01 maggio 2024

15. L’Europa d’inizio Novecento e Benedetto XV

 A cavallo tra Ottocento e Novecento, ultimati i processi di unificazione dell’Italia e della Germania (Prussia), terminata la guerra franco-prussiana con l’annessione dell’Alsazia e della Lorena alla Germania e superata la grande depressione degli anni 1873-1896, si respirava in Europa aria di grande ottimismo, tanto da chiamare quegli anni fino allo scoppio della prima guerra mondiale Belle Époque. Una caratteristica comune di quell'epoca fu, oltre al dinamismo economico e al miglioramento del tenore di vita delle popolazioni, lo sviluppo dei nazionalismi per ragioni interne (coesione e identità nazionale) e internazionali (competitività e supremazia). E la Chiesa? Non stava a guardare!

Paradigma svizzero

L'Europa della Belle Epoque prima della prima guerra mondiale
La Svizzera fu uno dei Paesi che visse in pieno la Belle Époque e la sua fine improvvisa. Per far conoscere ai propri cittadini e al mondo i suoi successi nell'economia, nei trasporti, nella ricerca scientifica, nel turismo (di città e di montagna) e persino nell'aviazione (ancora in formazione), nel 1914 fu organizzata a Berna un’Esposizione nazionale a cui parteciparono circa 8000 espositori. La riuscita dell’esposizione era data per scontata. Dal 15 giugno, giorno dell’inaugurazione, al 15 ottobre, data di chiusura, si attendevano milioni di visitatori anche dall'estero per ammirare i segni del progresso e del benessere svizzero.

L’esposizione restò aperta fino alla fine, ma il clima quasi euforico iniziale durò solo poco più di un mese. A luglio, infatti, quando scoppiò la prima guerra mondiale, anche la Svizzera procedette alla mobilitazione generale di 220.000 uomini e l’ottimismo lasciò il posto alla paura, anche se nessuno poteva ancora presagire i danni materiali e immateriali della guerra.

Quel che successe in Svizzera fu registrato a più forte intensità in tutti gli Stati europei, i quali si erano forse illusi che il periodo di pace sarebbe durato più a lungo, che il benessere raggiunto dalle popolazioni fosse acquisito per sempre e che il progresso non si sarebbe più fermato. Nessuno aveva nutrito seri dubbi, perché i popoli europei erano quasi tutti «ubriachi di patriottismo e di nazionalismo». L’ottimismo della Belle Epoque era stato travolgente.

Nazionalismi corrosivi come tarli

Da tempo, ormai, ogni Stato pensava a sé, al proprio «spazio vitale», alla propria forza (non solo economica ma anche militare), al proprio sviluppo e alla propria grandezza. Nei vertici degli Stati multietnici, nessuno probabilmente si rendeva conto che i nazionalismi erano come tarli insaziabili. Eppure alcuni segnali erano stati piuttosto chiari: la guerra di Crimea (1853-56) provocata dalle ambizioni espansionistiche della Russia, le annessioni prussiane del 1866 (Baviera, Danimarca, ecc.), la guerra franco-prussiana (1870-71) per l’annessione dell’Alsazia e della Lorena alla Germania, il disagio e il nazionalismo delle popolazioni slave del vasto Impero austro-ungarico alla ricerca della propria indipendenza, il riarmo di alcuni Stati, ecc.

Probabilmente nemmeno l’eccidio di Sarajevo (28 giugno 1914), in cui trovarono la morte l'arciduca ereditario d'Austria Francesco Ferdinando e la moglie, fece capire subito la pericolosità dei nazionalismi e solo la successiva dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia fece aprire gli occhi ai popoli europei, alcuni dei quali (per esempio l’Italia) del tutto impreparati all’imminente sciagura.

Benedetto XV: la guerra è un'«inutile» strage

Le Grandi Potenze, invece, avevano approfittato della Belle Époque per riarmarsi nella eventualità di uno scontro, ma sottovalutandone i rischi: gli inglesi avevano messo in mare una flotta potente, i francesi avevano rafforzato l’esercito, i tedeschi si erano preparati a un probabile tentativo di rivincita francese per riavere l’Alsazia e la Lorena, investendo somme ingenti in nuovi armamenti, mezzi corazzati, sottomarini, aerei. L’Impero austro-ungarico sapeva di poter contare sull'alleanza con la Germania, mentre i russi contavano sul proprio esercito permanente di un milione e mezzo di uomini e sulla protezione di Dio, ritenendosi ancora detentori della vera fede ed eredi di Costantinopoli con Mosca «Terza Roma»).

E la Chiesa di Roma?

L’andamento e le conseguenze della guerra si considerano qui noti e nemmeno da riassumere. Merita invece sottolineare che, a fronte di milioni di morti e immani distruzioni, a trionfare furono i nazionalismi, a perderci fu l’Europa, che ne uscì ancor più divisa e indebolita. In quest’ottica, forse, non meriterebbero qualche riflessione in più i nuovi nazionalismi e questo precipitarsi pericolosamente verso un altro riarmo insensato?

E la Chiesa, la religione, il Papa? Purtroppo non furono determinanti né prima né durante la prima guerra mondiale, perché molti cristiani, in Europa, erano stati contagiati dai nazionalismi. L’unica voce potente che si levò per far finire l’«inutile strage» fu quella del papa Benedetto XV (1854-1922), ma non fu ascoltata. Cercò comunque di dare un segnale forte della presenza della Chiesa in Europa e della necessità di una pace giusta che tenesse conto delle «aspirazioni dei popoli». Da allora i Papi sono più attenti, ma purtroppo ancora inascoltati!

Giovanni Longu
Berna 1.5.2024

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