La seconda domenica di maggio è tradizionalmente dedicata alla Festa della mamma. Ben venga almeno una volta l’anno l’occasione di omaggiare non solo le nostre mamme, ma «la mamma» e più in generale «la donna», che da che mondo è mondo incarna l’idea stessa di maternità. Purtroppo anche questa ricorrenza, come quella del 1° maggio dedicata al lavoro, più che un evento da festeggiare dovrebbe essere stimolo alla riflessione sul disagio sociale e sulla crisi delle famiglie.
Mi riferisco specialmente alla situazione italiana, dove le
mamme sono le più colpite. Sono le prime ad essere licenziate, le prime a far
fronte a una eventuale riduzione del bilancio familiare, le prime a fare
rinunce. Spesso, purtroppo, sono anche le prime a rinunciare a ulteriori
maternità perché i figli costano troppo!
Mancanza di una vera politica familiare
Anche in Svizzera, dove la situazione è comunque molto
migliore di quella italiana, secondo una recente statistica, in una coppia con
uno o più figli sotto i 25 anni, l’88% dei padri svolge un’attività
professionale a tempo pieno, ma solo il 17% delle madri. Il 61% delle madri
svolge un’attività professionale a tempo parziale, mentre la percentuale dei
padri si ferma al 7,8%. E’ ancora molto diffusa l’opinione che il lavoro fuori
casa delle madri sia solo accessorio e complementare a quello degli uomini e
non un diritto.
In questi ultimi anni, i media italiani, troppo attratti dai
giochi spesso indecorosi della politica, hanno sottovalutato e trascurato
(salvo sbattere in prima pagina casi di femminicidio e infanticidio) il
crescente disagio delle famiglie, la piaga della disoccupazione giovanile, i
tanti giovani adulti costretti a stare in casa perché senza lavoro, la carenza di
adeguate strutture di assistenza e di sostegno (consultori, asili nido,
doposcuola, ecc.). La politica familiare sta accumulando gravi ritardi, fatta
eccezione per le detrazioni fiscali per i figli a carico.
La famiglia dovrebbe tornare al centro dell’attenzione e
dell’azione politica, come in diversi articoli prevede la Costituzione
italiana. Ne cito uno per tutti (art. 31): «La Repubblica agevola con misure
economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei
compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la
maternità e l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale
scopo». C’è ancora molto da fare.
La mamma è come un albero grande
Diceva una vecchia poesia (di Francesco Pastonchi) che mia
mamma mi recitava quand’ero bambino: «Una mamma è come un albero grande /
che tutti i suoi frutti dà: / per quanti gliene domandi / sempre uno ne
troverà. / Ti dà il frutto, il fiore e la foglia, / per te di tutto si spoglia,
/ anche i rami si toglierà…». Per questo, credo, nessun figlio dovrebbe mai
sottrarsi al dovere della riconoscenza, ma nemmeno la società. Mettere al mondo
dei figli, accudirli, educarli e farli crescere, è una funzione altamente
sociale e una responsabilità enorme, che comporta soprattutto nelle mamme
grandi sacrifici e rinunce. Per questo esse meritano anche la solidarietà
e la riconoscenza sociale.
Una forma moderna di solidarietà dovrebbe consistere
anzitutto in un ripensamento profondo dell’attuale distribuzione del lavoro
nella società e nell’ambito familiare, cominciando dalla stessa nozione
di «lavoro», riservata abitualmente all’attività professionale fuori casa. Ancora
oggi si esita a considerare «lavoro» l’attività che svolgono in casa le mamme. Persino
il noto giornalista ticinese di origine italiana Michele Fazioli, in un bel
pezzo sul Corriere del Ticino («Piccolo elogio della madre casalinga»), tentenna
tra «madre casalinga» e «madre lavoratrice» e scrive: «la
madre che non lavora, diciamo la casalinga (…) dovrebbe essere valorizzata,
dovrebbe essere riconosciuta come forza produttiva in senso morale ed economico…».
A mio parere, bisognerebbe dire senza esitazione alcuna che anche l’attività
domestica compiuta prevalentemente dalle donne è «lavoro», sebbene non retribuito.
Del resto è quel che fa già da diversi anni l’Ufficio federale di statistica (UST)
quando calcola il valore monetario del lavoro casalingo non remunerato, mettendolo
in relazione con il valore aggiunto lordo totale della Svizzera.
I «lavori domestici»
Ritengo un errore e un difetto che nell'opinione pubblica non
si sia ancora riusciti a rivalutare adeguatamente anche sotto l’aspetto
reddituale l’educazione dei figli, l’assistenza ai membri bisognosi di una
famiglia, le attività per mandare avanti una casa e una famiglia. Eppure basterebbe
pensare al costo di un’attività di assistenza ad un familiare bisognoso,
qualora, invece di essere svolta da una persona di famiglia, generalmente una
donna, venisse affidata a un o una badante. Lo stesso esempio si potrebbe applicare
per analogia a quasi tutte le altre attività svolte dalle donne nell'ambito
familiare (pulizie di casa, cura dei bambini, ecc.).
Un altro aspetto concreto della solidarietà, soprattutto tra
le coppie, sarebbe una nuova e più equa ripartizione dei lavori domestici. Da
una recente statistica risulta che in Svizzera, dove la situazione è per
diversi aspetti migliore di quella italiana, ben tre quarti delle donne viventi
in famiglie composte da coppie con figli di età inferiore a 15 anni assumono da
sole la responsabilità principale per i lavori domestici. E’ vero che oggi si
registra un numero crescente di coppie (soprattutto tra i giovani) che
assicurano la gestione congiunta della casa, ma quando si raggiungerà un giusto
equilibrio?
Ci vorrà sicuramente del tempo perché comporta un
cambiamento di mentalità, ma occorre cominciare subito. Altrimenti ad ogni «festa
della mamma» ci si ritroverà con gli stessi problemi.
Giovanni Longu
Berna, 11 maggio 2013
Berna, 11 maggio 2013
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