Le prossime elezioni in Italia concernono evidentemente gli italiani (per cui ogni interferenza esterna andrebbe evitata, soprattutto da parte di istituzioni e governi europei), ma non c’è dubbio che avranno conseguenze anche sul resto d’Europa e in particolare sulle relazioni bilaterali con i Paesi vicini, Svizzera compresa. Le politiche europee dei vari leader che si contendono la vittoria elettorale sono infatti alquanto diverse.
In Svizzera, la campagna elettorale italiana è seguita attentamente,
anche se con molta discrezione. A livello ufficiale, più che sperare che vinca
questo o quello schieramento, si auspica che gli italiani scelgano una chiara
maggioranza parlamentare e di governo che dia garanzia di stabilità. Molti
organi di stampa, tuttavia, non nascondono i timori di una eccessiva
frammentazione del panorama politico e quindi d’instabilità del prossimo
governo.
Pericolo d’instabilità
In effetti, a ben guardare, la rottura del bipolarismo, con
l’illusione di scardinare la «vecchia politica» della contrapposizione deleteria
tra schieramenti avversi più che avversari e di esprimere meglio (più
democraticamente, forse) i molteplici orientamenti presenti nella società
civile, rischia di far perdere di vista che oggi è più che mai indispensabile
la governabilità. Ma di questa esigenza non sembra che i politici si rendano
ben conto e forse nemmeno gli elettori.
Eppure la stabilità di governo è condizione prioritaria per poter
realizzare politiche serie e incisive, che hanno bisogno di essere non solo
avviate, ma anche consolidate. Si pensi al campo della formazione (di cui per
altro si parla troppo poco in questa campagna elettorale), al rilancio
dell’economia, alla sistemazione del territorio, alla moralizzazione della vita
pubblica, al riordino istituzionale, alla riforma del fisco parallelamente alla
lotta senza quartiere all'evasione, ecc.
Superare il malcontento col buon governo
Quanto sia indispensabile e urgente un buon governo e una
politica coraggiosa di riforme e di sviluppo, equo e sostenibile, lo rivela il
malcontento generale che continua a crescere in Italia. Esso si esprime fra
l’altro in un vistoso calo di fiducia degli italiani persino nei confronti del
Capo dello Stato (scesa al 44,7%, secondo dati Eurispes), per non parlare del
Governo (attestata al 15,9%, grazie ai provvedimenti «lacrime e sangue»!) e
soprattutto del Parlamento (crollata al 9%!). La fiducia degli italiani nella
Magistratura è in lieve recupero (42%), ma ancora al di sotto della
sufficienza.
Commentando il «Rapporto Italia 2013», il presidente
dell’istituto di ricerca italiano Eurispes, Gian Maria Fara è stato esplicito: «Siamo
di fronte ad una insoddisfazione che non ha precedenti nella storia recente
italiana. Per la prima volta, dopo la sfiducia che gli italiani manifestano nei
confronti del Governo, del Parlamento e dei partiti, crollano gli indici di
fiducia anche nella Presidenza della Repubblica. Un dato preoccupante, che
contribuisce ad aumentare la già profonda distanza tra i cittadini e le
Istituzioni italiane. L’aver delegato ad un Governo tecnico la guida del Paese
non ha prodotto risultati positivi né per il Presidente della Repubblica che ha
ispirato e gestito l’operazione, né per il Parlamento e i partiti ai quali probabilmente
viene imputata una fuga dalle responsabilità di fronte alla crisi».
Secondo il presidente dell’Eurispes, «una pressione fiscale
insopportabile e iniqua, la disoccupazione alle stelle, la perdita del potere
d’acquisto, i ceti medi sulla via della proletarizzazione, l’aumento della
povertà e del disagio, la precarietà globale di un’intera generazione
rappresentano solo alcune delle emergenze».
Quanto basta per far riflettere gli italiani prima del voto
il prossimo 24 febbraio. Ma, data la situazione, è lecito dubitare che questa tornata
elettorale, a causa anche della legge che la regola, possa esprimere un
Parlamento credibile e un governo forte e stabile. Se questo dubbio dovesse
confermarsi, non resterebbe che ritornare alle urne il più presto possibile
perché, in assenza di un governo stabile e sufficientemente forte, i rischi per
l’Italia sarebbero enormi.
Quanto più tempo passa la crisi diventa sempre più grave. Un
rilancio dell’economia diventerebbe quasi impossibile, anche perché un possibile
rafforzamento dell’euro finirebbe per danneggiare seriamente l’unico comparto
dell’economia italiana in positivo, ossia le esportazioni di prodotti
manifatturieri.
Svizzeri pronti al dialogo
Gli svizzeri si rendono conto della situazione e l’incertezza
penalizza le relazioni italo-svizzere, che da qualche anno aspettano invano un
rilancio. Dopo i timidi tentativi nell’ultimo periodo del governo Berlusconi e
i piccoli passi avanti durante il governo Monti, si teme un ulteriore rinvio.
Il Consigliere federale Didier Burkhalter e il Ministro Giulio Terzi, durante il Forum italo-svizzero (Roma 18 gennaio 2013) |
L’interesse della Svizzera a normalizzare e a sviluppare
ulteriormente le relazioni bilaterali è testimoniato dai numerosi incontri a
livello ministeriale di questi ultimi mesi. Sia il consigliere federale Johann
N. Schneider-Ammann, capo del Dipartimento federale dell'economia, della
formazione e della ricerca e sia il consigliere federale Didier Burkhalter,
capo del Dipartimento degli affari esteri, incontrando i colleghi italiani Corrado
Passera e Giulio Terzi hanno mostrato grande interesse allo sviluppo
della collaborazione nei rispettivi settori di competenza. Per non parlare
della ex Presidente della Confederazione Eveline Widmer-Schlumpf, che lo
scorso anno si è impegnata non poco col Presidente del Consiglio Mario Monti
per far avanzare il difficile negoziato fiscale.
Per rilanciare le relazioni bilaterali, il 18 e 19 gennaio è
stato organizzato a Roma un «Forum per il dialogo tra Italia e Svizzera»,
promosso dall’Ambasciata svizzera in Italia, a cui hanno partecipato anche Didier
Burkhalter e Giulio Terzi.
Interscambio italo-svizzero
In tale occasione (ma i dati sono facilmente ricavabili sul
sito del Dipartimento federale degli affari esteri) sono stati ricordati non solo
il buon stato di salute delle relazioni bilaterali (non riducibili, come ha
sottolineato Burkhalter, alle questioni fiscali), ma anche la loro intensità.
Basti pensare che nell’interscambio l’Italia è il secondo partner commerciale in
assoluto della Svizzera, di cui rappresenta anche il terzo mercato
d'esportazione e il secondo Paese fornitore. Nel 2011 la Svizzera ha importato
beni dall'Italia per 19 miliardi di franchi e ha esportato merci per un valore
di 16 miliardi. Nonostante la crisi economica, che non ha risparmiato
totalmente nemmeno la Svizzera, il volume degli scambi si è mantenuto elevato,
anche se inferiore all'anno precedente.
L'Italia occupa un posto di rilievo (sesto o settimo secondo
gli anni) anche nel settore degli investimenti svizzeri, che ammontano a circa 20
miliardi di franchi. La presenza di imprese svizzere in Italia è altissima, praticamente
in tutti i settori economici. Esse occupano circa 80.000 persone, molte delle
quali impiegate in attività di ricerca. Per la Svizzera, invece, l’Italia è il
nono investitore straniero con circa 5 miliardi che rappresentano 14.000 posti
di lavoro.
Anche il semplice fatto di trovarsi entrambi i Paesi
confinanti sull’asse nord-sud del continente europeo rende i rapporti
italo-svizzeri essenziali allo sviluppo reciproco. Basterebbe ricordare che un
quarto delle esportazioni italiane in Europa attraversa la Svizzera. La
collaborazione in materia di comunicazioni è pertanto indispensabile, soprattutto
in vista della realizzazione dell’asse Genova-Rotterdam attraverso la nuova
galleria ferroviaria del San Gottardo.
Condizioni per il rilancio
Perché il rilancio delle relazioni bilaterali avvenga è però
indispensabile che l’Italia abbia un governo stabile e maggiormente disponibile
al dialogo e alla soluzione dei problemi. Ricordarsi della Svizzera, nella convulsa
campagna elettorale, solo perché si spera di far rientrare in Italia 20-30 (?) miliardi
di euro (frutto di capitali difficilmente quantificabili di capitali non
dichiarati in Italia e depositati nelle banche elvetiche) da un accordo fiscale
ancora da negoziare nella parte essenziale (anonimato o scambio automatico dei
dati) mi sembra francamente una semplificazione esagerata.
Il prossimo governo italiano dovrà anche rinegoziare altri
accordi, compreso quello sui frontalieri, ma non dovrebbe mai dimenticare che
in Svizzera trovano lavoro ogni giorno oltre 50.000 frontalieri e, soprattutto,
che in questo Paese vive stabilmente oltre mezzo milione di cittadini italiani,
generalmente ben integrati e molti anche in posizione di vertice nell'industria,
nel commercio, nella cultura, nella ricerca.
Per questo la Svizzera segue con interesse le prossime
elezioni italiane. Per questo prendo come un auspicio l’affermazione del
Cardinal Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, secondo cui «gli italiani
non si faranno abbindolare da niente e da nessuno», anche se mi resta il forte
dubbio che vi riescano.
Giovanni Longu
Berna 13.02.2013
Berna 13.02.2013
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