10 giugno 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 16. La sfida per il Consiglio federale


Superata la crisi economica del 1974-76 e spazzate via tre nuove iniziative popolari antistranieri (1974: 65,8% di no, 1977a: 70,5% di no, 1977b: 66,2% di no), la Confederazione si trovò nella condizione di poter avviare finalmente una vera politica d’integrazione di una popolazione straniera ormai stabilizzata (quasi ¾ degli stranieri residenti in Svizzera erano titolari del permesso di domicilio) e ridotta dal 16,1% (1975) al 14,1% (1980). Anche la popolazione straniera che aveva deciso di restare non aveva altra scelta che integrarsi o mettersi in condizione di poter vivere in questo Paese un po’ più serenamente. Si trattava, com’è facile capire, di due sfide che svizzeri e stranieri dovevano affrontare insieme. Oggi si sa che la collaborazione non fu sempre facile, ma fu positiva.

Stabilizzazione e riduzione
«Integrazione» divenne dopo il 1970 la parola d'ordine
della nuova politica d'immigrazione della Svizzera.
Le quattro sconfitte subite dai sostenitori delle tre principali iniziative antistranieri degli anni Sessanta e Settanta (1970, 1974, 1977) furono interpretate dalle forze politiche come un’approvazione popolare e dei Cantoni della politica federale di stabilizzazione e riduzione della manodopera estera. In effetti, alla vigilia della votazione del 1970, il Consiglio federale si era proposto di stabilizzare la popolazione straniera entro il 1980. Nel 1973 vi era già riuscito in parte, ma fu negli anni seguenti, complice la crisi del 1974-76, che riuscì a raggiungere anticipatamente quell’obiettivo.
Sarebbe tuttavia un’interpretazione parziale e troppo riduttiva della politica federale degli anni Settanta, se si pensasse che il Governo si proponesse solo obiettivi quantitativi, ossia limitare e ridurre il numero degli stranieri. E’ infatti una costante della politica svizzera verso gli stranieri l’obiettivo dell’integrazione (anche se fino agli anni Settanta il termine maggiormente usato era «assimilazione»), come emerge da numerosi interventi del Consiglio federale dall’inizio del secolo.

Primi passi verso l’integrazione
Già nel 1909 la Commissione della gestione del Consiglio nazionale aveva suggerito al Consiglio federale di studiare la possibilità di ovviare al pericolo d'inforestierimento agevolando l’integrazione (assimilazione) e la naturalizzazione. Alla vigilia della prima guerra mondiale, quando l’afflusso di stranieri era particolarmente intenso, il Consiglio federale pensava che si potessero adottare «come misure adeguate a contenere il fenomeno, l'incremento dell'assimilazione e lo snellimento della naturalizzazione», senza ricorrere a interventi restrittivi per arginare il fenomeno. Lo scoppio della guerra impedì alle Camere di legiferare al riguardo, ma la direzione della politica federale d’immigrazione era segnata.
Dovettero tuttavia passare diversi decenni prima che il problema si ripresentasse con un’intensità simile a quella d’inizio secolo, ossia dopo la seconda guerra mondiale. Inizialmente alla Confederazione non occorsero misure speciali perché l’economia svizzera aveva urgente bisogno di molta manodopera straniera. Anzi fu relativamente facile accordarsi con l’Italia (1948) per «mantenere e sviluppare il movimento emigratorio tradizionale dall'Italia in Svizzera».

Segnali favorevoli e incoraggianti
Alla fine degli anni Cinquanta, quando i flussi immigratori aumentarono considerevolmente e cominciarono a creare preoccupazione in alcuni ambienti della popolazione, il problema degli stranieri ridivenne attuale e la politica federale dovette rivedere la sua politica liberale in materia immigratoria. Il Consiglio federale finì per prendere in considerazione anche misure di contingentamento degli ingressi, ma non smise mai di ritenere irrinunciabile una seria politica d’integrazione.
Quando nella prima metà degli anni Sessanta venne ridiscusso l’accordo d’immigrazione con l’Italia (concluso il 10 agosto 1964), la prospettiva dell’integrazione, soprattutto per la seconda generazione, fu sempre presente. Nel messaggio governativo all'Assemblea federale del 4 novembre 1964, in cui si chiedeva l'approvazione di quell'accordo, il Consiglio federale non aveva dubbi: i lavoratori stranieri stabilizzati vanno integrati perché «sono diventati ormai un fattore irrinunciabile della nostra vita economica. Conseguentemente, la nostra futura politica dell'immigrazione non potrà limitarsi alla funzione negativa di frenare l'entrata di nuovi lavoratori, ma dovrà assumersi anche la funzione positiva di facilitare il mantenimento e l'assimilazione della manodopera idonea. Il nuovo ordinamento migratorio con l'Italia va appunto in tale direzione».
Di fronte alla pressione dei movimenti xenofobi e dei partiti dell’estrema destra, ma anche di alcuni ambienti sindacali, il Consiglio federale intervenne dapprima con misure di contingentamento e di controllo al fine di stabilizzare la manodopera straniera ritenuta utile e necessaria, rinviando ad una fase successiva la politica d’integrazione, che restava comunque un obiettivo irrinunciabile.
L’esito delle quattro iniziative antistranieri (1970, 1974, 1977°, 1977b), ma anche la partecipazione calante degli elettori (1970: 74%, 1974: 70,3%, 1977: 45,2%) apparvero al Consiglio federale non solo come una seria indicazione del crescente disinteresse della popolazione alle discussioni sul numero degli stranieri, ma anche come un segnale di approvazione della sua politica di stabilizzazione della popolazione straniera finalizzata all’integrazione soprattutto della seconda generazione.

Ostacoli e superamento
Il Consiglio federale si rendeva tuttavia conto che la strada non sarebbe stata esente da ostacoli. I movimenti xenofobi non perdevano occasione per evocare paure nella popolazione. Poiché nei primi anni Settanta si era registrato un forte aumento delle nascite di stranieri (nel 1973, su 86 mila nascite, 27 mila erano figli di stranieri, con un tasso del 79 per mille, contro appena il 31 per mille nelle case svizzere) e il numero delle naturalizzazioni tendeva vistosamente a salire, il 15 marzo 1974 fu depositata la quinta iniziativa antistranieri denominata «per una limitazione del numero annuale delle naturalizzazioni».
Già l’iniziativa di Schwarzenbach, respinta nel 1970, voleva impedire che il Consiglio federale potesse adottare provvedimenti straordinari di naturalizzazione al fine di ridurre in questo modo il numero degli stranieri residenti. Con la nuova iniziativa del 1974 se ne voleva limitare il numero a 4000 l’anno «fintanto che la Svizzera conta una popolazione residente totale superiore a 5.500.000 persone…».
Coerentemente con la sua nuova politica d’integrazione, il Consiglio federale, nel suo Messaggio all’Assemblea federale sulla nuova iniziativa fece presente non solo il diritto dello Stato ad accogliere i richiedenti degni ma anche il dovere ad accogliere gli stranieri «assimilati»: «Come atto sovrano, la naturalizzazione concede allo Stato la possibilità di scegliere nuovi cittadini fra coloro che ne sono degni, per mezzo di premesse legali minime e di un'inchiesta approfondita. La concessione della nazionalità svizzera agli stranieri assimilati può essere considerata non solo come risposta alle loro oggettive aspirazioni, ma corrisponde ad un imperativo dettato dalla saggezza politica e dalla necessità».
Anche questa iniziativa fu chiaramente respinta il 13 marzo 1977 dal 66,2% dei votanti e da tutti i Cantoni e si capì che ormai, per la maggioranza del popolo svizzero, non c’era alternativa all’integrazione degli stranieri e la via della naturalizzazione andava incoraggiata. Di fatto il numero delle naturalizzazioni (ordinarie e agevolate), che negli anni Sessanta erano circa 4000 l’anno, negli anni Settanta sono state circa 9800 l’anno. In vent’anni la nazionalità svizzera è stata accordata a circa 140.000 stranieri.

Integrazione, problema nazionale
Il Consiglio federale era tuttavia ben consapevole che la paura dell’inforestierimento non sarebbe , dovessero poter usufruire facilmente della naturalizzazione.
stata superata stabilizzando e riducendo il numero degli stranieri e che la loro integrazione non sarebbe avvenuta solo per mezzo della naturalizzazione. Anche in futuro ci sarebbero stati in Svizzera stranieri che avrebbero preferito
continuare a restare tali e bisognava tenerne conto. Riteneva tuttavia che soprattutto coloro che erano nati in questo Paese o avevano trascorso qui la loro infanzia ed erano considerati integrati e ben accetti anche dagli svizzeri
Per il Consiglio federale, «non dobbiamo accontentarci di una semplice coabitazione fra svizzeri e stranieri: deve essere risvegliata la comprensione reciproca, i malintesi vanno dissipati ed i pregiudizi eliminati; l'adattamento alle condizioni di vita del nostro Paese deve permettere agli stranieri di prendere contatto con la popolazione svizzera e di partecipare alla nostra vita sociale»
Restava aperto una vasto campo d’interventi e di sensibilizzazione che la Confederazione non avrebbe potuto assumersi da sola. Per questo, fin dagli anni Settanta furono coinvolti in una politica attiva d’integrazione tutti le principali istituzioni interessate, Confederazione, Cantoni, Comuni, Parti sociali, Chiese ed evidentemente anche associazioni e cittadini svizzeri e stranieri. La questione degli stranieri doveva diventare una questione nazionale e coinvolgere direttamente anche loro. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 10.06.2020

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