La xenofobia ai tempi di Schwarzenbach ebbe una grande diffusione perché la Svizzera nel secondo dopoguerra era ridiventata come all'epoca dei grandi lavori ferroviari un polo fortissimo di attrazione soprattutto per i lavoratori italiani e la massa degli immigrati in continua crescita sembrava minacciare la tranquillità di molti svizzeri. A differenza del passato, infatti, i lavoratori non vivevano più isolati in enormi baraccopoli generalmente autogestite, ma erano inseriti nel contesto sociale dei grandi agglomerati urbani e creavano non pochi problemi alle istituzioni pubbliche (scuole, asili, chiese, ospedali, centri di assistenza, ecc.) e alla società civile, soprattutto a causa della profonda incomunicabilità tra le due realtà. Sembravano dividerli barriere invalicabili dovute non solo alle carenze linguistiche degli immigrati, ma anche alle notevoli diversità di cultura, di abitudini, di interessi, di formazione scolastica e professionale, ecc. Provenienti per lo più da un mondo contadino povero, gli immigrati avevano grandi difficoltà ad inserirsi in una società capitalistica evoluta, in crescita e in continua trasformazione. La reazione di molti svizzeri fu la paura di essere sopraffatti, la diffidenza, il disprezzo, la marginalizzazione e talvolta l’odio verso gli stranieri (allora soprattutto italiani). Schwarzenbach ne ha abilmente approfittato.
Per superare questa profonda dicotomia Schwarzenbach deve
aver pensato che bastasse ridurre il numero complessivo degli stranieri residenti,
trattenendone una parte, al massimo il 10 per cento (preferibilmente quelli
provenienti dal nord, ben formati e più facilmente assimilabili) e rinviando al
Paese d’origine la parte eccedentaria. Tanto più che buona parte dell’opinione
pubblica, come già ricordato nell'articolo precedente, non aveva fiducia nella
politica del Consiglio federale che dal 1963 cercava invano di ridurre la
manodopera estera. Sperando in una sorta di mobilitazione generale, provocò la
votazione del 1970, ma, com'è noto, la maggioranza sia pure risicata dei
votanti rigettò quella ricetta, ritenuta troppo pericolosa.
1970: l’anno della svolta
| James Schwarzenbach, il perdente (1911-1994) |
Purtroppo, alcuni osservatori miopi e prevenuti della sinistra italiana continuano a
considerare il 1970 come l’anno della mancata vittoria di Schwarzenbach e non
l’anno della sua sconfitta, della vittoria della democrazia sul populismo,
della nuova politica immigratoria del Consiglio federale, del nuovo
atteggiamento dei sindacati svizzeri verso gli stranieri, del popolo svizzero che
cominciò a cambiare atteggiamento nei confronti degli immigrati e soprattutto
degli italiani (che proprio quell'anno raggiunsero una notevole forza di
aggregazione fino ad allora sconosciuta). Fu infatti l’inizio della nuova
politica d’integrazione che condurrà a piccoli passi, con alti e bassi,
all'abolizione della statuto dello stagionale, alla piena parità di trattamento
dei lavoratori stranieri con quelli nazionali, alla libera circolazione delle
persone, alla diffusione in tutta la Svizzera dell’italianità, al progressivo
avvicinamento della Svizzera all'Unione Europea, ecc.
Chi ha contribuito maggiormente a rendere efficaci nel tempo
le iniziative delle competenti autorità federali, cantonali e comunali sono
stati però gli stranieri stessi, che hanno favorito l’integrazione scolastica,
professionale e sociale delle seconde generazioni e in parte anche delle prime,
avviando di fatto un percorso virtuoso che non si è mai interrotto. Tanto è
vero che italiani di seconda e terza generazione, molti dei quali ormai con la
doppia cittadinanza, sono oggi presenti in tutti i campi e a tutti i livelli
della vita professionale, sociale, culturale e politica della Svizzera.
Giovanni Longu
Berna 16.12.2025