In Italia, la distanza tra Nord e Sud continuerà ad aumentare finché il ritmo di sviluppo economico, sociale e culturale delle Regioni meridionali non raggiungerà almeno la stessa velocità delle Regioni settentrionali. Purtroppo, mentre queste corrono sotto la spinta della ricerca e della competitività, quelle meridionali sembrano non avere stimoli per accelerare la crescita e si aggrappano disperatamente agli aiuti di Stato, al reddito di cittadinanza, a imprevedibili ondate turistiche, a una vaga speranza di ripresa. Lo Stato e alcune Regioni in particolare sembrano non avere interesse a un autentico rilancio del Sud. Eppure i soldi ci sarebbero (cfr. articolo precedente), qualche idea pure (per es. attivando i centri per l’impiego), manca probabilmente un serio piano di ripresa e resilienza per il Meridione.
Condizioni essenziali per lo sviluppo
economico
Per raggiungere buoni risultati (reddito disponibile comparabile tra tutti i cittadini, sviluppo sostenibile, sistema formativo serio e moderno, sistema produttivo di beni e servizi efficiente, ampia disponibilità di lavoro qualificato, ecc.) non esistono ricette facili, ma è incontestabile che in un Paese non ci può essere sviluppo economico, sociale e individuale sostenibile senza cospicui investimenti e senza una forte coscienza di sé, un livello elevato di formazione generale e professionale e uno spirito competitivo.
Non è qui possibile un’analisi approfondita
delle cause del ritardo del Mezzogiorno rispetto al Nord, anche perché sono
probabilmente molte, ma due mi sembrano particolarmente rilevanti: la scarsità
di investimenti ben orientati e controllati (anche a causa di deficienze
legislative e burocratiche) e la carenza di personale qualificato. Per
garantire uno sviluppo sostenibile occorrono sia investimenti adeguati e sia disponibilità
di forza lavoro qualificata.
Tuttavia, mentre in un Paese gli investimenti per
le attività produttive possono venire anche da fuori, non esiste un solo caso
in cui un popolo si sia evoluto senza aver investito allo stesso tempo somme
considerevoli anche nella formazione e nella ricerca. Si potrebbe menzionare al
riguardo il caso svizzero, ma sarebbe superfluo tanto è evidente la relazione
tra sviluppo economico e formazione generale e professionale.
Investimenti e formazione
Grazie al PNRR lo Stato e le Regioni italiane potrebbero
garantire investimenti consistenti per attività produttive importanti, ma non
sarebbero sostenibili se contemporaneamente non si affermasse soprattutto nel
Meridione un sistema di formazione generale e professionale conforme agli
standard internazionali e corrispondente alle esigenze dell’economia locale. E’
vero che anche nel Meridione ci sono già ora formazioni d’eccellenza, che
magari non trovano sul posto sbocchi professionali corrispondenti, ma mancano
in larga misura le formazioni intermedie con le competenze professionali
richieste dalle attività produttive locali già avviate o che potrebbero essere
avviate.
Il legame tra pratica e teoria dev'essere
garantito per evitare che una formazione troppo teorica non trovi sbocchi
professionali nel territorio (e magari favorisca l’emigrazione), ma soprattutto
per garantire che progetti cantierabili seri siano avviati con la
partecipazione delle risorse umane locali. Purtroppo dal Meridione si continua
ad emigrare e a mantenere alti i tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile),
di povertà e di deprivazione.
Questa situazione dovrebbe far riflettere, tanto più che al Sud persino i meglio formati cercano invano un lavoro adeguato (e non un lavoro qualunque) e si vedono talvolta costretti a partire perché molte offerte di lavoro (come parrucchieri, camerieri, raccoglitori di ortaggi, addetti alle pulizie…) non corrispondono alle competenze acquisite. A questo punto mi pare lecita la domanda: ma perché le oltre 12.000 società di formazione non sono in grado di immettere nel mercato del lavoro progettisti, meccanici, informatici, elettricisti, operatori sociosanitari, tecnici, operatori turistici, agrotecnici, che probabilmente troverebbero più facilmente un’occupazione coerente con la formazione acquisita e i desideri personali?
Non mi scandalizzo se vengono destinati 4,9
miliardi di euro ai corsi di formazione di breve durata per disoccupati, trovo
invece scandaloso che nel campo della formazione professionale di base
pluriennale e nella ricerca l’Italia investa troppo poco, soprattutto al Sud,
come se lo si volesse abbandonare al proprio destino. E’ questo che vuole la
classe politica?
Di fronte a queste realtà attestate da statistiche
e testimonianze, risulta difficile comprendere perché il PNRR non preveda, come
sembra, importanti investimenti nella ricerca e nella formazione professionale,
due fattori determinanti per lo sviluppo. Tra i grandi Paesi europei l’Italia
spende per la formazione appena il 4,3% del PIL (70,5 miliardi di euro), meno
della media europea (5%), della Germania (4,7%) e della Francia (5,5%), per non
parlare della piccola Svizzera che vi destina il 5,9% (quasi 50 miliardi di
franchi). (Fine)
Giovanni Longu
Berna 7.6.2023