05 febbraio 2025

1945, 27 gennaio: il giorno della memoria …da attualizzare!

Il 27 gennaio 1945, il campo di sterminio di Auschwitz (Polonia) veniva liberato dall’Armata Rossa, rendendo pubblico lo sterminio di milioni di ebrei europei perpetrato dai nazisti (non solo ad Auschwitz) e diffondendo nel mondo libero l’orrore per quanto accaduto. Dal 2005, per decisione delle Nazioni Unite, il 27 gennaio è dedicato alla memoria delle vittime della Shoah o Olocausto e impegna tutti gli Stati membri dell’ONU a «inculcare nelle generazioni future le lezioni dell’Olocausto». Da allora «il giorno della memoria» si celebra regolarmente, ma credo che gli Stati non svolgano ancora a sufficienza il loro compito soprattutto nei confronti dei giovani. Di fronte a troppe persone che non sanno nulla o troppo poco dei «campi di sterminio», mi sono chiesto se ciò dipenda solo da una difficoltà oggettiva di comunicare oppure anche da un’insufficiente conoscenza storica dei fatti, da una sottovalutazione delle cause e persino da atteggiamenti di capi di Stato e di Governo che non aiutano a superare radicalmente quelle cause.

Crimini inenarrabili

Auschwitz non era un campo di lavoro, ma di sterminio. Pochissimi, 
tra quelli che varcarono quella famigerata porta, uscirono vivi nel 1945.
Che ad Auschwitz, ma anche in altri campi di sterminio, si siano compiuti crimini inenarrabili è ormai noto a tutti, anche senza visitare i luoghi, che comunque non riuscirebbero a evidenziare la condizione subita da milioni di persone negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Eppure, secondo molti sondaggi, la disinformazione sull'Olocausto è in aumento e merita pertanto qualche riflessione, anche se le vere cause restano oscure.

Certamente non aiutano la corretta percezione di quanto avvenuto nei campi di sterminio la distanza temporale di oltre ottant'anni dai fatti accertati, la distruzione e successiva «bonifica» di gran parte della «scena dei crimini», la progressiva sparizione dei testimoni, la complessità del tema. A tutto ciò va aggiunta sicuramente la difficoltà del linguaggio mediatico, preciso a livello specialistico, meno comprensibile a livello comune. Non credo che aiutino la comprensione termini come Shoah o Olocausto (all'origine di dispute accese anche di recente), l’uso indifferenziato del termine Lager (tradotto generalmente «campo di concentramento», non sapendo che i tedeschi oltre ai campi di concentramento, di internamento, di smistamento, di lavoro, crearono anche appositi campi di sterminio), la preferenza (spesso esclusiva) di evidenziare i fatti senza nemmeno accennare alle cause, alle responsabilità diffuse, ecc.

Indubbiamente resta difficile e forse impossibile per chiunque spiegare o anche solo cercare di far comprendere la violenza, la crudeltà, l’oltraggio all'umanità subiti da milioni di persone, non solo ebrei, in quei campi, ma forse proprio per questo è necessario che la memoria di quei fatti resti viva. Per dare seguito alla volontà dell’Assemblea delle Nazioni Unite è tuttavia imprescindibile che «le lezioni dell’Olocausto» vadano approfondite e attualizzate di continuo.

Oltre l’olocausto degli ebrei

Sarebbe un paradosso continuare (fino a quando?) a commemorare le vittime di Auschwitz senza rendersi conto che l’origine di quello sterminio ha avuto una gestione lenta (perché popoli, governi e la stessa Chiesa hanno considerato spesso la «diversità» come un problema esistenziale) e non si può escludere ch'esso possa ripetersi, magari in altre forme meno radicali. Del resto molti segnali non sono affatto tranquillizzanti, a cominciare dalla memoria e da alcuni comportamenti «ufficiali».

Che la memoria col passare del tempo possa indebolirsi è normale, ma non si può ritenere «normale» che mentre si ricorda la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa si dimentichi completamente l’eccidio di centinaia di migliaia di persone, soprattutto fra le comunità tedesche dell’Europa orientale, perpetrato dagli stessi soldati e la sistematica «pulizia etnica» a cui furono sottoposte dal regime sovietico le popolazioni di Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Ucraina e Germania orientale fino al 1950.

Naturalmente, proprio nel giorno della memoria, non si dovrebbero dimenticare con scuse varie nemmeno altri eccidi della seconda guerra mondiale come il violento bombardamento di Dresda (13.2.1945) con 135.000 morti e le distruzioni di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945) con oltre 210.000 morti e 150.000 feriti. E speriamo che l’umanità non abbia mai più a rivivere eventi del genere, anche se, purtroppo, molte guerre sanguinose continuano.

Senza cadere in facili moralismi, certi mali vanno tuttavia estirpati alla radice, altrimenti continuano ad agire sotto traccia. A mio parere, per esempio, meriterebbero una condanna senza esitazione e senza sconti quegli atteggiamenti (ideologici) che considerano i profughi nemici reali o potenziali da respingere (magari incatenati!), i nativi da difendere e privilegiare («prima i nostri»!), un dovere patriottico la difesa dei confini (anche trattenendo a lungo su un barcone in condizioni precarie decine di richiedenti l’asilo), «ragion di Stato» sottrarre un delinquente alla cattura o fare «cose sporchissime, anche trattando con i torturatori per la [presunta] sicurezza nazionale» (Bruno Vespa) e quell'insistenza trita sulla «nazione», ignorando i più grandi massacri del secolo scorso provocati dal nazionalismo e i rischi degli «Stati-nazione» a scapito, in Europa, di un processo integrativo che i padri fondatori avevano auspicato nel dopoguerra, ecc.

Ciò che è da evitare è chiaro, più importante, però, è agire per la pace, la solidarietà umana, la concordia, il rispetto della vita e della dignità di ogni persona.

Giovanni Longu
Berna, 27.01.2025, pubblicato su L'ECO il 5.2.2025.

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