12 marzo 2024

Papa Francesco per un negoziato contro la guerra in Ucraina

Qualche giorno fa, papa Francesco non ha parlato ex cathedra del conflitto russo-ucraino, ma da osservatore attento a cui non può sfuggire il dramma della popolazione civile, sia ucraina che russa, a causa di questa guerra. Invitando i belligeranti al cessate il fuoco e ad avviare trattative di pace non ha pronunciato un dogma che impegni la fede dei cristiani, ma un discorso chiaro fondato sul rispetto che i responsabili delle nazioni dovrebbero avere verso le popolazioni che rappresentano. Che molti di questi «responsabili», a cominciare dal presidente ucraino, abbiano criticato l’intervento del papa non può sorprendere perché hanno capito benissimo che quell'invito era rivolto a loro e che se lo rifiutano potranno essere considerati anche dalle loro opinioni pubbliche «irresponsabili».

Non credo che le parole del papa abbiano bisogno dell’interpretazione autentica per essere capite, perché è chiaro ch'egli sollecitava la responsabilità dei governanti, non solo dei belligeranti ma anche dei loro sostenitori, a salvare vite umane, non a continuare a uccidere. Non era un invito ad «arrendersi» rivolto ad una parte, ma un invito accorato rivolto a entrambe le parti a far cessare l’uso delle armi e a cominciare a «dialogare», partendo dal presupposto che la convivenza pacifica tra Stati e tra etnie diverse è possibile, anzi doverosa.

Dalle parole del Papa non si può quindi dedurre, come hanno fatto alcuni, che questo conflitto può concludersi solo con lo smembramento dell’Ucraina, in quanto potrebbe concludersi anche diversamente, per esempio, secondo me, con un riconoscimento formale dei diritti di tutte le parti interessate, anche di quelle popolazioni che nel 2014 avevano proclamato la proprio indipendenza da Kiev, garantendo loro, in base al diritto internazionale (Statuto ONU, artt. 1, 55 e altri), il rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi, «senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione». Trovare un punto di equilibrio non sarà facile, ma nelle parole del Papa si può notare anche un certo ottimismo al riguardo.

Si può inoltre osservare che papa Francesco non è l’unico a sostenere la preminenza degli interessi delle popolazioni sugli interessi degli Stati. La sua azione rientra infatti in una tradizione, che non subordina gli interessi vitali delle persone alla «sovranità dello Stato» e all'«integrità territoriale» e non prevede tra i diritti dello Stato quello incondizionato di mandare al massacro decine di migliaia di cittadini per «difendere la patria», soprattutto se questa può essere difesa «pacificamente», e meno che mai il diritto di Stati non belligeranti a far combattere e morire in loro vece altre popolazioni in terre lontane dai propri confini.

Del resto, basterebbe chiedere ai combattenti in prima linea e alle loro famiglie cosa pensano della guerra per sentirsi rispondere che a loro interessa soprattutto vivere in pace. Quanto ai belligeranti e ai loro sostenitori, che spesso invocano il «diritto internazionale», andrebbe spiegato che per quanto imperfetta la Carta delle Nazioni Unite prevede all'articolo 1, paragrafo 2, la possibilità e il dovere di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli».

A questo punto ci si può chiedere se non sia da incoscienti e irresponsabili pensare di raggiungere gli stessi obiettivi attraverso la guerra, senza rendersi conto dei danni diretti e indiretti enormi ch'essa provoca. Non ha dunque ragione il Papa quando supplica di porre fine al massacro della «martoriata Ucraina»? E non sarebbe saggio per i cittadini italiani manifestare il dissenso verso i sostenitori della guerra  in nome della Costituzione che all'articolo 11 recita che «l'Italia ripudia la guerra» non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»? 

Giovanni Longu
Berna 12.03.2024

 

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