Per l’Italia il «modello Rubik» sembra davvero un rompicapo… e rischia di provocare danni irreversibili. Il governo Letta è ancora fermo ai blocchi di partenza. Eppure i «Saggi» di Napolitano lo hanno detto molto chiaramente: «Si propone al Governo di valutare l'opportunità di riprendere i negoziati bilaterali con la Svizzera per un accordo di trasparenza ai fini della tassazione dei redditi transfrontalieri di natura finanziaria, alla luce dei recenti sviluppi sul fronte della fiscalità internazionale (in particolare, degli accordi conclusi dagli Stati Uniti con vari paesi europei) sullo scambio di informazioni, nonché delle raccomandazioni del G8 e del G20 su questa materia; in parallelo, il Governo può attivarsi in sede UE affinché l’Unione stessa negozi un tale accordo, in nome di tutti gli Stati membri».
La proposta dei Saggi
La proposta dei «Saggi» mi pare legittima e utile e viene da
chiedersi perché Roma ancora tentenna. Forse
per paura che dietro una «sanatoria» si nasconda un vero e proprio «condono
tombale» nei confronti degli evasori fiscali che negli scorsi decenni hanno
preferito depositare i loro capitali in Svizzera, evadendo il fisco italiano? Oppure
perché si aspetta che sia l’Unione Europea a risolvere la vertenza non solo per
l’Italia, ma anche per altri Paesi europei che hanno con la Svizzera un
problema analogo? E’ probabile che a entrambe le domande si debba rispondere
sì, ma è certo che quanto più tempo passa tanto più modesto sarà il risultato
in termini monetari per l’Italia.
Semplificando la problematica, si tratta di ridefinire con
l’Italia un accordo complessivo in materia fiscale che ha due risvolti: uno
riguarda il passato e l’altro riguarda il futuro. Mentre per il futuro è
sicuramente corretto che sia l’Unione Europea ad occuparsene per tutti i membri
dell’UE, per quanto riguarda il passato mi sembra difficile che l’UE possa
entrare nei dettagli di ciascun Paese.
Per il futuro si tratta essenzialmente di concordare a
livello europeo uno scambio automatico dei dati fiscali e non sembrano più
sussistere grandi opposizioni nemmeno da parte svizzera. Se infatti fino a
pochi mesi fa il «segreto bancario» svizzero sembrava non negoziabile, ora la
Svizzera non vi si oppone più a patto che la trasparenza riguardi tutti i Paese
europei, compresi Austria e Lussemburgo, dove vige ancora una sorta di segreto
bancario analogo a quello svizzero.
Rubik riguarda il passato
Per quanto riguarda il passato è evidente che ciascun Paese
ha una sua propria vertenza, che andrebbe regolata bilateralmente. Per questo
finora hanno regolato il passato Londra e Vienna, mentre Berlino ha tentato di
regolarlo a livello governativo giungendo persino a un accordo, poi naufragato
a livello parlamentare per l’opposizione dei socialdemocratici (non si sa bene
se perché a loro sembrava indecente o semplicemente per far dispetto alla
Merkel che ha molte probabilità di essere rieletta alle prossime elezioni
tedesche d’autunno. Quanto agli altri due accordi va detto per inciso che
Londra e Vienna già incassano fior di milioni dalla Svizzera.
Pur non essendo uno strenuo difensore del modello Rubik,
credo che il tergiversare di Roma non giovi all’Italia. Del resto, anche la
Germania, che ha meno urgenze di cassa dell’Italia, ha lasciato intendere
tramite il suo ministro degli esteri, che con Berna «resta aperta la via di un’intesa
fiscale» anche se «in questo momento non è possibile dire se verrà ripreso il
piano svizzero Rubik oppure no (…)». Evidentemente il «no» lascia intendere che
anche Berlino aspetta di vedere quali saranno gli sviluppi sul fronte
dell’Unione europea, che è sicuramente interessata a nuovi accordi fiscali con
la Svizzera».
Dal punto di vista svizzero, le idee sembrano chiare e in
questi primi mesi dell’anno eminenti personalità, a cominciare dallo stesso
Presidente della Confederazione, hanno affermato che la Svizzera non accetterà
alcun diktat e tantomeno di «denunciare» persone che, pur avendo esportando
capitali non dichiarati al loro Paese, non hanno violato alcuna legge svizzera.
Berna disponibile al negoziato
Riguardo al modello Rubik, ambienti politici e finanziari sembrano
disponibili a discuterlo e adattarlo alle situazioni specifiche, non a stravolgerlo
o abbandonarlo. Il 25 aprile scorso, in un’intervista al quotidiano svizzero
«Le Temps», il presidente dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) si è
detto convinto che lo scambio automatico di informazioni è meno efficace
dell’imposta liberatoria alla fonte, ossia il modello Rubik. Ciò che molti non
hanno capito è che esso mira a regolarizzare i fondi depositati in passato
nelle banche svizzere, non i depositi futuri. Per il futuro la Svizzera è
infatti sempre più disponibile a uno scambio automatico di informazioni.
Osservando la lentezza della reazione italiana, francamente
non si capisce perché non siano ancora ripresi i negoziati con la Svizzera.
Eppure è evidente che man mano che passa il tempo c’è il rischio che dei
capitali esportati illecitamente ne restino sempre meno nelle casseforti
svizzere e pertanto che sia anche sempre minore il tesoretto che la Svizzera è
disposta a restituire agli Stati interessati, tra cui l’Italia.
E’ pertanto auspicabile che i negoziati riprendano quanto
prima, anche perché i tempi sembrano favorevoli.
Giovanni Longu
Berna, 15.05.2013
Berna, 15.05.2013
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