Mentre il governo Renzi sbandiera ai quattro venti le cosiddette riforme istituzionali (di cui nemmeno gli addetti ai lavori conoscono i progetti nel dettaglio e soprattutto nelle implicazioni), l’Italia precipita nuovamente nella recessione. Trovo incomprensibile che finora non si siano affrontate con lucidità, concretezza e determinazione le vere emergenze del Paese, ancora in profonda crisi, come attestato anche dai dati dell’Istat di queste ultime settimane. Stento a capire perché si sia dedicato così tanto tempo alla riforma del Senato senza nemmeno inquadrarla in una riforma più complessa e incisiva dell’intera architettura dello Stato.
Riforme come alibi?
Talvolta ho l’impressione che il difficile processo delle riforme
(ridotte per il momento a quella del Senato o poco più) serva più che altro da alibi al Governo
incapace di affrontare le vere emergenze economiche e sociali del Paese, soprattutto del
Meridione. Dovrebbero bastare le cifre sull'evoluzione negativa del PIL (-0,2%
nel secondo trimestre di quest'anno, -0,3% su base annua), sulla disoccupazione
giovanile, ancora in crescita, sulla perdita costante di posti di lavoro, sul
divario crescente tra Nord e Sud, sull'aggravarsi del rapporto di dipendenza
tra anziani e giovani (per la ripresa dell’emigrazione dei giovani), ecc. per provocare
un’immediata inversione di rotta sia al Governo che al Parlamento.
Non mi
sembra accettabile, per entrambi, sperare in una ripresa automatica senza fare
nulla per provocarla e sostenerla. E’ vero che la ripresa prima o poi arriva,
come le stagioni, ma un buon governo deve evitare che arrivi troppo tardi.
A Renzi, che ha voluto sostituirsi a Letta alla guida del
Paese, assicurando di fare meglio, andrebbe anche ricordato che finora, in
economia, sta facendo peggio del predecessore. E’ ora che si dia una mossa,
perché l’Italia è in sofferenza da troppo tempo e agli italiani la riforma del
Senato poco importa. Deve anche sapere che se il Paese non cresce con le
proprie forze non sarà certamente l’Unione Europea, anche a presidenza italiana,
a tirarlo fuori dalla palude. E non faccia troppo affidamento sulla
flessibilità perché questa potrebbe contribuire ad aumentare il debito pubblico,
che non sarà certo la Banca Centrale Europea a ripagare.
Riforma del Senato: rischi connessi
L’interminabile discussione sulla riforma del Senato, mi
sembra il simbolo di questo capovolgimento delle priorità. Per quanto si possa
ritenere necessaria l’eliminazione del «bicameralismo perfetto» è difficile sostenerne
l’urgenza. Oltretutto sul merito della riforma le obiezioni dei critici non mi
sembrano infondate.
Un Senato non elettivo (quindi sostanzialmente composto da nominati)
non potrà mai essere rappresentativo della volontà popolare e quindi sarà
sempre di rango inferiore alla Camera dei deputati eletti a suffragio universale.
Ma un Senato non rappresentativo e privato della capacità legislativa e di
controllo del Governo potrebbe diventare uno dei tanti carrozzoni inutili
dell’apparato statale. La sua sostanziale ininfluenza significherebbe anche la
rinuncia definitiva al federalismo. Nemmeno la Lega Nord sembra rendersene
conto. Tanto varrebbe eliminarlo del tutto.
Tutto in nome della governabilità?
Ma forse il governo Renzi, forte di una straordinaria e
anomala maggioranza (frutto di una legge elettorale riconosciuta in parte
incostituzionale) crede di poter imporre il proprio punto di vista ora o mai
più. Per garantire la piena governabilità del Paese, l’obiettivo di Renzi potrebbe
essere il governo di un uomo solo al comando, ossia il capo del maggior partito
risultante vincitore alle elezioni, che disporrebbe del sostegno incondizionato
della Camera dei deputati (grazie al premio di maggioranza attribuito al primo partito
eletto secondo la nuova legge elettorale in discussione) e delle principali
leve del potere. Ma è quello che vogliono gli italiani?
Giovanni Longu
Berna 7.8.2014
Berna 7.8.2014
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