Nella notte tra l’8 e il 9 gennaio 2025 è deceduto in un ospedale di Genova per arresto cardiaco Giorgio Cenni, figura storica dell’immigrazione italiana in Svizzera. Da diversi anni risiedeva a Genova, ma gran parte della vita attiva l’aveva trascorsa a Berna. E’ stato ispiratore, anima e direttore geniale del CISAP (Centro italo-svizzero di formazione professionale) per quasi trent’anni e molti ex insegnanti ed ex allievi lo ricordano per le idee innovative, la forza d’animo con cui cercava di realizzarle e per i valori che riusciva a trasmettere. Fu un grande sostenitore della formazione professionale e del diritto degli immigrati alla cultura come fondamento della loro dignità, della loro integrazione sociale, del loro successo professionale.
Nel dare la triste notizia della scomparsa di Giorgio
Cenni (1927-2025), mi ripromettevo di fornire di lui un ampio ritratto in
un successivo intervento, nella convinzione che il personaggio lo meriti,
essendo stato un autentico protagonista della storia dell’immigrazione italiana
in Svizzera, avendo contribuito ad accentuare la dinamica del cambiamento
radicale avviato negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Lo faccio
volentieri non solo per la grande conoscenza che ho di lui in virtù della lunga
frequentazione privata (famigliare) e professionale (quasi ventennale, al
CISAP), ma anche per aver contribuito all’elaborazione di quella «filosofia»
che ha orientato sempre le sue azioni, le modalità di approccio alle complesse
realtà svizzere e italiane, la sua inesauribile progettualità, i tentativi di
raggiungere i risultati sperati, le sue manifeste o velate ambizioni e
frustrazioni.
Ovviamente i limiti di questo ritratto sono quelli
dell’ambito professionale, anche perché è sotto questo aspetto che Giorgio
Cenni è conosciuto e merita di essere ricordato in Svizzera. Non si tratta però
di una biografia e ancor meno della storia del CISAP, che richiederebbero ben
più ampio spazio, ma di un profilo sintetico di una persona che durante quattro
decenni è stato oltre che un testimone del suo tempo, un sensibile interprete
dei bisogni della società immigrata e un abile, serio e lungimirante creatore
di opportunità per lo sviluppo qualitativo di migliaia di persone. Per maggiori
informazioni sarà indicata alla fine di questi articoli una succinta
bibliografia.
La notorietà di Giorgio Cenni è legata soprattutto al CISAP,
un centro di formazione professionale molto particolare, che inizialmente ha
rappresentato un modello e la direzione da seguire nel campo dell’integrazione
professionale e sociale della popolazione immigrata, ma non va dimenticato che negli
anni Sessanta, Settanta e Ottanta del secolo scorso Cenni è stato anche un protagonista
influente della vita associativa, promuovendo incontri, associazioni,
esposizioni, congressi e l’avvicinamento tra istituzioni e immigrati. E’ stato pure
un pioniere convinto e lungimirante della collaborazione italo-svizzera in
campo sindacale, sociale e professionale, aprendo in questo settore nuove vie e
prospettive. Dei vari aspetti cercherò di seguito di evidenziarne solo alcuni,
perché la ricchezza del personaggio e la contingenza di una breve presentazione
non consentono di trattarli tutti con l’attenzione e la profondità che
meritano.
Il debito della solidarietà
Giorgio Cenni venne a Berna nel 1957 per lavorare come
meccanico qualificato in una grande fabbrica di telecomunicazioni di Berna,
l’Hasler AG. Nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera in quegli anni
si registrava un numero crescente di «treni della speranza» che trasportavano in
massa, dal Nord come dal Sud Italia, decine di migliaia di connazionali da
impiegare soprattutto come manovali nell’industria e nell’edilizia svizzere,
allora in grande sviluppo e avide di manodopera sia qualificata che senza alcuna
qualifica. Lui, provetto meccanico e abile sindacalista, con una grande
esperienza professionale alle spalle e la prospettiva di una discreta carriera nel
settore meccanico, non tardò ad accorgersi che in Svizzera i connazionali
esercitavano quasi unicamente funzioni subalterne e mal retribuite, attività di
manovalanza in condizioni precarie e talvolta proibitive.
L’idea era semplice, la sua realizzazione tutt’altro che
facile. Ma Giorgio Cenni non si sottrasse alla complessità dell’impresa che gli
sembrava non solo utile ai futuri beneficiari, ma anche doverosa, per senso di
solidarietà, per chi come lui aveva avuto l’opportunità, anche in tempo di
guerra, di apprendere per bene un mestiere e di poterlo esercitare in seguito
con profitto. Del resto, anche a Berna non erano pochi gli italiani giunti nei
primi anni Cinquanta, soprattutto dalle regioni del Nord Italia, che nel
frattempo si erano «impadroniti» del mestiere che esercitavano, acquisendo sul
campo le basi teoriche e pratiche che normalmente si apprendono durante
l’apprendistato. Proponendo loro in maniera convincente i progetti,
probabilmente nessuno avrebbe negato il proprio contributo. Ma le variabili
della riuscita dei corsi erano ancora molte e andavano esplorate con attenzione.
Per questo, come risulta dalla documentazione disponibile e
da conversazioni private, in quegli anni Giorgio Cenni si attivò moltissimo per
attrarre su quei progetti formativi il più ampio consenso possibile. Gli riuscì
abbastanza facilmente ottenere l’apprezzamento dell’Ambasciata e del Consolato
d’Italia, molto favorevoli a quel tipo di iniziative. Per sensibilizzare la
collettività immigrata ricostituì (marzo 1961) insieme ad altri connazionali la
Colonia Libera Italiana (CLI) di Berna (perché quella fondata nell’immediato
dopoguerra si era praticamente sciolta), ritenendo che in quel momento solo le
Colonie Libere (ancor più delle Missioni cattoliche italiane) erano in grado di
ottenere ampi consensi tra gli immigrati.
Cenni se ne rese conto negli anni in cui presiedeva la commissione
culturale della CLI, perché tutte le iniziative organizzate erano ben
frequentate, dalle partite di calcio (della squadra Audax) agli spettacoli
della filodrammatica, dalle conferenze ai corsi di lingua tedesca, ecc. E fu in questo
ambiente così favorevole che Cenni organizzò i primi corsi o «corsetti» professionali
(matematica, lettura del disegno, ecc.) sotto l’egida della CLI di Berna. La
riuscita di ogni iniziativa generava nei dirigenti della Colonia e in
particolare in Giorgio Cenni non solo soddisfazioni, ma anche la convinzione che
per soddisfare i tanti bisogni degli immigrati si dovesse fare di più e meglio.
Ad accrescerla contribuivano anche i numerosi attestati di stima della stampa
locale, della radio e della televisione, il plauso delle autorità italiane, ma
soprattutto le richieste dei lavoratori e l’interesse a quelle iniziative da
parte dei sindacati, specialmente della FLMO.
Man mano che le iniziative si moltiplicavano e il bisogno
della formazione professionale emergeva chiaramente, cresceva anche il
convincimento di Giorno Cenni che per dare risposte efficaci e durevoli la
struttura adeguata necessaria non poteva essere garantita dalla CLI, fra l’altro
molto caratterizzata politicamente e in alcuni ambienti sospettata di influenze
comuniste. Per organizzare corsi all’altezza dei bisogni dell’economia allora
in grande espansione e in piena trasformazione occorreva una struttura adeguata
con locali non occasionali (tipo sale nei ristoranti), officine ben
equipaggiate con macchinari e strutture idonee, insegnanti competenti e
istruttori con grande esperienza, ma soprattutto il sostegno delle autorità sia
italiane che svizzere e una stretta collaborazione del mondo sindacale. Ne
parlava con tale entusiasmo, secondo una cronaca, che per chi lo ascoltava
sapeva di utopia, ma alla fine riusciva a convincere anche i più scettici.
Le idee erano molto chiare, ma Cenni, realisticamente, non
sottovalutava le difficoltà che la nuova struttura avrebbe probabilmente
incontrato in fase di realizzazione, tanto più che all’interno della CLI di
Berna cominciò a manifestarsi una certa tensione tra chi riteneva che la nuova
struttura dovesse restare all’interno delle Colonie dov’era stata concepita e
portata a maturazione e chi riteneva che occorresse fare un salto di qualità e
la CLI non fosse in grado di farlo. La separazione divenne inevitabile. (Segue)
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