Nel ventennio
1950-1970 l’immigrazione italiana in Svizzera ebbe un incremento eccezionale,
passando dai 140.366 italiani residenti censiti alla fine del 1950 ai 583.855
italiani residenti rilevati alla fine del 1970. È facile immaginare i problemi
che questa massa di «stranieri» portava in una terra molto differente da quella
lasciata e in parte anche ostile per l’ondata di xenofobia che si sviluppò
negli anni Sessanta e Settanta. Si era pensato di far venire dall'Italia
manodopera a buon mercato e sono arrivati uomini con le loro aspirazioni e i
loro problemi. Le strutture di accoglienza, quelle svizzere come quelle
italiane, erano impreparate e insufficienti. Le Missioni cattoliche italiane
(MCI) supplirono a questa carenza garantendo a una popolazione crescente e
alquanto differenziata di immigrati forme fondamentali di assistenza, non solo
in ambito religioso, ma anche personale, familiare (le famiglie erano allora
più numerose di quelle di oggi), sociale, culturale e relazionale con gli
svizzeri, le istituzioni (svizzere e italiane), i datori di lavoro, i sindacati
locali …
L’immigrazione italiana e le Missioni cattoliche
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| Sede della MCLI di Berna. |
Questa situazione è
stata ampiamente descritta in molti racconti, memorie, narrazioni, film, per
cui la si può supporre nota anche ai lettori di questo articolo. Del resto è
facilmente immaginabile se si pensa che gran parte di quegli immigrati non
aveva strumenti adeguati personali (conoscitivi, linguistici, professionali e
relazionali) per affrontarla serenamente e i possibili aiuti esterni (svizzeri
e italiani), compreso l’associazionismo, erano estremamente limitati. È invece
ancora oggi poco noto e valorizzato il contributo offerto dalle Missioni
cattoliche italiane per aiutare quegli immigrati a superare le difficoltà che
incontravano in famiglia, sul lavoro, con le istituzioni e nella società.
Eppure quel contributo è stato enorme e in molte situazioni particolarmente
utile.
Merita pertanto ricordarlo e valorizzarlo anche perché i primi missionari, anche a Berna, dovettero affrontare compiti gravosi in condizioni difficili, alle quali spesso poco si pensa. Molte narrazioni, per esempio, sembrano dimenticare che gli interessi primari degli immigrati erano incentrati sul lavoro, il guadagno e il risparmio, non sulla pratica religiosa e nemmeno sulle possibilità del recupero scolastico, sull'apprendimento della lingua locale per facilitare la comunicazione, sull'informazione riguardante la storia, la cultura e le istituzioni del Paese ospite, sulla formazione professionale degli adulti e sulla scolarizzazione dei figli, ecc.
Molte narrazioni preferiscono
ricordare, spesso acriticamente, le disposizioni restrittive svizzere sugli
stranieri, il diffondersi di ideologie e comportamenti xenofobi, le presunte discriminazioni
degli immigrati a scuola, sul lavoro e nella società, mentre non vengono quasi
mai menzionati il diffuso anticlericalismo anche tra gli immigrati, la lacerante
contrapposizione fra Colonie libere italiane (CLI) e MCI, la scarsa
sindacalizzazione degli italiani nei sindacati svizzeri, ecc.
È in questo ambiente
che i missionari seppero inserirsi, in puro spirito di carità evangelica,
cercando di alleviare le sofferenze (specialmente psicologiche) di molti
immigrati, curando molte ferite, appianando contrasti, offrendo a piene mani
assistenza non solo religiosa e morale, ma anche sociale e culturale,
promuovendo la crescita personale e collettiva e non da ultimo l’integrazione.
La Missione cattolica italiana di Berna
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| San Giovanni Battista Scalabrini, «padre dei migranti» |
La nuova sede si dotò
presto di una ampia cappella dedicata alla Madonna dei migranti, di un
ristorante aperto al pubblico, una sala-teatro, un asilo, una scuola elementare,
una scuola di recitazione e di altri locali accoglienti per incontri, nuove
associazioni e svariate attività. Per liberare i missionari da mansioni non
sacerdotali, ad essi si aggiunse quasi subito un gruppo di suore della
congregazione di San Giuseppe di Cuneo e di volontarie e volontari laici che erano di grande
aiuto specialmente nella gestione dei locali, nell'organizzazione di incontri,
esposizioni, proiezioni di film, partecipazioni a convegni, animazioni di gruppi, ecc. Il 4
settembre 1960 venne inaugurata la nuova sede della MCI con la benedizione
del nunzio apostolico mons. Alfredo Pacini e la partecipazione dell'ambasciatore d'Italia
La nuova sede di Berna non fu l’unica a veder la luce negli anni Sessanta. Infatti, se tra il 1947 e il 1949 erano sorte in Svizzera otto missioni (Turgovia, Baden-Wettingen, Aaretal, Winterthur, Sciaffusa, Altdorf, Sion, Romanshorn) e ventuno negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta ne furono inaugurate ben cinquantatré. Del resto, allora il bisogno era enorme, non solo per il numero dei migranti ma anche la gravità e complessità dei problemi, e i missionari godevano di grande fiducia.
La vita dei missionari
e delle missionarie di Berna non doveva essere facile, perché la situazione
dell’immigrazione, che la MCI aveva il compito di accompagnare, già negli anni
Sessanta cominciò ad appesantirsi col diffondersi della xenofobia. Negli anni
Settanta e Ottanta si era ulteriormente aggravata per le misure restrittive
imposte dalle autorità scolastiche bernesi all'accesso alla scuola della Missione
e a seguito della crisi economica che spingeva molte famiglie a rientrare in
Italia. La popolazione che prima gravitava attorno alla Missione si riduceva
vistosamente anche in seguito al diffondersi della secolarizzazione della
società e della diminuzione della pratica religiosa. Ne risentì inevitabilmente
anche il ricambio generazionale tra i missionari e il rientro in Italia di
tutte le suore che prima operavano a Berna.
Non fu un disastro
perché la Missione cattolica di lingua italiana esiste ancora, si è integrata
nella Chiesa locale, continua ad offrire l’attività che le è più consona,
l’assistenza religiosa, e rappresenta sempre un richiamo religioso per l’intera
popolazione italofona della regione di Berna.
Giovanni Longu
Berna 2 dicembre 2025


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