha «esportato» la
disoccupazione? Poiché non sempre esistono dati precisi per ogni domanda, si
cercherà di seguito di indicare risposte almeno plausibili.
In mancanza di dati certi, le risposte alla prima domanda non
possono che essere considerate orientative. Fonti sindacali e giornalistiche, in
base soprattutto a calcoli sulle variazioni della popolazione attiva (compresi
stagionali e frontalieri) hanno stimato che tra il 1974 e il 1976 (il periodo
peggiore della crisi) siano stati persi in Svizzera circa 350.000 posti di
lavoro. Per l’Ufficio federale di statistica (UST), invece, la cifra si
aggirerebbe attorno a 300.000.
Andrebbe inoltre ricordato che alcuni posti «persi» in
realtà vennero ristrutturati e altri ne furono creati ex novo. Così si
spiega perché nelle statistiche dell’impiego dell’UST la differenza tra i posti
occupati all’inizio della crisi (1973) e quelli alla fine del periodo più acuto
(1976) è di appena 258.000 posti.
Se l’ordine di grandezza può essere situato ragionevolmente fra
questa cifra e 300.000, appare del tutto infondata l’affermazione secondo cui
la crisi avrebbe portato «al taglio di oltre 300.000 posti di lavoro tra gli
stranieri» (Toni Ricciardi). Tra i posti persi, infatti, una parte benché
minoritaria era occupata da svizzeri.
Resta tuttavia difficile fornire in questa sede cifre
precise sugli stranieri, perché occorrerebbero calcoli piuttosto complessi riguardanti
non solo il numero degli «attivi» durante la crisi, distinti secondo le singole
categorie di stranieri, ma anche le variazioni all’interno di ciascuna di esse (trasformazioni
dei permessi da stagionali ad annuali e da annuali a domiciliati, naturalizzazioni,
ecc.). Qui basta sapere che gli stranieri furono di gran lunga i più colpiti
dalla crisi.
Quanti stranieri furono «costretti» a rientrare?
Prima di rispondere a questa domanda va detto che il peso
maggiore della crisi, tra gli stranieri, fu scaricato sugli stagionali e sui
frontalieri, ossia le categorie che non potevano invocare alcun diritto al
rinnovo del contratto di lavoro e pertanto a rimanere in Svizzera. Tra l’agosto
1973 e l’agosto 1976 il numero degli stagionali diminuì di circa 134.000 unità
e quello dei frontalieri di 19.000 unità.
Escludendo queste due categorie di stranieri per le quali
sarebbe per lo meno improprio parlare di «rientro» non facendo parte della
popolazione «residente», potrebbe apparire facile rispondere alla domanda riguardante
il presunto forzato rientro delle altre due categorie di stranieri, i
domiciliati e gli annuali. Invece non è affatto facile.
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Gli stagionali
furono i più colpiti dalla crisi (Corriere della Sera del 16.12.1974) |
Per molti immigrati, infatti, sulla decisione di rientrare influirono
non solo la situazione occupazionale e l’incertezza del futuro, ma anche altre considerazioni
riguardanti, per esempio, la pressione psicologica esercitata su molti
stranieri dalla xenofobia ancora molto diffusa, la preoccupazione per la
scolarizzazione dei figli in età scolastica o prescolastica, una precedente
programmazione del rientro, ecc.
Per i «domiciliati», per esempio, non c’era alcun obbligo di
rientrare in patria anche se disoccupati, eppure oltre 100.000 (di cui oltre la
metà «attivi») vi rientrarono fra il 1974 e il 1976. Negli stessi anni fecero
ritorno al loro Paese anche più di 200.000 «annuali» (di cui oltre 117.000
«attivi»), ma anche per loro non si può dire che siano rientrati in seguito
alla perdita del posto di lavoro. Non si spiegherebbe infatti perché nello stesso
periodo siano potuti entrare in Svizzera ben 135.714 annuali e 16.381 domiciliati
fra cui complessivamente circa 65.000 «attivi», che evidentemente andarono ad
occupare posti liberi.
A questo punto è facile rispondere alla questione se coloro
che rientrarono al loro Paese vi furono «costretti» e se la Svizzera abbia
«esportato la disoccupazione», come asseriscono Toni Ricciardi e altri. Ebbene
la risposta non può che essere negativa, almeno nella forma che lasciano
intendere le espressioni citate. Non risulta infatti alcun caso di immigrato allontanato
o espulso dalle autorità svizzere perché aveva perso il lavoro. Ciò non
significa che la diminuzione degli stranieri non sia stata ben vista dal
governo federale che proprio prima dello scoppio della crisi si era proposto
non solo la stabilizzazione ma anche la riduzione della manodopera estera. Come
pure non significa affatto che numerose aziende abbiano approfittato della
crisi per introdurre misure di razionalizzazione e di riduzione del personale.
Purtroppo, come detto, la crisi ha messo in serie difficoltà
migliaia di immigrati, che non ebbero alternativa a dover rifare le valigie e
ritornarsene con la famiglia al loro Paese. Per molti di essi, il rientro era
già programmato; doverlo anticipare dev’essere stato un dramma perché non privo
di incognite. Non fu tuttavia una scelta facile neppure per chi decise di
restare, perché l’atmosfera era pesante e il futuro incerto.
Immigrati come «ammortizzatore congiunturale»
Per la Svizzera, come è stato riconosciuto anche dalla
Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri, gli immigrati «servivano»,
svolgevano in un certo senso una funzione di ammortizzatore congiunturale.
Questo gli immigrati, specialmente gli italiani, lo sapevano e non faceva che
aggiungere amarezza alla consapevolezza di non essere benaccetti in un Paese
che appariva ingrato e troppo duro nei loro confronti.
Superata la crisi, il panorama immigratorio, specialmente
per gli italiani, stava per cambiare radicalmente. La generazione dei primi
immigrati poté resistere ai cambiamenti incombenti solo per un grande senso di
responsabilità verso la seconda generazione che non doveva ricalcare i passi
della loro. Ci riusciranno in gran parte, come si vedrà, perché la strada da
percorrere anche per i giovani non era sgombra di ostacoli. (Segue)
Giovanni Longu