08 febbraio 2023

Immigrazione italiana 1946-2000: 31. Considerazioni finali: 9. Enti di rappresentanza

Nell'articolo precedente si è cominciato a passare in rassegna le istituzioni di rappresentanza della collettività italiana residente in Svizzera, allo scopo di indicarne il «peso» nel contesto della valorizzazione del patrimonio ideale lasciato dagli immigrati italiani e dell’auspicabile sviluppo dell’italianità in questo Paese. Si è giustamente cominciato dall’Ambasciata perché ad essa spetta il peso preponderante e perché ad essa fanno riferimento diretto o indiretto tutte le altre. Del resto è notorio che il peso politico e pratico di queste è minimo, a cominciare dai rappresentanti degli italiani all'estero eletti nel Parlamento della Repubblica (due eletti proprio in Svizzera). Il CGIE potrebbe avere maggior peso essendo costituito da rappresentanti delle comunità italiane sparse nel mondo, ma è un organo di consulenza del Governo e del Parlamento, in grado di esprimere solo pareri non vincolanti. Anche i membri dei Comites potrebbero costituire una forza importante perché per legge sono «organi di rappresentanza degli italiani all'estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari», ma sono spesso disorientati e scarsamente rappresentativi.

Parlamentari eletti all'estero: inutili?

Nonostante il diritto di voto all'estero, gli italiani ne fanno un uso scarso
  ... come se non interessasse! In Svizzera non è mai stata eletta una donna!
I parlamentari eletti all'estero avrebbero potuto rappresentare un’importante espressione delle collettività italiane sparse nel mondo se fossero stati eletti con la stessa proporzionalità applicata in Italia e con un programma elettorale incentrato sulle problematiche e sulle aspettative degli emigrati e dei loro discendenti. Invece la loro elezione avviene con una proporzionalità ridotta e su programmi eterogenei.

Poiché attualmente il loro numero esiguo è espressione solo di piccole minoranze poco rappresentative e per di più di colore politico opposto (maggioranza e opposizione), la loro efficacia è vicina allo zero, tanto da legittimare la domanda se sia il caso di continuare ad eleggere parlamentari ininfluenti. Il risparmio che ne deriverebbe potrebbe essere investito più utilmente in altre rappresentanze più vicine agli italiani residenti all'estero e alle loro problematiche.

Gli eletti naturalmente continueranno a ritenersi indispensabili per dar voce ai milioni di italiani all'estero, ma sanno benissimo che non è così. Un esempio significativo è stato fornito da uno dei due eletti in Svizzera, Toni Ricciardi (PD), che si è vantato di aver riproposto all'attenzione del governo il tema dell’esenzione dell’IMU (Imposta Municipale Unica) sulla prima casa, come se la maggioranza degli italiani residenti all'estero avesse una casa in Italia e non esistessero altre rivendicazioni importanti per la loro vita nel Paese d’immigrazione, per esempio nel campo dell’assistenza, della scuola, della formazione professionale, dell’integrazione, del turismo, del sostegno all'italianità, ecc.

Come Toni Ricciardi anche gli altri eletti all'estero, tanto gli appartenenti alla maggioranza che quelli dell’opposizione, rappresentano di fatto poco più di se stessi e farebbero meglio, se fosse possibile, a dimenticare l’appartenenza partitica e a unire le forze per rivendicare efficacemente soluzioni a qualcuno dei problemi comuni che gli italiani all'estero vivono quotidianamente.

Un CGIE meno politicizzato e più forte

Il CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) è forse lo strumento centrale che potrebbe rappresentare meglio gli italiani all'estero. Il condizionale è dovuto al suo condizionamento da parte della politica e alla sua scarsa rappresentatività. Basti pensare che su 63 Consiglieri, 20 sono nominati dal governo, ma già al momento delle elezioni all'estero gli altri 43 devono fare i conti con i partiti politici e le grandi organizzazioni politicizzate, che hanno in mano la macchina elettorale più capillare ed efficace degli italiani all'estero.

Il CGIE è poco rappresentativo: le donne all'estero vi sono
rappresentate al 19% (quelle residenti in Svizzera al 16,6%).
Ipotizzando un’elezione diretta e democratica di tutti i componenti del CGIE, con una specie di vincolo morale degli eletti a rappresentare esclusivamente gli interessi degli italiani all'estero senza vincoli partitici nazionali, ne deriverebbe un organismo enormemente più rappresentativo (un piccolo parlamento), con una massa critica notevole che lo renderebbe ben più efficace. Il suo punto di vista non potrebbe essere né ignorato né snobbato sia dal Governo che dal Parlamento. Forse proprio per questo un rafforzamento del parlamentino degli italiani all'estero non è all'ordine del giorno. Del resto, contestualmente, si dovrebbe ripensare anche la modalità di elezione dei suoi membri, riformulare i suoi compiti, istituzionalizzarlo come organo permanente dello Stato, ecc.

Va anche aggiunto che un organismo così eletto e funzionante renderebbe inevitabilmente inutile l’elezione dei parlamentari della Circoscrizione Estero, per cui l’idea di un più efficiente CGIE potrebbe avere pochi sostenitori anche tra le organizzazioni politiche o politicizzate degli italiani all'estero. Pertanto non è nemmeno pensabile, allo stato attuale, organizzare un movimento trasversale per l’abolizione della Circoscrizione Estero e il rafforzamento del CGIE come organismo nazionale di rappresentanza degli italiani all'estero. E questo spiega forse a sufficienza perché si preferisca, di fatto, avere due organismi deboli piuttosto che uno forte, mantenere lo status quo, ossia l’indifferenza diffusa, piuttosto che impegnarsi in una riforma dall'esito incerto, convivere pacificamente… e ignorarsi reciprocamente.

Comites magari più efficienti

Una tale situazione, tuttavia, non è detto che tranquillizzi tutti, che vada bene a tutti. Anzi, in alcune circoscrizioni consolari si levano sempre più frequentemente voci critiche a riguardo dei servizi consolari, dei tagli ai contributi per la formazione e la cultura, dell’assistenza, ecc.

Recentemente è scoppiato anche il caso dei «corsi di lingua e cultura italiana» perché in alcune località importanti, per esempio a Berna e a San Gallo, i corsi sembrano sospesi e gli insegnanti lasciati senza stipendio da mesi a causa del mancato versamento dei contributi dello Stato italiano, dovuto a sua volta a presunte inadempienze amministrative di alcuni enti gestori dei corsi. «A farne le spese - si poteva leggere già a novembre su tvsvizzera.it - sono i numerosi/e scolari/e - non solo quelli/e di origine italiana - che desiderano perfezionare le loro conoscenze dell’idioma di Dante, e ora sono costretti/e nelle due città citate a far capo ad altri istituti o a ricorrere a insegnamenti privati».

Comites poco efficienti perché poco rappresentativi?

Ciò che maggiormente salta agli occhi in questa vicenda è la leggerezza con cui i vari organismi competenti sembrano trattare un tema così delicato e fondamentale come la diffusione della lingua e della cultura italiana specialmente tra gli italiani di origine migratoria. E poiché i Comites (Comitati degli Italiani all’Estero) in questa materia hanno competenze e responsabilità importanti viene da chiedersi a che servono davvero questi organismi di rappresentanza se non riescono nemmeno a garantire un servizio primario ai piccoli italiani.

Tutto colpa dei Comites interessati? Certamente no, anche perché la realtà appare piuttosto seria e complessa, non sono sempre chiare le competenze e spesso mancano le risorse finanziarie per trovare alternative. Potrebbero però fare di più, per esempio informando e mobilitando l’opinione pubblica, richiedendo l’intervento dei Consoli, dell’Ambasciatore, del CGIE, dei parlamentari eletti all'estero, delle forze politiche più sensibili alle tematiche degli italiani all'estero, denunciando il danno d’immagine all'Italia e il mancato contributo all'italianità, ecc.

Quanto al presunto mancato versamento dei contributi statali, a prescindere dalle motivazioni e dalle responsabilità (da verificare urgentemente), si deve anche ritenere che non c’è ragione d’interrompere un servizio promesso e garantito, tanto più che ogni allievo oggi è tenuto a versare un piccolo contributo. Lo Stato per primo deve dare prova di coerenza, ma forse lo Stato, nei confronti degli italiani all'estero, è spesso indifferente, incoerente, senza progetti e senza visioni. Ma anche i cosiddetti organismi di rappresentanza dovrebbero impedire l’aggravarsi della situazione.

E allora?

Allora qualche considerazione finale va pure fatta su queste rappresentanze, ma sarà rimandata per questione di spazio al prossimo articolo. Nei precedenti articoli sono emersi numerosi interrogativi sul presente e soprattutto sul futuro degli italiani residenti in Svizzera, ma le risposte date, talvolta complesse e aperte, meritano almeno un tentativo di unificazione. Non si può infatti rinunciare a ipotizzare una specie di prolungamento ideale e reale della lunga storia dell’immigrazione italiana in Svizzera né a spingere lo sguardo al di là dell’orizzonte. Per questo nel prossimo articolo cercherò di indicare in che direzione sembra muoversi questa realtà fluida e in continua trasformazione. Cercare di individuarne il senso mi sembra una buona conclusione di questa lunga trattazione. (Segue)

Giovanni Longu
Berna, 8.2.2023

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