13 novembre 2018

150 anni di «amicizia» italo-svizzera: 1. Tutto cominciò nel 1868


I 150 anni di storia dell’immigrazione «regolare» italiana in Svizzera sono anche la storia di un lungo e difficile processo d’integrazione che ha portato al rafforzamento dell’italianità in questo Paese. Tutto è cominciato, ufficialmente, col «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia» firmato a Berna il 22 luglio 1868. La sua importanza merita un approfondimento anche per far luce sull’origine e sulla natura dei flussi migratori tra i due Paesi. Molte narrazioni, infatti, hanno il difetto di dare a un fenomeno essenzialmente socio-economico, regolamentato da trattati e accordi internazionali, un’interpretazione ideologica con connotazioni moralistiche. Alcune precisazioni iniziali mi sembrano pertanto utili per comprendere meglio i successivi sviluppi di una storia complessa che dura da 150 anni.
Premesse fondamentali
1.     Per alcuni autori la storia dell’emigrazione/immigrazione italiana in Svizzera altro non sarebbe che un esempio di scontro tra capitalismo e proletariato, sfruttatori e sfruttati, bene e male, e non semplicemente uno scambio tra società con economie forti (imprese che domandano lavoro) e società con economie deboli (che offrono forze di lavoro) secondo le regole tipiche del mercato libero in cui domanda e offerta si richiamano reciprocamente e talvolta dialetticamente, con una tendenza a prevalere della prima sulla seconda quando vi è eccesso di offerta.
2.     Nelle visioni ideologiche di tipo manicheo (scontro tra bene e male) si dimentica, fra l’altro, che nelle migrazioni «regolari» c’è sempre un terzo elemento fondamentale che gestisce l’intermediazione: lo Stato, anzi gli Stati interessati. Si può ovviamente discutere sul ruolo avuto dall’Italia e dalla Svizzera nella gestione del fenomeno migratorio tra i due Paesi, ma senza lasciarsi andare ad affermazioni insostenibili come quelle, per citare un esempio recente, di Toni Ricciardi, secondo cui l’Italia dal secondo dopoguerra avrebbe messo in piedi «il più grande sistema di esportazione di donne e uomini, di braccia e cervelli che la storia occidentale ricordi» e la Svizzera avrebbe coltivato una vera e propria «industria degli stranieri».
3.     Spesso si dimentica anche che, se la libertà di emigrazione è uno dei diritti umani fondamentali, non lo è (ancora) quello di immigrare dove si vuole. «Emigrare dal proprio Stato non significa libertà di immigrare in un qualunque altro Stato. Ogni Stato mantiene ancora il controllo pieno del proprio territorio e dei suoi confini esterni» e pertanto «la libertà di emigrazione si può esercitare concretamente solo se vi siano altri Stati che consentano l’immigrazione» (Valerio Onida).
4.     Per far incontrare legittimamente le due libertà occorre sempre l’accordo tra gli Stati interessati. Tra la Svizzera e l’Italia esso venne negoziato già nei primi anni dopo l’unità (1861) e fu concluso il 22 luglio 1868 con la firma a Berna del «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia». Con esso la migrazione verso l’Italia e verso la Svizzera otteneva per così dire il sigillo della «regolarità» giuridica.
5.     Infine mi sembra opportuno ricordare che, sebbene il Trattato in questione tra la Svizzera e l’Italia si inserisca nel genere dei «Trattati di amicizia», l’amicizia tra Stati ha ben poco in comune col «sentimento» di reciproca stima, fiducia e simpatia che lega le persone «amiche», anche se un po’ gli rassomiglia. Infatti, pur fondandosi su un sistema di valori condivisi, l’amicizia tra Stati esprime soprattutto «interessi reciproci», ma non necessariamente della stessa importanza per ogni contraente. Il Trattato del 1868 non faceva eccezione.

Rapporti bilaterali
Fatte queste premesse, viene da chiedersi perché la Svizzera e l’Italia cercarono un accordo sull’emigrazione in un momento in cui i flussi migratori tra la Svizzera e l’Italia, in entrambe le direzioni, erano quasi inesistenti. Non va infatti dimenticato che per l’Italia essi non erano ancora cominciati e per la Svizzera erano ormai in fase calante. Ci si può anche chiedere se la questione del domicilio costituiva un rilevante «interesse reciproco».
Per poter rispondere a queste domande mi sembra opportuno ricordare anzitutto che all’indomani dell’Unità d’Italia i due Paesi intendevano in un arco di tempo ragionevole confermare o rinegoziare diversi accordi precedenti a cominciare da quello commerciale del 1851. Senonché, appena iniziate le trattative, a questo tema ne furono aggiunti altri due dall’Italia (sulla proprietà letteraria e sull’estradizione) e un terzo dalla Svizzera (trattato di domicilio e consolare). Per la Svizzera le quattro materie potevano essere trattate separatamente, ma l’Italia insistette per una trattazione simultanea, ciò che spiega l’allungamento dei tempi, fino al 22 luglio 1868, quando i quattro trattati vennero firmati, tre a Firenze (allora capitale d’Italia) e uno a Berna. 

Interessi reciproci
Tornando alle domande precedenti, a questo punto è facile rispondere che molto probabilmente la questione dei «flussi» migratori interessava ben poco, mentre la questione del «domicilio» interessava sia la Svizzera che l’Italia avendo entrambe un numero quasi equivalente di propri cittadini nell’altro Paese (poco più di 12.000 residenti per parte). La Svizzera era tuttavia più interessata dell’Italia a garantire ai propri cittadini condizioni di vita e di lavoro favorevoli e stabili, tanto è vero che aveva concluso accordi di domicilio, in regime di reciprocità, persino con gli Stati Uniti (nel 1850, quando gli emigrati svizzeri erano già diverse migliaia, mentre gli americani in Svizzera erano poche centinaia) e con la Gran Bretagna (nel 1855), in condizione simile a quella degli Stati Uniti.
La Confederazione era tuttavia interessata soprattutto ad avere rapporti di buon vicinato, anche a garanzia della propria neutralità e integrità territoriale, con i grandi Stati confinanti. Aveva già concluso un trattato di amicizia con la Francia (1864) e intendeva fare altrettanto con l’Italia (1868), l’Austria (1875) e la Germania (1876). In quell’epoca piuttosto turbolenta la Svizzera si preoccupava che i suoi confini non fossero violati da alcun Paese, anche solo per accorciare i tempi di spostamenti di truppe e materiale bellico in caso di guerra.
Nei confronti del Regno d’Italia (1861), fin dalla sua proclamazione la Svizzera era interessata, in regime di reciprocità, a intrattenere non solo rapporti di buon vicinato, a intensificare i rapporti commerciali esistenti e ad assicurare ai propri cittadini residenti in Italia condizioni favorevoli alle loro attività, ma anche, come si vedrà, al coinvolgimento dell’Italia nella realizzazione del progetto di collegamento ferroviario nord-sud attraverso il San Gottardo.
Anche l’Italia era interessata ad avere al confine settentrionale uno Stato sovrano amico, con cui sviluppare i rapporti commerciali, e ad assicurare ai propri cittadini residenti in Svizzera ampie libertà e garanzie. La prospettiva di una collaborazione con la Svizzera e la Germania per realizzare un collegamento ferroviario da Genova all’Europa centrale attraverso il Gottardo era tuttavia solo da poco tempo una opzione del governo italiano.(Segue)

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