22 maggio 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 15. Chiaro messaggio ai comunisti italiani


Un problema non secondario dell’immigrazione italiana in Svizzera nel secondo dopoguerra fu costituito dalla presenza tra gli immigrati italiani di molti attivisti di sinistra e dalla intolleranza delle autorità svizzere verso ogni forma di propaganda comunista, considerata pericolosa per l’ordine pubblico, per le relazioni della Svizzera con gli altri Paesi e per la pace sociale e del lavoro. La forte contrapposizione, in Italia, tra democristiani e comunisti (estromessi dal governo nel 1947) e il suo riverbero sull’immigrazione italiana in Svizzera hanno rallentato verosimilmente i processi di appianamento delle difficoltà e d’integrazione, a danno soprattutto delle seconde generazioni. Cercare di capire anzitutto l’«anticomunismo» svizzero è dunque fondamentale per capire l’evoluzione della collettività italiana in Svizzera nei primi decenni del dopoguerra.

Anticomunismo sempre più deciso
In Svizzera i comunisti sono stati osservati speciali dal 1918
A cavallo tra Ottocento e Novecento, nonostante il
clima molto liberale che si respirava nella società e nelle istituzioni e l’accoglienza generosa che dimostrava verso perseguitati politici e fuorusciti, la Svizzera manifestava grande preoccupazione per la diffusione, ad opera soprattutto di attivisti stranieri, delle idee rivoluzionarie, anarchiche e comuniste, ritenute pericolose per l’ancora fragile unità nazionale, per l’economia e per la società.
Le autorità cominciarono a guardare con sospetto gli stranieri «rossi» soprattutto dopo la presa del potere in Russia dei comunisti nel 1917 e, in Svizzera, dopo lo sciopero nazionale del 1918, istigato, come si disse, da agenti bolscevichi. Nel 1920 i Nel 1920 il Consiglio federale affermava che la Confederazione ha non solo in diritto, ma anche il dovere  di espellere «quegli stranieri che mettono a pericolo la sicurezza interna od esterna della Confederazione o il benessere del popolo svizzero».
Da allora, la Confederazione ha sempre considerato dannosa la propaganda dell’(estrema) destra come dell’(estrema) sinistra, specialmente di quella comunista. Nel 1932, una manifestazione di antifascisti a Ginevra, indetta per contrastarne un’altra di fascisti, fu repressa dalla polizia e dall’esercito uccidendo 13 persone e ferendone altre 65. Il processo che ne seguì condannò sette manifestanti socialisti e nessun militare. Un ultimo tentativo di riabilitare i sette condannati, visto che la manifestazione non aveva alcun carattere rivoluzionario, è stato respinto recentemente sia dal Consiglio degli Stati (14.06.2018) che dal Consiglio nazionale (09.05.2019) in nome del principio della separazione dei poteri.
Da allora le misure anticomuniste adottate dal Consiglio federale divennero sempre più chiare e incisive. Per esempio, un decreto federale del 2 dicembre 1932 escludeva i comunisti dai servizi della Confederazione e vietava al personale federale di appartenere o di partecipare «a un’organizzazione comunista». Il Consiglio federale non nascondeva il suo anticomunismo nemmeno in politica estera. Nel 1934, per esempio, si oppose all’ingresso dell'Unione Sovietica nella Società delle Nazioni.

Pericolo rosso e pace sociale
Il Consiglio federale seguiva attentamente soprattutto la situazione interna perché nell’opinione pubblica e specialmente nei partiti borghesi c’era molta preoccupazione, ritenendo il comunismo incompatibile con i valori della democrazia, della religione, della famiglia, della proprietà privata, ecc. Da più parti si chiedeva il divieto del Partito comunista svizzero (fondato nel 1920), ma il governo per il momento preferì intervenire solo con direttive, che prevedevano anche sanzioni gravi come la detenzione e l’espulsione.
Durante le turbolenze della prima metà del Novecento,
la Svizzera voleva tutelarsi come un'«isola di pace».
Le prime direttive (Richtlinien) furono approvate dal Consiglio federale nel 1935 per evitare che la Svizzera diventasse terreno di scontro politico per conto di potenze straniere e per impedire che le ideologie fascista e nazista si diffondessero tra la popolazione svizzera. Prevedevano soprattutto restrizioni all’attività di organizzazioni politiche straniere e, in particolare, il divieto d’immischiarsi nelle questioni interne della Svizzera, di fare propaganda politica, di organizzare cortei e assemblee pubbliche, d’invitare a parlare oratori stranieri, anche in assemblee chiuse, senza un previo permesso delle autorità cantonali, ecc.
Nel 1936, quando anche l’Unione sindacale svizzera aveva preso nettamente posizione contro il comunismo, il Consiglio federale approvò un decreto federale (3 novembre 1936) contenente provvedimenti «contro le mene comuniste» in Svizzera e limitazioni alla partecipazione di oratori stranieri ad assemblee politiche.
Nel 1937, per evitare che le ideologie fasciste e naziste che si stavano diffondendo in Svizzera degenerassero in scontri di piazza tra estremisti di destra ed estremisti di sinistra e inquinassero i rapporti aziendali, sindacati e padronato conclusero un accordo fondato sul principio della buona fede e sulla rinuncia agli strumenti tradizionali della lotta di classe per ricorrere in loro vece alla conciliazione e all’arbitrato. Con tale accordo, denominato «Pace del lavoro», si volevano evitare anche possibili interferenze esterne dell’Italia fascista e della Germania nazista, mettendo in pericolo non solo la pace sociale, ma anche la libertà e la democrazia svizzera

Restrizioni all’attività politica degli stranieri
Dal 1945, una volta abrogate le disposizioni della legislazione straordinaria del tempo di guerra, si volle dare una soluzione più chiara e «ordinaria» alla questione comunista, dapprima ancora con «direttive» e poi con un «decreto del Consiglio federale». Entrambi i documenti sono fondamentali per capire l’«anticomunismo» delle autorità svizzere.
Con le «Direttive del Dipartimento federale di giustizia e polizia concernenti l’attività di associazioni politiche di stranieri in Svizzera» del 7 agosto 1945, in sostanza venivano riprese e precisate le direttive già emanate in precedenza. Alcune di esse erano particolarmente eloquenti, anche se, è giusto precisarlo, non si riferivano unicamente alle «mene comuniste», ma anche alle «mene fasciste» e in genere ai totalitarismi. Per esempio:
«1. Le associazioni politiche di stranieri sono tenute a notificare la loro esistenza alle autorità cantonali competenti, a sottoporre ad esse i loro statuti, nonché ad indicare ad esse i nomi dei membri del comitato, […]hanno l'obbligo di fornire qualsiasi informazione richiesta al detto Dipartimento e alle autorità cantonali competenti. Le associazioni politiche di stranieri che hanno carattere esclusivo di partito sono vietate».
«3. Le associazioni politiche di stranieri e i loro membri devono astenersi da qualsiasi intromissione in questioni che riguardano la Svizzera. Ad essi è vietato di esercitare qualsiasi pressione su terzi».
«4. Agli stranieri è vietato di fare cortei e di tenere riunioni pubbliche, che abbiano carattere politico. Il Dipartimento federale di giustizia e polizia può tuttavia, sulla proposta dell'autorità cantonale, in casi eccezionali, accordare dei permessi».
«5. I Cantoni hanno il diritto di sottoporre a un'autorizzazione e di sorvegliare le riunioni di associazioni politiche di stranieri in locali chiusi. […]. L'autorizzazione deve essere rifiutata allorché si dovesse ritenere che la manifestazione potrebbe pregiudicare o esporre a pericolo la sicurezza interna o esterna oppure la neutralità».

Ulteriori restrizioni dal 1948
Il secondo documento fondamentale per capire l’anticomunismo svizzero e le ripercussioni nei confronti di attivisti italiani è il «Decreto del Consiglio federale concernente i discorsi politici di stranieri» del 24 febbraio 1948. Esso abrogava il decreto del 1936, ma ne manteneva la sostanza e riteneva ancora applicabili le Direttive del 1945. All’articolo 2 veniva precisato: «Gli stranieri che non sono in possesso di un permesso di domicilio possono prendere la parola su argomenti politici nelle assemblee pubbliche o private solamente se hanno ottenuto un’autorizzazione speciale. Sono riservate le direttive del Dipartimento federale di giustizia e polizia del 7 agosto 1945 concernenti l’attività di associazioni politiche di stranieri in Svizzera». Non deve sfuggire che questa disposizione concerneva anche le «assemblee private».
L’articolo 3 precisava inoltre che «l'autorizzazione sarà negata se vi sia da temere che venga posta in pericolo la sicurezza interna o esterna del paese o che sia turbato l'ordine pubblico. Gli oratori stranieri devono astenersi da qualsiasi intromissione in questioni che riguardano la politica interna della Svizzera».
Per non lasciare dubbi sulla serietà delle disposizioni, l’articolo 5 indicava le possibili sanzioni: «La polizia degli stranieri può allontanare dalla Svizzera gli stranieri che contravvengono al presente decreto […]. In caso d'infrazioni gravi o ripetute, può essere pronunciata la espulsione in forza dell'articolo 70 della Costituzione federale, o dell'articolo 10, primo capoverso, lettera a, della legge del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri […]».
A questo punto ci si può chiedere perché il Consiglio federale intervenne con un decreto «sui discorsi politici di stranieri» proprio agli inizi del 1948, quando ormai in Svizzera, dopo l’epurazione dei fascisti, la situazione era abbastanza tranquilla. E’ forse impossibile dare una risposta precisa, ma è fortemente probabile che il Consiglio federale, a pochi mesi dalla firma dell’accordo con l’Italia sull’immigrazione (22.06.1948), volesse far sapere chiaramente agli emigranti italiani che la durissima contrapposizione ideologica tra comunisti e democristiani, alimentata dalla vicinanza delle elezioni politiche italiane del 18-19 aprile1948, in Svizzera non sarebbe stata tollerata. Anzi, non sarebbe stata tollerata alcuna propaganda politica ritenuta pericolosa.
Il messaggio riuscì a passare? Come hanno reagito dopo il 1948 gli immigrati italiani e le autorità federali? (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 22.05.2019