Nelle narrazioni dell’immigrazione italiana in Svizzera si privilegiano solitamente i fatti, le persone, le condizioni di vita, le ideologie che spesso le determinano, e si trascurano sovente i numeri. Eppure, già gli antichi sapevano che Mundum numeri regunt (i numeri governano il mondo). La politica nei confronti dei lavoratori immigrati in Svizzera, soprattutto dal dopoguerra fino agli accordi bilaterali con l’Unione europea è stata fortemente condizionata dai numeri (quelli dell’economia, quelli assoluti e relativi degli stranieri, i numeri dei favorevoli e dei contrari alle iniziative xenofobe degli anni Settanta e Ottanta) e dalle loro interpretazioni. Vale dunque la pena ricordarne alcuni per il periodo in esame (1970-1990) in riferimento soprattutto agli italiani.
I numeri sono importanti
ubblico e di sicurezza nazionale. Si reggeva inoltre su accordi internazionali miranti a facilitare gli scambi e a consentire lo stabilimento degli immigrati nel Paese d’immigrazione, senza alcuna limitazione ed esercitarvi l'attività lucrativa di loro scelta.
Terminata la seconda guerra mondiale, le
esigenze dell’economia svizzera in rapida espansione hanno favorito inizialmente
l’immigrazione in massa di lavoratori stranieri per sopperire alla penuria di manodopera
svizzera. Negli anni Sessanta, però, il loro afflusso era diventato quasi
ingestibile, tanto da provocare una svolta nella politica immigratoria,
diventando sempre più restrittiva, fino a postulare misure di riduzione e di
stabilizzazione. In questa direzione spingevano vasti settori della società
civile e alcuni ambienti politici e sindacali. Da allora i numeri sono
diventati determinanti per ogni scelta politica in questo campo.
I numeri sono divenuti indispensabili anche
per capire l’evoluzione della popolazione straniera, che diveniva sempre più
complessa, non solo per le note suddivisioni in diverse categorie a seconda del
permesso di soggiorno (domiciliati, annuali, stagionali e frontalieri), ma
anche perché una delle sue componenti, la seconda generazione, presentava
problematiche nuove. Qualsiasi narrazione seria dell’immigrazione italiana in
Svizzera dovrebbe tener presente non solo queste differenze, ma anche il
diverso peso numerico delle varie categorie. Eppure la confusione è ancora
molto diffusa, quando, per esempio, non si distinguono e quantificano le
generazioni, gli immigrati venuti dall’Italia e gli italiani figli di immigrati
nati in Svizzera o i domiciliati dagli annuali e dagli stagionali.
Gli stranieri
nel 1970
Per il periodo in esame
(1970-1990) certi numeri sono fondamentali per capire alcuni eventi che l’hanno
caratterizzato (per esempio le iniziative xenofobe) e soprattutto la svolta che
ha trasformato la popolazione straniera nel suo complesso e nelle sue
componenti. Senza numeri, per esempio, è difficile rendersi conto della
situazione iniziale nel 1970.
Al 31 dicembre 1970 gli stranieri residenti stabilmente in Svizzera (con permesso annuale o di domicilio) avevano da poco superato il milione (1.080.076 ). In un decennio erano aumentati di ben 495.337 unità. Gli italiani erano 583.850 (nel 1960 erano 346.223) e costituivano oltre la metà della popolazione straniera. Tenendo conto che gli stranieri rappresentavano il 17,4 per cento dell’intera popolazione residente (nel 1950 appena il 6,1%), è comprensibile che molti svizzeri cominciassero a preoccuparsi.
E’ invece meno
comprensibile che troppi svizzeri si dimenticassero che quegli stranieri,
soprattutto italiani ma anche spagnoli e di altre nazionalità, erano venuti qui per lavorare, chiamati dalle imprese
svizzere, non certo per portare via il lavoro agli svizzeri. Del resto, dalla
fine degli anni Sessanta molti di essi spontaneamente «emigravano» dal settore
secondario verso attività del terziario ritenute più redditizie e gratificanti. Gli stranieri, semmai, occupavano ciò che gli
svizzeri lasciavano libero.
Ciò nonostante, a
molti svizzeri sembrava dispiacere che molti di quegli stranieri
s’installassero in Svizzera, occupassero posti di lavoro, case, scuole,
ospedali «svizzeri», senza mai chiedersi chi aveva
costruito gran parte di tutti quei manufatti, anche se per il loro lavoro
questi stranieri erano stati pagati. E poi, erano davvero troppi? (Segue)
Giovanni Longu
Berna 4 settembre 2021