07 giugno 2023

Deprivazione e formazione (quarta parte)

In Italia, la distanza tra Nord e Sud continuerà ad aumentare finché il ritmo di sviluppo economico, sociale e culturale delle Regioni meridionali non raggiungerà almeno la stessa velocità delle Regioni settentrionali. Purtroppo, mentre queste corrono sotto la spinta della ricerca e della competitività, quelle meridionali sembrano non avere stimoli per accelerare la crescita e si aggrappano disperatamente agli aiuti di Stato, al reddito di cittadinanza, a imprevedibili ondate turistiche, a una vaga speranza di ripresa. Lo Stato e alcune Regioni in particolare sembrano non avere interesse a un autentico rilancio del Sud. Eppure i soldi ci sarebbero (cfr. articolo precedente), qualche idea pure (per es. attivando i centri per l’impiego), manca probabilmente un serio piano di ripresa e resilienza per il Meridione.

Condizioni essenziali per lo sviluppo economico

Per raggiungere buoni risultati (reddito disponibile comparabile tra tutti i cittadini, sviluppo sostenibile, sistema formativo serio e moderno, sistema produttivo di beni e servizi efficiente, ampia disponibilità di lavoro qualificato, ecc.) non esistono ricette facili, ma è incontestabile che in un Paese non ci può essere sviluppo economico, sociale e individuale sostenibile senza cospicui investimenti e senza una forte coscienza di sé, un livello elevato di formazione generale e professionale e uno spirito competitivo.

Non è qui possibile un’analisi approfondita delle cause del ritardo del Mezzogiorno rispetto al Nord, anche perché sono probabilmente molte, ma due mi sembrano particolarmente rilevanti: la scarsità di investimenti ben orientati e controllati (anche a causa di deficienze legislative e burocratiche) e la carenza di personale qualificato. Per garantire uno sviluppo sostenibile occorrono sia investimenti adeguati e sia disponibilità di forza lavoro qualificata.

Tuttavia, mentre in un Paese gli investimenti per le attività produttive possono venire anche da fuori, non esiste un solo caso in cui un popolo si sia evoluto senza aver investito allo stesso tempo somme considerevoli anche nella formazione e nella ricerca. Si potrebbe menzionare al riguardo il caso svizzero, ma sarebbe superfluo tanto è evidente la relazione tra sviluppo economico e formazione generale e professionale.

Investimenti e formazione

Grazie al PNRR lo Stato e le Regioni italiane potrebbero garantire investimenti consistenti per attività produttive importanti, ma non sarebbero sostenibili se contemporaneamente non si affermasse soprattutto nel Meridione un sistema di formazione generale e professionale conforme agli standard internazionali e corrispondente alle esigenze dell’economia locale. E’ vero che anche nel Meridione ci sono già ora formazioni d’eccellenza, che magari non trovano sul posto sbocchi professionali corrispondenti, ma mancano in larga misura le formazioni intermedie con le competenze professionali richieste dalle attività produttive locali già avviate o che potrebbero essere avviate.

Il legame tra pratica e teoria dev'essere garantito per evitare che una formazione troppo teorica non trovi sbocchi professionali nel territorio (e magari favorisca l’emigrazione), ma soprattutto per garantire che progetti cantierabili seri siano avviati con la partecipazione delle risorse umane locali. Purtroppo dal Meridione si continua ad emigrare e a mantenere alti i tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile), di povertà e di deprivazione.

Questa situazione dovrebbe far riflettere, tanto più che al Sud persino i meglio formati cercano invano un lavoro adeguato (e non un lavoro qualunque) e si vedono talvolta costretti a partire perché molte offerte di lavoro (come parrucchieri, camerieri, raccoglitori di ortaggi, addetti alle pulizie…) non corrispondono alle competenze acquisite. A questo punto mi pare lecita la domanda: ma perché le oltre 12.000 società di formazione non sono in grado di immettere nel mercato del lavoro progettisti, meccanici, informatici, elettricisti, operatori sociosanitari, tecnici, operatori turistici, agrotecnici, che probabilmente troverebbero più facilmente un’occupazione coerente con la formazione acquisita e i desideri personali?

Non mi scandalizzo se vengono destinati 4,9 miliardi di euro ai corsi di formazione di breve durata per disoccupati, trovo invece scandaloso che nel campo della formazione professionale di base pluriennale e nella ricerca l’Italia investa troppo poco, soprattutto al Sud, come se lo si volesse abbandonare al proprio destino. E’ questo che vuole la classe politica?

Di fronte a queste realtà attestate da statistiche e testimonianze, risulta difficile comprendere perché il PNRR non preveda, come sembra, importanti investimenti nella ricerca e nella formazione professionale, due fattori determinanti per lo sviluppo. Tra i grandi Paesi europei l’Italia spende per la formazione appena il 4,3% del PIL (70,5 miliardi di euro), meno della media europea (5%), della Germania (4,7%) e della Francia (5,5%), per non parlare della piccola Svizzera che vi destina il 5,9% (quasi 50 miliardi di franchi). (Fine)

Giovanni Longu
Berna 7.6.2023