E’ convinzione assai diffusa che la Svizzera, in quanto Paese neutrale fin dal 1815, sia stata risparmiata dalle distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale e la sua popolazione non abbia patito le privazioni e le sofferenze a cui sono state sottoposte le popolazioni civili degli Stati belligeranti. E’ una convinzione che non trova riscontro nei fatti se non parzialmente e in ogni caso va ascritto a merito delle autorità federali l’aver scelto e salvaguardato la neutralità.
Va anche detto che se è vero che la Svizzera non ha subito
le morti e le distruzioni dei Paesi in cui sono avvenuti scontri di eserciti e
bombardamenti, è falso ritenere che gli svizzeri non abbiano risentito, anche
pesantemente, della situazione di trovarsi completamente circondati da nazioni
in guerra. Di fatto, con lo scoppio della prima guerra mondiale, per la
Svizzera s’interruppe bruscamente un processo di sviluppo che durava ormai da
alcune decine di anni e che aveva trovato una sorta di consacrazione
nell'Esposizione nazionale di Berna, inaugurata festosamente il 15 maggio 1914.
D’altra parte, gli svizzeri erano ben consapevoli che la neutralità armata
comporta talvolta sacrifici e privazioni e le autorità politiche non lo nascosero
quando il 1° agosto decretarono la mobilitazione generale.
Paura della carestia
L’inizio della guerra causò quasi immediatamente la perdita
inaspettata di migliaia di posti lavoro, il crollo del turismo, il venir meno
di una parte consistente della manodopera straniera, la contrazione delle
esportazioni, difficoltà di approvvigionamento di materie prime e di derrate
alimentari, razionamenti, ecc.
Già allo scoppio della guerra tra l’Austria-Ungheria e la
Serbia (28 luglio 1914) e prima ancora che il Consiglio federale ordinasse la
mobilitazione generale, ossia l’entrata in servizio attivo di circa 220.000
uomini per presidiare le frontiere, a Milano, ma anche a Berlino, si sparse la
voce che a invadere la Svizzera sarebbe stata la carestia. Come infatti avrebbe
potuto provvedere agli approvvigionamenti di materie prime e generi alimentari se
anche la Francia e la Germania fossero entrate in guerra, come sembrava imminente,
e se anche l’Italia avesse fatto altrettanto, anche se non subito?
Le autorità e la stampa cercarono di rassicurare l’opinione
pubblica affermando, come riportava un quotidiano ticinese il 29 luglio, che «i
magazzeni federali ed i magazzeni privati bastano non per delle settimane, ma
per dei mesi e non è poi detto che, nel caso di guerra, tutte le frontiere
siano chiuse ad uno Stato neutrale». Qualche giorno dopo lo stesso giornale
precisava ottimisticamente che «la Svizzera, anche supponendo che da oggi in
poi tutte le frontiere restino chiuse, ha vettovagliamento sufficiente per sei
mesi almeno. E la guerra certamente non sì prolungherà più di tre mesi».
In effetti era opinione diffusa che il conflitto sarebbe
rimasto localizzato e di breve durata. L’illusione però durò poco perché già il
1° agosto i giornali svizzeri cominciarono a parlare di «guerra europea» in
seguito all’ultimatum della Germania alla Francia e alla Russia. Non ci fu più
alcun dubbio dopo il 4 agosto, quando la Germania invase il Belgio e la Gran
Bretagna dichiarò guerra alla Germania.
Non bastò a tranquillizzare la Svizzera il fatto che l’Italia
(del tutto impreparata ad affrontare un’altra guerra dopo quella dispendiosa
del 1911-12 per la conquista della Libia) avesse dichiarato la propria
neutralità e sembrasse quindi garantita alla Svizzera la possibilità di approvvigionarsi
di viveri dalla frontiera meridionale. Infatti, già ai primi di agosto l’Italia
vietò l’esportazione, anche verso la Svizzera, di cereali, farine, caffè,
zucchero, tessuti, oggetti di vestiario, cavalli, muli, bovini, veicoli di ogni
genere e relative parti di ricambio, combustibili e carburanti, ecc.
Conseguenze immediate
Quando apparve chiaro che si era in presenza di un grave
pericolo anche per la Svizzera neutrale, l’Assemblea federale conferì al
Consiglio federale «pieni poteri di prendere tutte le misure necessarie per la
sicurezza, l'integrità e la neutralità svizzera e per la difesa del credito e
degli interessi economici del paese». Elesse anche quale «generale», ossia
comandante supremo dell’esercito in circostanze eccezionali, il colonnello Ulrich
Wille, col compito di «proteggere e difendere colle truppe a lui affidate con
tutte le sue forze ed a costo della vita l’onore, la indipendenza e la
neutralità della Patria».
Con la mobilitazione generale cominciarono anche le privazioni
e le restrizioni per la popolazione sui posti di lavoro, nelle comunicazioni,
nei consumi, nella vita quotidiana. La Festa nazionale del 1° agosto, che si
svolgeva quell'anno «fra il fragore d’armi e l’accavallarsi di oscuri e
minacciosi nembi all’orizzonte», come annotava un quotidiano ticinese, fu
l’occasione per invitare tutti gli svizzeri a «un solenne e grandioso
plebiscito di patriottismo e di solidarietà federale».
A Berna si pensò di chiudere in anticipo l’Esposizione
nazionale, inaugurata con grandi festeggiamenti il 15 maggio ed effettivamente per
due settimane rimase chiusa. I battenti vennero tuttavia riaperti quando sembrò
preferibile mandare ai confederati un segnale di ottimismo.
Donne, siate econome!
Alcune organizzazioni femminili, per evitare danni
insopportabili conseguenti alla mobilitazione di circa 220.000 uomini, fecero
appello alle donne, invitandole, invece di lamentarsi sulle misure restrittive
imposte dal governo, ad accettare «con coraggio e serietà i sacrifici che la
guerra impone». «Siate econome - si leggeva in un appello pubblico - onde le
risorse del nostro paese in derrate alimentari ed in combustibili non vengano
troppo rapidamente esaurite. Assumete in tutti i rami dell’umana attività, ma
specialmente nei lavori della campagna, quei servizi a cui gli uomini, chiamati
sotto le armi, non possono più attendere e scegliete fra essi quelli che più
sono necessari alla prosperità del nostro paese. Non pensate soltanto alla vostra
famiglia, ma a tutta la nazione. Ora più che mai è il caso di essere uno per
tutti, tutti per uno […].Per quanto terribile sia una guerra colle sue
conseguenze, essa può però insegnarci una grande lezione: la solidarietà».
Il clima di guerra era maggiormente sentito nei Cantoni di
frontiera. Il 16 agosto 1914 un quotidiano ticinese annotava: «un Ferragosto in
perfetta sintonia con i tempi che corrono (…) Lugano non ricorda un Ferragosto
così misero».
Limitazioni per tutti, anche per gli stranieri
Anche gli stranieri furono sottoposti a restrizioni e
privazioni, talvolta attenuate dalla solidarietà generale. Intanto vennero
praticamente chiuse le frontiere e sospesi tutti i trattati d’immigrazione. Gli
immigrati, richiamati in patria dai Paesi in guerra o desiderosi di ritornarvi
per evitare le misure restrittive adottate dalla Svizzera, potevano lasciare il
Paese. Solo a Chiasso nei primi giorni di agosto transitarono, non senza
difficoltà, non meno di 40.000 operai italiani spesso con le loro famiglie.
In una cronaca dei primi di agosto 1914 da Chiasso si legge
dell’arrivo quotidiano di «pietosi eserciti di lavoratori, molti dei quali con
moglie e con bambini in stato compassionevole» senza alcuna garanzia di poter
proseguire in giornata il tragitto verso la destinazione. L’Autorità locale faceva
del suo meglio «con vero senso di solidarietà umana» per organizzare loro un
ricovero fino alla partenza «nelle scuole, nella palestra, nel Politeama, nel
vecchio Cinematografo ed in altri locali». Da parte sua, «la popolazione
chiassese ha dato pure una prova di gran cuore e generosità prestandosi
spontaneamente e volontariamente a soccorrere questi sventurati con cibarie e bibite
d'ogni sorta e con indumenti».
E’ facile immaginare il danno economico subito dalla
Svizzera, che dalla fine dell’Ottocento allo scoppio della guerra aveva costruito
il suo benessere soprattutto grazie agli immigrati. Allo scoppio della prima
guerra mondiale risiedevano in Svizzera circa 220.000 tedeschi e oltre 200.000 italiani.
Molti di essi dovettero o decisero comunque di rientrare al loro Paese. Decine
di migliaia di posti di lavoro andarono persi.
Tra i doveri che comportava la neutralità svizzera c’era al
primo posto quello di difenderla. Ma ce n’erano anche altri, che incombevano «a
tutti i cittadini svizzeri», primo fra tutti quello di «astenersi da qualsiasi
manifestazione di simpatia verso l’una o l'altra delle parti belligeranti». Le
manifestazioni non dovevano essere tollerate nemmeno da parte degli stranieri.
«Siano essi francesi, tedeschi o italiani devono tenere i loro sentimenti per
sé; non hanno alcun diritto di sventolarli sul nostro territorio neutro in un
momento di guerra».
Verso lo sciopero generale
Il grosso dell’esercito venne inviato nel Giura perché i
primi combattimenti tra Germania e Francia stavano avvenendo in Alsazia. Nessuno
dei belligeranti doveva oltrepassare impunemente la frontiera con la Svizzera. E
poiché si riteneva che prima o poi anche l’Italia sarebbe entrata in guerra, per
presidiare il confine sud alcuni contingenti vennero dislocati nella Bassa
Engadina (Grigioni) e nel Ticino, dove si cominciò a preparare alcune fortificazioni.
Si sa che nel 1915 anche l’Italia cominciò a fortificare un buon tratto della
zona di confine con la Svizzera, la Linea Cadorna. L’Italia non pensava
a un improbabile attacco svizzero, quanto a un possibile attacco dell’esercito
austro-tedesco qualora la Confederazione fosse stata costretta a rinunciare
alla sua neutralità e a concedere il passaggio alle truppe austro-germaniche.
Fortunatamente queste fortificazioni non vennero mai utilizzate.
Ben difficilmente la Svizzera avrebbe potuto mantenere in
armi un numero così importante di uomini. In effetti, dopo la mobilitazione
generale, si stabilì una sorta di rotazione, ciò che non impedì che ogni
soldato prestasse servizio in media per 500 giorni, con un soldo ridotto e
senza alcuna indennità per perdita di guadagno. Molti soldati persero il lavoro
cadendo con le loro famiglie nella povertà. Circa 3000 soldati morirono durante
il servizio. Purtroppo la guerra spesso non risparmia nemmeno chi cerca di
evitarla.
Verso la fine della guerra, la Svizzera fu attraversata da
violenti conflitti sociali che culminarono nello sciopero generale dell’11-14
novembre 1918. Era un segnale che anche in Svizzera il mondo (sociale) era
cambiato o stava decisamente cambiando. La fine della guerra segnò anche, per
gli italiani, la fine di un’epoca di grande emigrazione verso la Svizzera.
Giovanni Longu
Berna, 20.08.2014
Berna, 20.08.2014
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