Di fronte alla gravità
dei problemi sociali che riguardano moltissime persone oggi in Italia, faccio
fatica a comprendere come tra le priorità della politica (anche di chi oggi
sembra voler dettare le regole del gioco) figuri il tema delle unioni
omosessuali.
In realtà, parlando
con la gente comune, si ha la netta sensazione che davvero l’argomento non
appassioni nessuno, nonostante sia chiaro a tutti (e del resto lo ha
evocato anche il Papa) che si tratta di un problema reale, anche se concerne
un’esigua minoranza. Sembrerebbe che gli italiani in fondo abbiano già deciso,
ideologicamente, che una cosa è il matrimonio religioso, un’altra il matrimonio
civile e un’altra ancora le coppie di fatto, ma soprattutto che l’intera
questione è essenzialmente di natura privata, nel senso che ognuno decide
liberamente della propria forma di vita, da singolo o in coppia, a prescindere
dagli aspetti dei diritti e dei doveri connessi a ciascuna forma di unione.
Il disinteresse del
grande pubblico è dovuto probabilmente anche alla confusione del dibattito in
cui si continua a equivocare sulle parole, mettendo sempre a confronto il
matrimonio con l’unione civile omosessuale, introducendo nella discussione considerazioni
di natura etica e religiosa o aspetti del
matrimonio (religioso e civile) come la figliolanza o l’adozione che quasi
tutte le legislazioni hanno tenuto separate.
Perché, allora, se ne
continua a parlare in numerosi dibattiti politici? La mia risposta è che,
trattandosi di un tema almeno apparentemente delicato e controverso, serva a segnare
le distanze tra forze politiche non proprio in sintonia su molti altri
aspetti della politica e della società. Diversamente una soluzione adeguata
sarebbe già stata trovata da tempo, come è avvenuto in gran parte dei Paesi
occidentali, senza che abbia provocato crisi di religione o contrasti
insanabili.
Credo che per una
discussione serena finalizzata alla soluzione dei problemi posti dalle coppie
omosessuali andrebbe detto chiaramente fin dall’inizio ciò che s’intende per
coppia omosessuale, quali sono i campi in cui si possono far valere i diritti (e
i doveri) civili e quali campi devono essere considerati esclusi dalla
soluzione proposta.
La soluzione
svizzera
La soluzione adottata
in Svizzera mi sembra un esempio di chiarezza. La legge che ormai da
anni regola l’intera materia non ha provocato finora praticamente alcuna
discussione o controversia né sul piano politico né sul piano sociale. Al
centro dell’attenzione del legislatore c’era la necessità di regolare
giuridicamente interessi legittimi di due persone conviventi soprattutto in
campo patrimoniale, ereditario, assistenziale, ed escludendone altri.
Mi preme sottolineare anzitutto la chiarezza della soluzione
adottata fin dalla definizione del nuovo «stato civile» della coppia
omosessuale che si è fatta registrare come tale: «unione domestica
registrata». Al riguardo la legge precisa inoltre che «due persone dello
stesso sesso» (senza vincoli di parentela) che hanno deciso di far «registrare
ufficialmente la loro unione domestica», «si uniscono in una comunione di vita
con diritti e doveri reciproci».
Diritti e doveri
La legge disciplina poi gli effetti dell’unione domestica, a
cominciare dall’obbligo reciproco dell’assistenza e del rispetto e proseguendo
per il «debito mantenimento dell’unione domestica» («ciascuno secondo le
proprie forze»), le decisioni comuni riguardanti l’abitazione, la responsabilità
solidale per i debiti contratti in rappresentanza della stessa, il regime
patrimoniale (di regola la separazione dei beni, salvo convenzione diversa
stipulata per atto pubblico), ecc.
Per quanto riguarda il diritto successorio, il diritto delle
assicurazioni sociali, della previdenza professionale e del diritto fiscale,
per legge le coppie
omosessuali
sono equiparate ai coniugi.
Esclusioni
Con altrettanta chiarezza la legge precisa che per le unioni
domestiche registrate sono esclusi sia l’adozione e sia il ricorso a metodi
della medicina riproduttiva. Su questa materia, indubbiamente la più
problematica, il legislatore ha dovuto decidere ispirandosi al bene del bambino.
Se infatti la legge ammettesse l’adozione o la filiazione, lo si metterebbe nella
situazione sociale eccezionale di avere due madri o due padri.
Poiché in una democrazia la minoranza accetta la decisione
ragionata della maggioranza, in Svizzera non si sono avute particolari reazioni
alla scelta operata dal legislatore, che ha raggiunto così pienamente l’obiettivo
essenziale che si era proposto, ossia quello di eliminare le (vere)
discriminazioni e mitigare i pregiudizi.
Perché almeno questi obiettivi non si raggiungono in Italia?
Giovanni Longu
Berna 22.01.2014
Berna 22.01.2014
Le coppie omosessuali sono equiparate alle coppie tradizionali con l'esclusione dell'adozione. Non viene usato il termine matrimonio cui la storia attribuisce un significato ben preciso.Non mi viene in mente nulla di più semplice.Non mi convince la filiazione, se ricordo bene nel diritto italiano riguarda il minore che non perde la patria podestà dei genitori naturali ma assume il cognome ed i diritti ereditari di colui, anche single,che lo affilia. Mi pare di ricordare che l'età minima è di 14 anni e che occorre il consenso del minore. Se la legge svizzera nega questa possibilità allora tanto vale farla completa: la proibizione dei minori di frequentare l'abitazione di una coppia gay!
RispondiEliminaAntonino Alizzi
La legge svizzera mi sembra molto più chiara di quella italiana approvata recentemente al Senato. Il problema dell'adozione è molto complicato, ma il legislatore svizzero ha detto una cosa semplice: no alle adozioni intendendo salvaguardare i diritti sacrosanti dei bambini. Questo non vuol dire che un partner di una coppia omosessuale non possa o non debba voler bene e assistere i figli dell'altro partner. Anzi, pure al riguardo la legge svizzera è chiara: "Se uno dei partner ha figli, l'altro lo assiste in modo adeguato nell'adempimento del suo obbligo di mantenimento e nell'esercizio dell'autorità parentale e lo rappresenta ove le circostanze lo richiedano. I diritti dei genitori rimangono in ogni caso salvaguardati" (art. 27, cpv. 1 della Legge sull'unione domestica registrata).
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