Qualche giorno fa, papa Francesco non ha parlato ex cathedra del conflitto russo-ucraino, ma da osservatore attento a cui non può sfuggire il dramma della popolazione civile, sia ucraina che russa, a causa di questa guerra. Invitando i belligeranti al cessate il fuoco e ad avviare trattative di pace non ha pronunciato un dogma che impegni la fede dei cristiani, ma un discorso chiaro fondato sul rispetto che i responsabili delle nazioni dovrebbero avere verso le popolazioni che rappresentano. Che molti di questi «responsabili», a cominciare dal presidente ucraino, abbiano criticato l’intervento del papa non può sorprendere perché hanno capito benissimo che quell'invito era rivolto a loro e che se lo rifiutano potranno essere considerati anche dalle loro opinioni pubbliche «irresponsabili».
Dalle parole del Papa non si può quindi dedurre, come hanno
fatto alcuni, che questo conflitto può concludersi solo con lo smembramento
dell’Ucraina, in quanto potrebbe concludersi anche diversamente, per esempio,
secondo me, con un riconoscimento formale dei diritti di tutte le parti
interessate, anche di quelle popolazioni che nel 2014 avevano proclamato la
proprio indipendenza da Kiev, garantendo loro, in base al diritto
internazionale (Statuto ONU, artt. 1, 55 e altri), il rispetto dei diritti
fondamentali individuali e collettivi, «senza distinzioni di razza, di sesso,
di lingua o di religione». Trovare un punto di equilibrio non sarà facile, ma
nelle parole del Papa si può notare anche un certo ottimismo al riguardo.
Si può inoltre osservare che papa Francesco non è l’unico a
sostenere la preminenza degli interessi delle popolazioni sugli interessi degli
Stati. La sua azione rientra infatti in una tradizione, che non subordina gli
interessi vitali delle persone alla «sovranità dello Stato» e all'«integrità
territoriale» e non prevede tra i diritti dello Stato quello incondizionato di mandare
al massacro decine di migliaia di cittadini per «difendere la patria», soprattutto
se questa può essere difesa «pacificamente», e meno che mai il diritto di Stati
non belligeranti a far combattere e morire in loro vece altre popolazioni in
terre lontane dai propri confini.
A questo punto ci si può chiedere se non sia da incoscienti e irresponsabili pensare di raggiungere gli stessi obiettivi attraverso la guerra, senza rendersi conto dei danni diretti e indiretti enormi ch'essa provoca. Non ha dunque ragione il Papa quando supplica di porre fine al massacro della «martoriata Ucraina»? E non sarebbe saggio per i cittadini italiani manifestare il dissenso verso i sostenitori della guerra in nome della Costituzione che all'articolo 11 recita che «l'Italia ripudia la guerra» non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»?
Giovanni Longu
Berna 12.03.2024
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