49 anni fa, il 30 agosto 1965, accadde in Svizzera, nel Vallese, una delle più gravi catastrofi della storia dell’emigrazione italiana. Una parte imponente di uno dei più grandi ghiacciai della Svizzera precipitò improvvisamente su un grosso cantiere di montagna allestito per la costruzione di una grande diga, quella di Mattmark, travolgendolo e uccidendo 88 lavoratori, 56 dei quali italiani.
Perché ricordare?
Lapide a ricordo della tragedia del 30 agosto 1965 |
Il fatto che si continui a ricordare quella tragedia umana (e
lo si farà soprattutto il prossimo anno in occasione del 50° anniversario) è
dovuto non solo all'alto numero di vittime che ha provocato, ma anche alla portata
storica di quell'evento che ha sconvolto l’opinione pubblica svizzera, italiana
ed europea.
Purtroppo è in atto da qualche tempo un tentativo malcelato
di archiviare definitivamente il passato, soprattutto quando esso si tinge di
tinte fosche o assume le caratteristiche della tragedia. Soprattutto per le
giovani generazioni incalzate dalle spinte del progresso e preoccupate del loro
futuro anche il passato recente può sembrare un fardello da cui conviene
liberarsi. Credo invece che la memoria di eventi come quello di Mattmark meriti
di essere continuamente alimentata, perché è ancora oggi piena di insegnamenti
e resta comunque una parte integrante della storia migratoria soprattutto italiana.
Anzitutto, a memoria d’uomo, non era mai capitata in
Svizzera una disgrazia così grave nel mondo del lavoro. Fu l’ampiezza del danno
provocato - 88 morti in un attimo, decine di famiglie colpite violentemente
negli affetti, un intero cantiere completamente distrutto, enormi difficoltà
nel recupero delle vittime sotto tonnellate di ghiaccio e detriti - che
richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica svizzera, italiana ed europea.
Tutti i media, compresa la televisione, per giorni e settimane informarono nei
dettagli di quanto era accaduto e stava ancora succedendo.
Non solo forza lavoro
Grazie alla straordinaria copertura mediatica, l’opinione
pubblica svizzera cominciò a rendersi conto del fenomeno migratorio anche sotto
l’aspetto umano. Fino ad allora gli immigrati erano visti soprattutto come
numeri, percentuali, addetti a questa o quella produzione. Di essi si parlava
per lo più in termini negativi, raramente erano associati ai protagonisti del progresso
che la Svizzera stava compiendo dalla fine della seconda guerra mondiale. Erano
visti, per dirla con Max Frisch, tutt’al più «manodopera», forza lavoro,
sia pure indispensabile. L’aspetto umano era trascurato e perciò ignorato. In
pochi, ad esempio, si rendevano conto della pericolosità dei lavori che spesso
erano chiamati a svolgere in supplenza alla mancanza di lavoratori svizzeri
disposti a compierli.
La catastrofe di Mattmark mise a tacere, almeno
provvisoriamente, le voci che cominciavano a levarsi in diverse parti della
Svizzera contro gli stranieri. Una violenta campagna denigratoria aveva appena
tentato di impedire l’accordo di emigrazione tra l’Italia e la Svizzera
dell’anno precedente. Si voleva far credere che agli italiani era stato
concesso troppo!
L’ampiezza della tragedia, che aveva coinvolto soprattutto
italiani, ha contribuito a far vedere i lavoratori immigrati in una luce
diversa da quella in cui venivano osservati prevalentemente fino ad allora. Tutti
gli svizzeri hanno avuto modo di rendersi conto del tipo di lavori che erano
chiamati a svolgere gli stranieri, del perché in certi cantieri e a certe
altitudini c’erano soprattutto italiani e pochi svizzeri.
Mattmark ha fatto aprire gli occhi a molti, anche alle
autorità e ai sindacati: i sistemi di protezione si erano dimostrati
insufficienti, occorreva rafforzarli e controllarli meglio. In questo senso fu
una lezione positiva per l’intero mondo del lavoro.
Solidarietà e riconoscenza
Tra gli effetti benefici di quella tragedia, perché anche
dal male può scaturire il bene, mi piace ricordare l’ondata di solidarietà che
suscitò in tutta la Svizzera. A dispetto di quanti tentarono di trasformare
l’accaduto in motivo di contestazione e di scontro ideologico in una dialettica
di tipo marxista-leninista, l’opinione pubblica svizzera seguì quasi
unanimemente il richiamo alla solidarietà e alla generosità. Nonostante le
vittime avessero tutte la piena copertura assicurativa del sistema
previdenziale svizzero, vennero immediatamente avviate raccolte di denaro per
le spese non coperte e per le famiglie sfortunate.
Molti, probabilmente, si sono resi conto per la prima volta
che gli stranieri per quello che facevano, a vantaggio di tutti, meritavano non
solo il giusto salario e le giuste assicurazioni, ma anche un po’ di
riconoscenza e di solidarietà.
Giovanni Longu
Berna, 30.08.2014
Berna, 30.08.2014
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