Il franco forte e le
difficoltà ch'esso comporta a numerose imprese svizzere, soprattutto quelle
turistiche e quelle orientate all'esportazione, pone a molti svizzeri
l’interrogativo – in realtà non nuovo – sul futuro dell’economia svizzera e,
più in generale, sul futuro della Svizzera.
Preoccupazioni per il
franco forte
Finora il cambio franco-euro,
che negli ultimi anni la Banca nazionale svizzera aveva mantenuto artificialmente
sotto il livello di 1,20 franchi per un euro, garantiva soprattutto alle
aziende esportatrici indubbi benefici. Ora che il franco si è apprezzato
sull’euro e rischia di rimanere a lungo sopra la parità, molti economisti e
imprenditori temono un indebolimento delle esportazioni nella zona euro (la più
importante per la Svizzera) e un rallentamento della crescita del prodotto
interno lordo (PIL).
Una delle peggiori
conseguenze potrebbe essere l’aumento della disoccupazione, anche perché
qualche segnale c’è già. Alla fine di dicembre 2014 il tasso di disoccupazione risultava
salito al 3,4%, mentre a novembre era del 3,2% (anche se il numero dei
disoccupati era leggermente inferiore a quello dello stesso mese del 2013). Mentre
in qualunque altro Paese un livello così basso sia pure in leggera salita sarebbe
motivo di grande soddisfazione, soprattutto in un periodo di crisi, in Svizzera
comincia a preoccupare. Occorre infatti tener presente che gli svizzeri
considerano la disoccupazione la maggiore preoccupazione e questo sentimento sembra
condiviso anche dal governo federale.
Situazione preoccupante ma
non drammatica
Per tranquillizzare i
cittadini e gli ambienti economici, imprenditori e sindacati, ma soprattutto
per dare un segnale della volontà del governo di monitorare la situazione e di intervenire
se dovesse peggiorare, la settimana scorsa il consigliere federale Johann
Schneider-Ammann, ministro dell’economia, ha incontrato i rappresentanti
delle principali organizzazioni padronali e sindacali per una prima
valutazione.
Johann Schneider-Ammann |
Quando ha saputo che ci sono
già stati licenziamenti e altri sono previsti a causa del franco forte, il
ministro si è detto rammaricato «per ogni impiego che deve essere sacrificato a
causa di questa situazione», ma ha aggiunto anche che è intenzione del governo,
insieme alle parti sociali, «difendere i posti di lavoro in Svizzera».
Ha anche ricordato che è già stata presa la decisione di introdurre la
possibilità per le aziende in difficoltà di richiedere indennità per lavoro
ridotto «da subito». Finora, ha aggiunto, la situazione è preoccupante ma non
drammatica, non ci sono segnali che farebbero pensare di andare «in direzione
di una forte recessione»; l'importante è che le parti sociali si avvicinino
l'un l'altro, e ciò sta avvenendo.
Il governo federale non sta
comunque ad aspettare inattivo l’evolvere della situazione. Già qualche
settimana fa ha provveduto a una prima analisi, approvando un rapporto della
Segreteria di Stato dell’economia (SECO), elaborato già prima dell’abolizione
del tasso di cambio minimo, che pone le basi della nuova politica di crescita
economica. «L’Esecutivo, si legge in un comunicato stampa, conferma gli
orientamenti generali della propria strategia e intende promuovere
ulteriormente la crescita economica, tutelare a lungo termine i posti di lavoro
e la ricchezza nel nostro Paese».
Tutela dei posti di lavoro e
formazione
Nell’ottica del governo
svizzero, come si vede, la tutela dei posti di lavoro non è solo una componente
di una politica sociale saggia specialmente in tempi di crisi, ma un fattore di
crescita essenziale. In un Paese come la Svizzera senza materie prime e una
situazione geopolitica non particolarmente favorevole, puntare soprattutto
sulla qualificazione e la tutela del lavoro è fondamentale.
Il Consiglio federale ne è
talmente convinto che considera la crescita economica come una delle condizioni
essenziali proprio per tutelare i posti di lavoro e la ricchezza in Svizzera. Senza
crescita sono a rischio i posti di lavoro. Pertanto il governo considera
indispensabile continuare a creare «i presupposti migliori per un’economia
prospera».
Uno di questi presupposti, che
nella storia di questo Paese ha sempre goduto di un’attenzione particolare, è
la formazione dei giovani. L’economia svizzera si regge principalmente
sulla qualità della sua manodopera. Per questo in Svizzera è molto sviluppata
la formazione, sia quella generale (dagli asili alle università), sia quella
professionale (dalle varie forme di apprendistato alle scuole universitarie
professionali e ai politecnici).
Il sistema di formazione
professionale di base (caratterizzato da un apprendimento di tipo duale,
teorico e pratico, a scuola e in azienda) è ben affermato da oltre un secolo,
ma richiede continui adattamenti. Anche il sistema di formazione professionale
superiore è ormai ben collaudato e diffuso in tutte le regioni della Svizzera. Il
governo intende svilupparlo ulteriormente perché sa bene che l’economia
svizzera potrà crescere solo investendo maggiormente nell’innovazione e nella
ricerca e che solo un’economia florida e competitiva potrà garantire a lungo
termine i posti di lavoro.
Aumentare la produttività
del lavoro
Un altro presupposto per la
crescita è la produttività del lavoro. Questa è infatti non solo un fattore
importante per stabilire il reddito pro capite (maggiore produttività = più
reddito), ma anche un elemento determinante per la competitività delle imprese.
Per questo motivo il Consiglio federale, si legge nello stesso comunicato, «attribuisce
la massima priorità all’aumento della produttività», non solo perché «ritiene
che una politica economica sostenibile e lungimirante deve mirare all'aumento
costante del reddito pro capite», ma evidentemente anche per rafforzare la
competitività dell’economia svizzera.
Il Consiglio federale non fa
riferimento esplicito alle difficoltà che le imprese svizzere incontrano già
oggi e che potrebbero incontrare maggiormente domani in Europa (se non verrà
trovata una soluzione al problema della limitazione della libera circolazione
posto dalla votazione del 9 febbraio 2014 sull’immigrazione di massa) ma evidentemente
si tratta di una preoccupazione a cui non può sottrarsi.
In effetti l’attenzione del
governo sembra alta e i rimedi che intende adottare efficaci. Dopo aver
individuato che tra gli ostacoli che frenano gli sviluppi della produttività e
dunque la crescita ci sono, ad esempio, come si legge nello stesso comunicato, «la
prassi amministrativa e gli elevati costi di regolazione a carico delle imprese»,
ossia i costi della burocrazia, ma anche «la scarsa disponibilità di personale
qualificato», il governo sembra intenzionato a intervenire su più fronti. Su
uno sicuramente, quello dello sviluppo del personale qualificato, formato
all’interno o reclutato all’estero. Ma è probabile che prossimamente interverrà
anche sullo snellimento delle pratiche burocratiche come pure sugli stimoli alle
imprese che intendono approfittare degli spiragli che i mercati esteri
continuano ad offrire.
Difficoltà con l’Unione
europea
Doris Leuthard |
Le maggiori preoccupazioni
del Consiglio federale, non sempre pubblicamente manifestate, sembrano tuttavia
riguardare i difficili rapporti con l’Unione europea (UE). Il mercato di gran
lunga più importante per le imprese svizzere è infatti quello europeo, che però
sembra porre non poche difficoltà. La settimana scorsa i media hanno dato
rilievo, ad esempio, al «piccolo spiraglio» per l’accesso della Svizzera al
mercato europeo dell’elettricità, ma la consigliera federale Doris Leuthard
ha riferito che «Bruxelles mette enorme pressione sui tempi». Da mesi i media non
fanno che sottolineare le condizioni molto severe che l’UE impone a tutte le
trattative bilaterali con la Svizzera a causa della votazione del 9 febbraio
2014.
Nessuno osa predire come
finirà questa specie di braccio di ferro. Eppure basterebbe invertire l’ordine
delle considerazioni. Perché invece di partire dai punti che separano le
posizioni dell’una e dell’altra non si comincia a ragionale dai punti che per
entrambe sono fondamentali e irrinunciabili, in una prospettiva veramente
europea? Risulterebbe ad esempio evidente che come la Svizzera non potrebbe
sopravvivere se non miseramente isolata dall'Europa, così l’Unione europea
diventerebbe un controsenso senza la Svizzera.
Basterebbe anche solo pensare
che tutto il processo di «Unione europea» mirante a una sorta di Stati Uniti
d’Europa è stato ispirato dal modello della Confederazione Svizzera. Quando nel
dopoguerra il progetto Europa era molto dibattuto, alla domanda pregiudiziale
«Che cos’è l’Europa», Karl Jaspers, il filosofo tedesco, fuggito dalla
Germania nazista per rifugiarsi in Svizzera, aveva detto nel corso di una
risposta molto articolata anche questo: «Europa è la democrazia d’Atene, della Roma
repubblicana, degli Svizzeri, degli Olandesi, degli Anglosassoni. Non
giungeremmo mai alla fine se volessimo elencare tutto ciò che è caro al nostro
cuore: una ricchezza immensa dello spirito, della morale, della fede…». Era
convinto che l’Europa era anche la Svizzera e la Svizzera era inconcepibile
senza l’Europa.
Per
avviare finalmente un dialogo proficuo e liberatorio da tanti pregiudizi, forse
basterebbe ricuperare da entrambe le parti la coscienza storica europea e il
senso di appartenenza a un sistema comune di valori essenziali e intramontabili,
che può garantire il futuro non solo alla Svizzera ma anche all’Europa.
Giovanni
Longu
Berna 4.2.2015
Berna 4.2.2015
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