Chi ha conosciuto da vicino il CISAP nel periodo 1970-1990, ne ha avvertito sicuramente l'efficienza e la modernità, ma difficilmente ne ha potuto comprendere fino in fondo l’essenza, perché questa non è mai stata immediatamente definibile, statica, così da poter essere colta in ogni momento. Era talmente dinamica, caratterizzata da un continuo sforzo di modernità e di attualità, da renderla sempre diversa nelle sue manifestazioni.
Identità e dinamismo
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Sede centrale del CISAP a Berna dal 1969. |
Ora che il CISAP ha concluso definitivamente le sue attività (anche se alcune sono state riprese e reinterpretate dalla Fondazione ECAP) ed è finita come istituzione, è più facile coglierne i principi guida e il dinamismo che hanno caratterizzato i suoi 35 anni di vita.
In una serie di riflessioni basate su dati, documenti, esperienze e testimonianze, cercherò di mettere in luce ciò che il CISAP è stato e ha rappresentato per migliaia di stranieri della prima e seconda generazione nel periodo 1970-1990, quello in cui il CISAP ha scritto alcune delle pagine più belle e significative della sua storia e della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera.
Inquadramento sociale, economico e politico
Per capire l’essenza e la modernità del CISAP è utile ricordare anzitutto ch’esso è stato costituito ufficialmente a Berna agli inizi del 1966, sotto forma di «associazione senza alcun scopo di lucro». Era il periodo di maggiore afflusso di immigrati dall’Italia (1960: 128.257 arrivi, 1961: 142.114, 1962: 143.054, 1963: 122.018, 1964: 111.863) e di una costante crescita della collettività italiana. Erano anche gli anni in cui si diffondevano specialmente nella Svizzera tedesca i primi movimenti xenofobi che chiedevano il freno all’immigrazione e la riduzione del numero di stranieri in Svizzera!
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Nel decennio 1961-1970 emigrarono in Svizzera 1.021.033 italiani. |
Intanto nel decennio 1960-1970 dall’Italia si continuava a emigrare: 2.646.990 espatri, di cui 1.021.033 in Svizzera, allora in pieno boom economico. Tra il 1961 e il 1962 gli immigrati italiani costituivano oltre il 70% della popolazione straniera. Per una loro maggiore tutela, fu negoziato un Accordo fra la Svizzera e l’Italia relativo all’emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera, giudicato molto favorevolmente dal governo di centro-sinistra italiano (2° Governo Moro), che lo usò, fra l’altro, come «arma politica nei confronti dell’opposizione comunista, che denunciava la situazione degli emigranti all’estero».
L’entrata in vigore (1965) dell’Accordo confermava in Svizzera la tendenza all’aumento della collettività italiana perché conteneva effettivamente alcuni aspetti positivi e soprattutto facilitazioni per i ricongiungimenti familiari, ma non lasciava intravvedere un attenuamento delle tensioni tra svizzeri e stranieri e un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli italiani.
Solidarietà tra immigrati
Va anche ricordato che a differenza dei primi immigrati, venuti in gran parte dal Nord Italia e dotati in generale di capacità lavorative notevoli perché molti di essi avevano lavorato nell’industria, i nuovi immigrati provenienti soprattutto dal Mezzogiorno non avevano «imparato» in maniera strutturata nessuno dei mestieri regolamentati e praticati in Svizzera e quindi non avrebbero potuto svolgere lavori qualificati.
Questa situazione sollevava non pochi problemi umani, sociali, professionali e anche politici, perché la manodopera italiana, occupata prevalentemente in due rami economici, costruzioni (edilizia e genio civile) e industria metalmeccanica, era coinvolta in un ampio processo di sostituzione dei lavoratori svizzeri passati ad altre attività specialmente nel terziario. Soprattutto nell’industria, in piena trasformazione e razionalizzazione, sarebbe stato grave e pericoloso se gli immigrati italiani avessero occupato solo i posti lasciati liberi ai livelli più bassi delle scale di qualifica e salariali. Ma c’erano possibilità per i nuovi arrivati di raggiungere gradi di competenza professionale più elevati? Chi e con quali strumenti si potevano aiutare per non lasciarli in balia della precarietà e dei rischi di disoccupazione?
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Allievi CISAP dei primi corsi (1966). |
Tra le autorità italiane e svizzere, in alcuni ambienti
sindacali, nella collettività italiana e nei media si cominciò a percepire quanto
originale, intelligente, lungimirante, coraggiosa ed efficace fosse questa nuova
organizzazione, non solo per gli effetti diretti che producevano i corsi sui
partecipanti, ma anche per l’effetto stimolante che esercitavano nella collettività
italiana immigrata nella regione di Berna. (Segue)
(gl 18.12.2020).