Quando il 28 luglio 1914
scoppiò la prima guerra mondiale, l’opinione pubblica internazionale riteneva che
si trattasse di un conflitto di breve durata tra l’Austria-Ungheria e la
Serbia. Bastarono pochi giorni per rendersi conto che il conflitto si sarebbe
esteso e che sarebbe durato probabilmente a lungo. Per questo molti Paesi
europei ordinarono nei primi giorni di agosto la mobilitazione generale. Anche
la Svizzera decretò per il 1° agosto la mobilitazione generale, decisa a
salvaguardare con ogni mezzo la propria integrità territoriale e il suo statuto
di Paese neutrale. Altrettanto fecero nel giro di poche settimane la Germania,
la Francia, la Russia, ecc. Non l’Italia che, sentendosi impreparata, dichiarò
la propria neutralità.
L’indecisione dell’Italia fu
dovuta apparentemente per motivi ideologici tra interventisti e neutralisti, in
realtà soprattutto per l’impreparazione alla guerra, dopo le forti spese
causate dalla guerra di Libia (1911-12). Come noto finirà per prevalere la
corrente interventista e anche l’Italia, dal maggio 1915, si trovò coinvolta
nella guerra contro l’Impero austro-ungarico e la Germania.
Molti italiani rimpatriati
La fase preparatoria coinvolse
anche molti emigrati italiani richiamati per il servizio militare. Attraverso
la Svizzera rientrarono molti italiani provenienti da tutta l’Europa. Non si
hanno dati precisi su questi rientri (compresi quelli spontanei di intere
famiglie), ma si stima che dalla sola Svizzera siano rientrati circa 70.000
italiani.
Riguardo ai rientri va
ricordato che a spingere al rimpatrio le molte migliaia di giovani italiani abili
al servizio militare non fu tanto, verosimilmente, l’amor patrio, quanto piuttosto
l’obbligo legale per non essere dichiarati disertori. La legge italiana di
allora sulla cittadinanza obbligava infatti al servizio militare in Italia anche
coloro che avevano
acquisito un’altra nazionalità e non ne erano stati esplicitamente
esentati. Questo spiega forse perché dalla Svizzera partirono così tante persone, quasi un terzo dell’intera
collettività italiana
immigrata di allora. Essa riavrà la consistenza numerica che aveva prima
della guerra soltanto quarant'anni più tardi, verso la metà degli anni ’50.
Conseguenze per la Svizzera
Naturalmente per la Svizzera non si trattò di una partenza senza conseguenze. Com’è facile
immaginare, i posti di lavoro occupati dagli italiani
andarono in gran parte persi, anche perché inoccupabili da parte degli svizzeri mobilitati per il servizio alle frontiere. Poiché molti
lavoratori italiani erano addetti
ai lavori ferroviari e all’edilizia, questi rami subirono durante la guerra
sospensioni e ritardi e molte imprese chiusero l’attività.
Mai forse come in questa occasione il lavoro degli italiani si rivelò importante e insostituibile.
Ciononostante, anche durante la guerra persistette un
atteggiamento preoccupato e talvolta ostile nei confronti degli stranieri già
manifestatosi nel primo decennio del secolo (paura dell’inforestierimento),
che spinse le autorità federali a sviluppare una politica restrittiva nei
confronti dei nuovi immigrati. Approfittando della chiusura delle frontiere a
causa dello stato di guerra, la Svizzera cominciò ad applicare un rigido
controllo degli ingressi, che mantenne anche al termine della guerra.
Verso una nuova politica migratoria svizzera
Il 1917
ha rappresentato per la storia della politica migratoria
svizzera una data fondamentale. Se infatti, all’inizio del secolo in
alcuni ambienti politici ed economici si chiedeva un maggiore impegno delle
autorità per l’integrazione degli stranieri residenti in Svizzera da lungo
tempo, da questo momento l’attenzione del Consiglio federale si focalizza sul
controllo degli arrivi, ufficialmente per esigenze di una politica nazionale
fondata sulla sicurezza, sull’interesse economico e sulla difesa di una
identità culturale svizzera ritenuta ancora precaria.
Per perseguire con maggiore determinazione questa politica
restrittiva nei confronti degli stranieri, il Consiglio federale, avvalendosi
dei poteri straordinari concessi al governo durante
la guerra, istituì sul finire del 1917 la Polizia degli stranieri,
che divenne praticamente lo strumento
politico-burocratico contro l’«inforestierimento». L’entrata e la dimora
degli stranieri furono così sottoposte a un controllo generale di polizia degli
stranieri, con cui il Consiglio federale intendeva regolare la politica migratoria.
Da quel momento la nuova disciplina
federale sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri, codificata poi sostanzialmente
nella legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri del
1931, costituirà la base
giuridica fondamentale non solo per la lotta contro l’«inforestierimento»
(autorizzando prevalentemente permessi «stagionali» e rendendo più difficile
l’acquisizione del permesso di domicilio) ma anche per il controllo dei flussi
migratori in funzione del mercato del lavoro, del clima sociale, della situazione degli alloggi, degli
interessi morali ed economici del Paese.
Nel 1917 si chiudeva praticamente l’epoca dell’immigrazione
libera garantita dai trattati bilaterali (quello tra la Svizzera e l’Italia
risaliva al 1868) e iniziava quella
dell’immigrazione selettiva e controllata che durerà fino al 1999, quando
vennero firmati tra la Svizzera e l’Unione Europea gli accordi sulla libera circolazione
delle persone.
Giovanni Longu
Berna, 03.09.2014
Berna, 03.09.2014
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