16 dicembre 2025

La xenofobia ai tempi di Schwarzenbach ebbe una grande diffusione perché la Svizzera nel secondo dopoguerra era ridiventata come all'epoca dei grandi lavori ferroviari un polo fortissimo di attrazione soprattutto per i lavoratori italiani e la massa degli immigrati in continua crescita sembrava minacciare la tranquillità di molti svizzeri. A differenza del passato, infatti, i lavoratori non vivevano più isolati in enormi baraccopoli generalmente autogestite, ma erano inseriti nel contesto sociale dei grandi agglomerati urbani e creavano non pochi problemi alle istituzioni pubbliche (scuole, asili, chiese, ospedali, centri di assistenza, ecc.) e alla società civile, soprattutto a causa della profonda incomunicabilità tra le due realtà. Sembravano dividerli barriere invalicabili dovute non solo alle carenze linguistiche degli immigrati, ma anche alle notevoli diversità di cultura, di abitudini, di interessi, di formazione scolastica e professionale, ecc. Provenienti per lo più da un mondo contadino povero, gli immigrati avevano grandi difficoltà ad inserirsi in una società capitalistica evoluta, in crescita e in continua trasformazione. La reazione di molti svizzeri fu la paura di essere sopraffatti, la diffidenza, il disprezzo, la marginalizzazione e talvolta l’odio verso gli stranieri (allora soprattutto italiani). Schwarzenbach ne ha abilmente approfittato.

Respinta la ricetta Schwarzenbach

Per superare questa profonda dicotomia Schwarzenbach deve aver pensato che bastasse ridurre il numero complessivo degli stranieri residenti, trattenendone una parte, al massimo il 10 per cento (preferibilmente quelli provenienti dal nord, ben formati e più facilmente assimilabili) e rinviando al Paese d’origine la parte eccedentaria. Tanto più che buona parte dell’opinione pubblica, come già ricordato nell'articolo precedente, non aveva fiducia nella politica del Consiglio federale che dal 1963 cercava invano di ridurre la manodopera estera. Sperando in una sorta di mobilitazione generale, provocò la votazione del 1970, ma, com'è noto, la maggioranza sia pure risicata dei votanti rigettò quella ricetta, ritenuta troppo pericolosa.

Era infatti notorio che agli inizi degli anni Settanta i lavoratori stranieri erano una componente determinante praticamente in tutti i rami della produzione, a cominciare dall'edilizia (oltre il 60%; 61% dei muratori, il 73% dei manovali), e persino in alcuni rami dei servizi, ad esempio nella ristorazione (75% dei camerieri) e negli alberghi (75% delle cameriere). Nell'industria tessile la percentuale degli stranieri era poco al di sotto del 50% (48,7%, ma in certune fabbriche superava l’80%). Nell'industria meccanica la media era del 32,7%, ma nella regione di Baden superava il 50%. Inoltre in alcuni rami la percentuale era ancora maggiore: gli stranieri costituivano il 70% dei saldatori e sfioravano il 100% gli addetti alle fonderie. Se fosse venuta meno la parte di stranieri che Schwarzenbach riteneva eccessiva, molto probabilmente l’economia ne avrebbe risentito e la disoccupazione avrebbe colpito inesorabilmente anche molti svizzeri. La maggioranza dei votanti preferì non rischiare e ridare fiducia al Consiglio federale che prometteva la riduzione dei nuovi permessi d’entrata e la stabilizzazione degli stranieri residenti. Osservando retrospettivamente i risultati anche solo della componente italiana degli stranieri immigrati in Svizzera, quella fiducia fu ben riposta perché il Consiglio federale impostò effettivamente una nuova politica immigratoria e d’integrazione, tanto da poter considerare a giusta ragione il 1970 come l’anno della svolta.

1970: l’anno della svolta

James Schwarzenbach, il perdente (1911-1994)

Purtroppo, alcuni osservatori miopi e prevenuti della sinistra italiana continuano a considerare il 1970 come l’anno della mancata vittoria di Schwarzenbach e non l’anno della sua sconfitta, della vittoria della democrazia sul populismo, della nuova politica immigratoria del Consiglio federale, del nuovo atteggiamento dei sindacati svizzeri verso gli stranieri, del popolo svizzero che cominciò a cambiare atteggiamento nei confronti degli immigrati e soprattutto degli italiani (che proprio quell'anno raggiunsero una notevole forza di aggregazione fino ad allora sconosciuta). Fu infatti l’inizio della nuova politica d’integrazione che condurrà a piccoli passi, con alti e bassi, all'abolizione della statuto dello stagionale, alla piena parità di trattamento dei lavoratori stranieri con quelli nazionali, alla libera circolazione delle persone, alla diffusione in tutta la Svizzera dell’italianità, al progressivo avvicinamento della Svizzera all'Unione Europea, ecc.

Tuttavia è giusto ricordare che a rendere feconde le iniziative del Consiglio federale non furono solo le buone intenzioni della politica svizzera, dei sindacati (che ritenevano l'iniziativa disumana e antieconomica), delle Chiese e di una parte considerevole dell’opinione pubblica, ma anche la crisi economica degli anni Settanta che ha costretto migliaia di stranieri, soprattutto italiani, a lasciare la Svizzera (offrendo indirettamente a Schwarzenbach il risultato sperato e negatogli nell'urna).

Chi ha contribuito maggiormente a rendere efficaci nel tempo le iniziative delle competenti autorità federali, cantonali e comunali sono stati però gli stranieri stessi, che hanno favorito l’integrazione scolastica, professionale e sociale delle seconde generazioni e in parte anche delle prime, avviando di fatto un percorso virtuoso che non si è mai interrotto. Tanto è vero che italiani di seconda e terza generazione, molti dei quali ormai con la doppia cittadinanza, sono oggi presenti in tutti i campi e a tutti i livelli della vita professionale, sociale, culturale e politica della Svizzera.

Giovanni Longu
Berna 16.12.2025