Su queste colonne ho manifestato più volte la mia difficoltà a comprendere il ritardo da parte italiana nella ripresa del negoziato con la Svizzera per trovare finalmente soluzioni soddisfacenti sia sul tema dell’evasione fiscale del passato (modello Rubik) e sia sul tema dei frontalieri. Per provocare almeno la volontà di una ripresa, nel 2011 i ticinesi avevano bloccato una parte dei ristorni dell’imposta alla fonte prelevata ai frontalieri. Ora sono nuovamente tentati di fare altrettanto, visto che finora nulla di significativo è avvenuto nel frattempo.
Sembrerebbe che l’Italia, che pure non si muove in acque
tranquille, almeno economicamente, non abbia alcun interesse né ai soldi
svizzeri che potrebbe incassare accettando, magari con opportuni ritocchi, il
modello Rubik, né a ripristinare i buoni rapporti col Ticino ridiscutendo lo
stato dei rapporti bilaterali soprattutto in materia di frontalierato.
Accuse ticinesi
Leggendo la stampa ticinese, si resta alquanto impressionati
dalle accuse (evidentemente tutte da provare e documentare) che vengono mosse
all'Italia. Ne cito solo alcune giusto per rendere l’idea: L’Italia continua a
considerare la Svizzera un paradiso fiscale e pertanto continua a inserirla
nelle cosiddette black list, che comportano notevoli difficoltà alle imprese
svizzere; la reciprocità nell'applicazione degli accordi bilaterali non aziende ticinesi sono discriminate
nei concorsi pubblici; nel Ticino, invece, arrivano quotidianamente «lavoratori
distaccati» e «padroncini» sfruttando i vantaggi degli accordi con l’Unione
Europea e sconvolgendo il mercato del lavoro locale; i ristorni all'Italia non
vanno a finire direttamente nelle casse dei Comuni di frontiera; l’Italia non
dà alcuna garanzia sulla realizzazione della ferrovia Mendrisio-Varese/Malpensa
nella tratta fra Stabio (Ticino) e Arcisate (Varese), nonostante i reciproci
accordi internazionali di terminare l’opera nei tempi previsti (2014); ecc. ecc.
esiste
o è tutta a favore dell’Italia; di fatto le
Di fronte a queste e ad altre simili accuse non si tratta di
dare ragione all'una o all'altra parte, ma di riavviare urgentemente il dialogo
per trovare le soluzioni appropriate e giuste. Da parte sua il Consiglio di
Stato (governo) ticinese prenderà posizione ufficiale solo in settembre, dopo
aver esaminato nel dettaglio la situazione. E da parte italiana, quando
arriverà una presa di posizione? Si attendono forse nuovamente le dure reazioni
del Ticino?
Al riguardo alcune dichiarazioni di membri autorevoli del
governo ticinese non lasciano dubbi: dopo l’accurato esame della situazione
durante l’estate, il Consiglio di Stato (governo) ticinese intende intervenire con
decisione presso il Consiglio federale perché intervenga con fermezza sul
governo italiano. Secondo Norman Gobbi (Lega dei Ticinesi), «Noi abbiamo più
frontalieri di tutta la Svizzera tedesca, ma Berna non se ne accorge, lo
dimentica. (…) Noi l’ascia di guerra non l’abbiamo messa via e sottolineo che questa
non è una tematica partitica, qui non c’è destra o sinistra, ma tra Svizzera e
Italia vi sono due sistemi economici diversi, per certi versi incompatibili. A
fronte di un sistema liberale ticinese e svizzero, dall'altra parte ce n’è uno
corporativo e medievale (…)».
Attenzione alle conseguenze
In questo clima di attesa e di diffidenza, è emerso purtroppo
che quella che sembrava una ghiotta opportunità per il futuro delle aziende
ticinesi, l’Expo 2015 di Milano, rischia di diventare un evento fieristico e
basta. Solo il 13% delle imprese ticinesi pensa di parteciparvi, molte sono
ancora incerte. Se questa sorta di boicottaggio avvenisse sarebbe un brutto
segnale non solo per i rapporti tra la Lombardia e il Ticino, ma anche fra
l’Italia e la Svizzera.
Non va infatti dimenticato che proprio la Svizzera è stata
il primo Paese invitato ufficialmente a partecipare all'Expo 2015 e il suo
padiglione figurerà accanto a quello italiano. Nelle intenzioni degli
organizzatori si pensava al rafforzamento delle relazioni bilaterali
italo-svizzere e al coinvolgimento del Ticino per un’azione promozionale per le
imprese ticinesi e svizzere nel settore dell’alimentazione con ricadute
importanti sul lungo periodo.
Come mai le imprese ticinesi, contro il loro stesso
interesse, sembrano mostrare scarso interesse all’Expo? Da un recente studio sembrerebbe
la conseguenza oltre che di una scarsa informazione, anche di insufficienti
garanzie e troppa burocrazia. Ma a pesare sull'incertezza di molte aziende a
partecipare è difficile non vedere anche il clima generale che si respira negli
ambienti imprenditoriali ticinesi di fronte agli ostacoli che incontrano
ogniqualvolta cercano di penetrare nel mercato italiano.
Per questo e per mille altre ragioni, è auspicabile che i
rapporti bilaterali si rafforzino e si sviluppino in un clima di reciproco
rispetto, non dimenticando mai, da una parte e dall'altra, che in Svizzera
vivono e lavorano più di mezzo milione di italiani, che hanno tutto l’interesse
a guardare con serenità e affetto a entrambe le patrie.
Giovanni Longu
Berna, 5 giugno 2013
Berna, 5 giugno 2013
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