Sull'onda di una lista di presunti evasori fiscali con
depositi in una banca svizzera, i media italiani non hanno perso l’occasione
per additare ancora una volta la Svizzera come il paradiso degli evasori fiscali
italiani. Secondo certi censori e moralisti la Svizzera avrebbe addirittura prosperato
grazie ai capitali esteri sfuggiti alle autorità fiscali di mezzo mondo. Evidentemente
la conoscono molto poco. Ignorano soprattutto che la ricchezza di questo Paese
è frutto delle virtù della stragrande maggioranza degli svizzeri e non dei vizi
di alcuni di essi.
Le responsabilità della Svizzera
Sia ben chiaro, nessuno può negare che dal dopoguerra fino ad
oggi sia affluito nelle banche svizzere moltissimo denaro «sporco» (secondo le
varie legislazioni straniere, ma non di quella svizzera). In certi periodi
proveniva a fiumi, non solo dall'Italia ma anche e soprattutto dagli altri
grandi Paesi industrializzati dell’occidente, Stati Uniti, Germania, Francia. Gli
organi di vigilanza della Confederazione evidentemente non hanno vigilato a
sufficienza, anche se in molti casi non sarebbe stato difficile appurare la provenienza
illecita di certi depositi intestati a dittatori e trafficanti o loro
prestanome. Dalla fine degli anni Novanta la diligenza delle banche è cresciuta,
ma la recente inchiesta giornalistica «SwissLeaks» dimostra che almeno in una
banca, nella filiale ginevrina del colosso bancario britannico HSBC, è stata
perlomeno insufficiente. Un esempio che non può essere generalizzato all’intero
sistema bancario svizzero, ma che getta un’ombra sulla proverbiale accuratezza
delle procedure elvetiche, tanto più che dal 1998 le banche avevano l’obbligo
di vigilare accuratamente sulla provenienza del denaro dei clienti.
Occorre però riconoscere che a favorire l’arrivo
indiscriminato di capitali dall'estero non è stata soltanto la carenza dei
controlli ma anche il segreto bancario, considerato fino a qualche anno fa una caratteristica
fondamentale della piazza finanziaria elvetica. Allora erano pochi a mettere in
dubbio l’intangibilità del segreto bancario. Per fortuna in questi ultimi anni,
anche grazie alle pressioni americane ed europee, esso si è non solo allentato,
ma è quasi scomparso e scomparirà comunque nei prossimi anni nelle relazioni
internazionali e probabilmente anche per i residenti in Svizzera.
La scomparsa del segreto bancario sarà un bene anche per le
casse federali, perché esiste pure in Svizzera l’evasione fiscale, sebbene in
misura meno accentuata che nei Paesi vicini. Con maggiori controlli gli attuali
evasori saranno forse incentivati ad approfittare dei benefici concessi già da
alcuni anni a chi si autodenuncia.
Le responsabilità dell’Italia
Pur ammettendo un deficit di diligenza da parte degli organi
di controllo svizzeri, sarebbe tuttavia paradossale ritenere che la causa principale
dell’evasione fiscale in Italia, dal dopoguerra ad oggi, sia dovuta alla
facilità di depositare i soldi in Svizzera. Eppure sono ancora in molti a
pensarlo, dimenticando che all'origine dell’evasione c’è non solo un malcostume
diffuso di molti italiani ma anche un’esagerata pressione fiscale da parte di
uno Stato ritenuto sprecone e inefficiente.
Forse il governo Renzi, invece di privilegiare le
riforme costituzionali (a mio parere fatte male, senza una previo disegno di
Stato moderno, democratico e ampiamente condiviso), avrebbe fatto meglio a cercare
di rispondere seriamente alle attese della maggioranza degli italiani: il
rilancio dell’economia, l’abbattimento della disoccupazione soprattutto dei
giovani, la sicurezza contro i rischi della povertà vistosamente in aumento, la
lotta agli sprechi nel settore pubblico, l’abolizione di tanti privilegi
ingiustificati della classe politica (non risparmiando nemmeno il Quirinale),
la riduzione generalizzata del livello di tassazione e contestualmente la lotta
senza quartiere alla corruzione e all'evasione fiscale (che permetterebbe di
recuperare decine e forse centinaia di miliardi di euro sottratti illegalmente
alla disponibilità dello Stato). Non sarà un compito facile, ma il governo deve
fare di più e meglio.
Il coinvolgimento dei cittadini
L’accordo recente con la Svizzera sulla doppia imposizione (vedi
L’ECO n. 4 e 5 del 21 e 28 gennaio 2015) rappresenta indubbiamente un buon
esempio di tentativo di favorire l’emersione dei capitali evasi con
l’autodenuncia e il pagamento del dovuto allo Stato, ma guai illudersi che
l’evasione fiscale si combatta solo con gli accordi internazionali. Essa va
combattuta specialmente in casa, giustificando le spese dello Stato per la
collettività, affrancate da ogni forma di corruzione e di spreco, e col
coinvolgimento più ampio possibile dei cittadini.
La Svizzera, che da alcuni anni non può più essere
considerata un paradiso fiscale perché le tasse qui si pagano e non solo sui
redditi ma anche sui patrimoni (!), ha un basso tasso di evasione (su scala
internazionale) perché anche il livello di tassazione è relativamente basso e il
grado di consapevolezza dei cittadini è abbastanza alto. Nella maggior parte
dei Cantoni (perché la tassazione in Svizzera è soprattutto a base cantonale) il
livello della tassazione è determinato col contributo del popolo, che può
intervenire con un referendum sulle decisioni del parlamento cantonale. Sono
convinto che nemmeno i cittadini svizzeri paghino volentieri le imposte, ma
sono certo che la maggior parte di essi è consapevole non solo delle finalità
per cui vengono raccolte ma anche del loro livello. E in Italia?
In Italia il cittadino è ancora visto dallo Stato come un
potenziale evasore, per cui l’evasione va combattuta soprattutto con la
repressione, sebbene sia utopico pensare di estirpare in questo modo un vizio praticato
su vasta scala da nord a sud. Gli evasori, infatti, non sono solo grandi
imprenditori, commercianti, liberi professionisti, facoltosi proprietari, ma
anche artigiani, lavoratori autonomi in generale, lavoratori in nero, ecc. Già
a metà degli anni ’70 si parlava di «evasione di massa».
Cambiare è possibile e… conveniente
Credo di sì, ma occorre tempo e molto impegno. Mi piace
concludere queste considerazioni attingendo da un articolo dell’avvocato Edy
Salmina sul quotidiano socialista ticinese Libera Stampa del 1980. Come
si vedrà, esso conserva ancora gran parte della sua attualità. E poiché non si
riferiva a un pubblico determinato, molte osservazioni si addicono bene
anche al pubblico italiano.
Scriveva l’autore: «L’atteggiamento del cittadino nei
confronti del creditore-Stato è poco condiscendente. Chi può inganna, chi non
lo può fare se ne rammarica, chi paga per convincimento si guarda dal farlo
risapere. La subdola nube di consenso o di complice benevolenza che avvolge il
cittadino-evasore rende la situazione davvero seria. Perché, bisogna
ammetterlo, chi non froda il fisco raramente lo fa per singolare virtù e spesso
per paura o per mancanza di alternative. Ed è questo che preoccupa e avvilisce,
al di là del più o meno spregevole comportamento degli evasori fiscali classici
e abituali…».
L’autore si sofferma poi su alcuni atteggiamenti tipici di
cittadini e politici per lo più di destra che periodicamente contestano
l’aggravio fiscale, lanciano più o meno velati inviti all'obiezione di
coscienza fiscale e sono pronti a legittimare anche l'evasione. E sono sempre
molti coloro che volentieri applicano la teoria del meno-Stato anche nella denuncia
dei redditi. Ma allora, si chiede Salmina, «perché lo Stato è creditore tanto
detestato?». La risposta è immediata: «Proprio perché in esso la gente ha visto
spesso e soltanto il potere nemico, il poliziotto, l'esattore, ma mai un'entità
democratica, riassuntiva, pur nella conflittualità, della società civile.
Capace quindi di operare anche a favore dei più poveri e degli esclusi,
garantendo loro un pur piccolo e precario spazio di dignità e di libertà».
Avviandosi alla conclusione, l’autore sembra non aver dubbi:
per battere l'evasione fiscale occorre anzitutto sconfiggere questi pregiudizi,
«a tutto vantaggio della possibilità di una maggior partecipazione alla vita
democratica». E poi: «trasparenza nell'amministrazione, controllo democratico,
politicizzazione diffusa: ecco i deterrenti di lungo respiro alla frode fiscale».
L’autoriciclaggio è un azzardo
A distanza di trentacinque anni lo stesso Salmina, in un recente
articolo intitolato «autoriciclaggio: non è mai troppo presto», sul Corriere
del Ticino, commentando l’introduzione nella legislazione italiana della nuova
norma penale sull’autoriciclaggio, scrive: «lo scopo della nuova norma penale
italiana, per quanto attiene ai capitali depositati in Svizzera, è fin troppo
evidente: spingere verso il rientro delle disponibilità non dichiarate rendendo
ogni altra scelta un azzardo. Bastone e carota, insomma». In altre parole, evadere
sta diventando finalmente un rischio che per nessuna ragione conviene più correre.
Giovanni Longu
Berna, 18.2.2015
Berna, 18.2.2015
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