L’articolo precedente metteva in evidenza alcune ragioni dello svantaggio iniziale dei giovani italiani nella scelta professionale, sottolineando in particolare l’incertezza sul loro futuro (in Svizzera o in Italia?), il modesto livello delle prestazioni scolastiche, la mancanza di alternative, l’esiguo sostegno del servizio di orientamento professionale e della famiglia. Questi aspetti hanno influito sicuramente sul destino professionale di molti giovani italiani, che non hanno potuto scegliere la professione desiderata. Solo col tempo, altri giovani sono riusciti a ridurre e talvolta a eliminare lo svantaggio iniziale degli anni Settanta, alcuni anche grazie ad alternative offerte da istituzioni come il CISAP (di cui si tratterà ancora nei prossimi articoli).
Osservazioni generali
Due illustri figli di immigrati italiani, S. Ermotti e I. Cassis |
Purtroppo questo percorso è stato lungo e molto accidentato,
ma anche soltanto nel periodo in esame (1970-1990) ha prodotto risultati
apprezzabili, nella filiera della formazione professionale più che in quella
della formazione generale classica (maturità liceale), come dimostrano alcuni
dati dei censimenti federali della popolazione degli anni 1970, 1980, 1990.
L’analisi dei dati, semplificata qui per esigenze di spazio,
prende in considerazione solo i giovani dai 20 ai 24 anni, ossia la fascia
d’età in cui solitamente si acquisisce una formazione post-obbligatoria di
secondo grado (maturità liceale o qualifica professionale), tenendo presente
che si trattava di persone nate 20-24 anni prima, ossia a partire dagli ultimi
anni ‘50.
Va anche osservato che non tutti i giovani considerati
appartenevano alla seconda generazione, perché alcuni, soprattutto tra quelli
censiti nel 1970 e 1980, erano dei veri e propri immigrati, che avevano
ultimato la loro scolarità in Italia (generalmente ad un livello superiore a
quello dei loro genitori) e in seguito erano emigrati in Svizzera.
I dati dei censimenti
Poiché lo scopo di questo articolo è quello di attestare
il lento ma sicuro avanzamento dei giovani italiani verso la normalità
professionale rappresentata dai coetanei svizzeri, entrambi i gruppi sono stati
considerati pari a 100 alla data dei censimenti. Le risposte alla domanda contenuta
regolarmente nel questionario del censimento circa la formazione massima
raggiunta da ognuno danno un quadro sufficientemente affidabile della
situazione.
Risulta, per esempio, che nel 1970 si era fermato
alla scuola obbligatoria il 27,4% degli svizzeri, ma quasi il 70% degli
italiani. Aveva concluso con successo una formazione professionale circa il 35%
degli svizzeri , ma solo il 12,5% degli italiani. Inoltre avevano un diploma di
maturità l’8,2% degli svizzeri e il 3% degli italiani.
Nel 1980 la situazione era abbastanza simile a
quella di dieci anni prima, ma la quota di italiani fermi alla scuola
dell’obbligo era scesa sotto il 50% e quella di coloro che avevano acquisito
una formazione professionale completa era salita al 32,4% (svizzeri: 53%).
Nel 1990 la distanza tra svizzeri e italiani si
era ulteriormente ridotta. Al livello della scuola obbligatoria si era fermato l’8,2%
dei primi e il 25,9% dei secondi. L’avvicinamento era invece particolarmente
vistoso riguardo alla formazione professionale: svizzeri 61%, italiani 54,1%.
Da un’analisi più attenta dei dati risulta anche che
il miglioramento tra gli italiani avveniva man mano che aumentava la quota dei
nati in Svizzera, passata dal 5,6% del 1970 al 77% del 1990. Inoltre, fin dagli
anni Settanta, tutte le differenze tendevano a scomparire nel gruppo dei naturalizzati
di origine italiana, tra cui si faranno strada anche future personalità di
rilievo nel mondo economico, culturale, scientifico, universitario, giornalistico,
politico… come Sergio Ermotti, Ignazio Cassis (v. foto) e altri.
Infine, non si può dimenticare il contributo dato
alla formazione professionale degli italiani da alcune istituzioni private, di
cui si tratterà specificamente in altri articoli (Segue).
Giovanni Longu
Berna 5.1.2022